Un luogo tetro e privo di speranza, un baratro angosciante e desolato, con urla gemiti e dolori che non si sentono: benvenuti nella dimora del Dio della Carneficina. Per trovarla non serve andare all’inferno, basta recarsi nel salotto che l’autrice Yasmina Reza allestisce nella pièce dall’omonimo titolo.
Con questa commedia, la drammaturga francese ha riscosso un notevole successo e ottenuto premi quali il Tony Award nell’edizione di New York e l’Olivier Awards con quella di Londra. A portare lo spettacolo in Italia ci ha pensato Roberto Andò che, grazie ad un cast d’eccezione composto da Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon e Silvio Orlando, è riuscito a dar vita alle creature mostruose de “Il Dio della Carneficina” rispettando il contesto perbenista immaginato da Yasmina Reza. Lo spettacolo, tradotto da Alessandra Serra e prodotto da Nuovo Teatro, è stato calorosamente accolto nell’unica tappa del Friuli Venezia Giulia al Politeama Rossetti, confermando ancora una volta la qualità del pubblico triestino, sempre in grado di riconoscere l’eccellenza teatrale. Che in questo caso si esprime attraverso l’armonico dosaggio che testo, regia ed interpretazione riescono a creare con un urlo silenzioso. Il bizzarro ossimoro raggiunge la platea fin dal primo istante: è, infatti, in un tranquillo ed accogliente salotto borghese che si svolge l’intera vicenda.
Le calde e raffinate scene di Gianni Carluccio non preannunciano in alcun modo i feroci scontri che il titolo evoca, pur trasmettendo allo spettatore una appena percettibile sensazione di disagio che sarà svelata pian piano in corso d’opera. Il salotto in questione è quello di Véronique e Michel Houillé (Anna Bonaiuto e Silvio Orlando), persone colte e di larghe vedute che si apprestano a ricevere Annette e Alain Reille (Michela Cescon e Alessio Boni), altra rispettabilissima coppia benestante. L’incontro è stato organizzato per risolvere un “piccolo” contrasto avvenuto fra i loro figli. Per l’occasione la padrona di casa si procura fiori e dolci, dimostrando una squisita attenzione verso i suoi ospiti, nonostante il peso dello spiacevole incidente. Il giovane Bruno Houillé è stato colpito con un bastone dall’altrettanto giovane Ferdinand Reille e dunque i genitori si trovano con l’intento di risolvere civilmente ed educatamente, come si dovrebbe confare a persone del loro calibro, la questione. La calma apparente è presto smascherata e lo spettatore si ritrova immediatamente rapito da un vortice che prende velocità sulla circolarità scenica brillantemente curata da Carluccio, e che si alimenta con rabbia, acidità, violenza ed ipocrisia.
Con il procedere della rappresentazione, i personaggi non appaiono più come blocchi monolitici e, sgretolando la spessa corazza costruita sulla base di formalità e di buona educazione, lasciano trasparire le grette bestie interne che iniziano a sbranarsi a vicenda. Allo squillo del campanello, le pedine prendono posto sulla scacchiera da combattimento: Veroniqué e Michel presentano la loro formazione a testuggine, dando l’idea di un’impossibilità totale di penetrazione, mentre Annette e Alain propongono agili assalti alternati. Prima ancora di vedere la seconda mossa, ci si rende conto che una fazione è altamente vacillante: i Reille, nella foga degli attacchi, non feriscono più il nemico ma si trafiggono fra di loro a colpi di cellulare.
Alessio Boni regala tutto se stesso nei panni del cinico uomo d’affari che calpesta la frustrata ed isterica moglie, acidamente, ma mai sopra le righe, interpretata da una brillante Michela Cescon. La formazione si destabilizza sino al punto di rottura, mettendo a nudo la solitudine vissuta all’interno della coppia, la totale incapacità di sostegno reciproco: ci si aspetterebbe soltanto il sibilo del colpo mortale inferto allora dalla rivale coppia testuggine, ma la scacchiera muove autonomamente le sue pedine.
Ed è la volta dell’emersione del mostro di Michel che, con una mossa inaspettata, consegna la moglie agli avversari. Un Silvio Orlando strepitoso che svela tutta la sua crudezza attraverso una micidiale rabbia tranquilla che fa crollare il mondo di superiorità valoriale costruito ad arte dalla superba Anna Bonaiuto, nelle vesti della moglie idealista. La regia di Roberto Andò aumenta vertiginosamente la temperatura della pièce sino ad infiammarla con scintille di risate amare e stilettate di inquietudine, sino a far della realtà mera terra bruciata. Resta soltanto un sapore duro e realistico, specchio della fragilità dei nostri tempi, della nostra incapacità di entrare in contatto profondo con chi apparentemente ci è accanto; tutto perché abbiamo deciso di aprire le porte al Dio della Carneficina.