“Il tango è un pensiero triste che si balla”, così lo definì Enrique Santos Discépolo. La base del tango è il passo in sé, dove per passo s’intende il normale passo di una camminata.
È una danza basata sull’improvvisazione, caratterizzato da eleganza e passionalità. In pista non esiste l’idea di sequenze predefinite, sta dunque alla fantasia dei ballerini costruire come in un dialogo il proprio ballo. Daniele Binelli, Pilar Alvarez e Claudio Hoffmann costruiscono uno show coinvolgente con Tango Metropolis ripercorrendo le tappe significative del ballo sensuale per eccellenza.
Il sipario del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia si apre lasciando subito scorgere al pubblico triestino l’aspetto “metropolis”: lo si vede dagli aspetti torbidi e fatiscenti dei quartieri di Palermo ‘vieja’, San Telmo e La Boca, nell’antica Buenos Aires; da lì, vicino alle “radici italiane”, i magnifici interpreti di questo spettacolo ci restituiscono una rappresentazione che risponde all’immaginario collettivo di questo ballo denso di dramma e passione: incontri a tinte fosche, pulsar di ‘sentimento danzato’, messaggi inscritti e trasmessi con il corpo, gioco di coppie… È Tango. Sono poi la ricchezza e lo spessore dell’orchestra ‘dal vivo’ a colpire l’attenzione dello spettatore: al centro il mitico “bandoneon”, strumento simile alla fisarmonica, dalla particolarissima sonorità, capace di duettare con la chitarra. Poi gli ‘assolo’ del pianoforte, del violino, e persino del contrabbassista che si esibisce con la fisarmonica a bocca… Su queste note da ‘salòn’ i ballerini abiurano al nero assoluto per offrire dapprima un’esibizione raffinata e nostalgica, seguita da un numero colorato con lo scherzo e l’ironia di cui è ed era capace la ‘milonga’ eseguita negli spazi diurni dei vari ‘Viejo Cafè’.
Stimolante la citazione da Scent of a Woman (Profumo di donna)1 con un ballerino effettivamente somigliante al grande Al Pacino del film! Peccato però che la coreografia qui tenda un po’ a strafare, imponendo ad una ballerina di imitare, con la figura dell’‘abanera’, quasi una Venere steatopigia (il riferimento è alle tipiche sculture neolitiche che riproducono corpi femminili dalle cosce e glutei molto grossi, ndr) calata nella danza della vita quotidiana. Più sobrio il numero virtuoso offerto da un ballerino solista, con scope e spazzoloni a mimare i passi della dama. I cinque uomini della compagnia, da soli — e tra di loro! — ci offrono degli interessanti “spunti di riflessione danzata” nella seconda parte dello spettacolo. “Com’è nato il tango? E dove ha avuto origine?”: ci aiutano a comprendere semplicemente assistendo alla loro esibizione.
Intuiamo in che modo si sia sviluppato questo ballo, passato dalle sudate solitudini maschili della ‘pampa’, agli agognati incontri nei bordelli ‘porteni’, senza che nulla sia perso dell’assoluta virilità né della totale femminilità di tutti gli interpreti, che anzi giocano ad un rialzo sensuale nell’incontro delle coppie. A questo punto entra in gioco il rosso, potente messaggio di presenza erotica, di seduzione, portato in scena dai costumi indossati e fatti vorticare e volteggiare dalle ballerine; entra in gioco il pulsar del cuore, presentato, esaltato e amplificato da tre tamburi che ne scandiscono il tempo; entra in gioco l’“hic et nunc” proposto e richiesto al pubblico da tutti i bravissimi interpreti di questa compagnia con un battito di mani scandito e coinvolgente. Siamo così arrivati al finale, ai giorni nostri, ad oggi: tutti noi spettatori abbiamo partecipato al sogno del Tango, presenziando al suo erotico svelarsi, divenendo compartecipi del suo sensuale svolgimento, mettendo in scena i nostri stessi impulsi nella metafora calda e ricca che Tango Metropolis ci ha offerto e permesso di applaudire.