La luce malinconica avvolge la scena dal primo istante nel riuscito allestimento del Teatro Eliseo e dello Stabile di Firenze de L’intervista, di Natalia Ginzburg. Un cast d’eccellenza coordinato da Valerio Binasco, tra gli attori-registi più apprezzati del momento, riesce a trasformare il palco in uno stralcio di vita con naturalezza e semplicità. Maria Paiato, una delle più importanti figure che il teatro italiano abbia rivelato, veste i panni di Ilaria, la rassegnata compagna di un importante uomo politico che non compare mai, sebbene tutta la trama si sviluppi attorno a lui. Le lente e trascinate movenze dell’attrice rendono perfettamente la privazione di volontà del personaggio: Ilaria si lascia vivere, sopportando dolore e umiliazione con una rassegnazione sconcertante. Anche Marco Rozzi, alias Valerio Binasco, lascia che sia la vita a decidere per lui: i suoi slanci di volontà paiono flebili reazioni agli stimoli esterni piuttosto che tentativi di lotta per la propria affermazione.
L’ombra di vana dissolvenza si protrae inesorabilmente su tutta la pièce, alla stregua de Il vecchio e il mare e de Il deserto dei Tartari: l’attesa della grande occasione del marlin di Hemingway, dell’attacco dei Tartari di Buzzanti e dell’intervista della Ginzuburg consuma tutti e tre i protagonisti fino alla beffa finale. Un pescatore, un militare e un pseudo giornalista inseguono il proprio obiettivo sino a vederselo sfumare proprio ad un soffio dal traguardo. Eppure, proprio in quell’istante, si arricchiscono di qualcosa di incredibilmente più grande. Il vecchio Santiago ritrova la forza, l’orgoglio e il coraggio che sembravano già persi da tempo, l’ambizioso Drogo riscopre la sua personale missione, ovvero affrontare la morte con dignità, e il maldestro Marco Rozzi entra in contatto con la sua maturità. A differenza di Hemingway e di Buzzanti, che fanno dei loro protagonisti la creta isolata sulla quale l’esistenza disegna le sue crepe, Natalia Ginzburg restituisce al pubblico un ritratto del suo personaggio mettendo in scena le sue relazioni. Marco Rozzi, infatti, inseguendo il noto Gianni Tiraboschi nella speranza di ottenere l’intervista che avrebbe potuto dare una svolta alla sua carriera giornalistica, incontra invece due donne legate all’intellettuale: Ilaria, la compagna e Stella (Azzurra Antonacci) la sorella.
Il giornalista si reca nella villa di campagna di Tiraboschi, dove vivono le due donne, e tenta di colmare l’interminabile attesa chiacchierando con Ilaria. I due, in un primo momento, cercano banali argomenti da conversazione “borghese” dimostrandosi goffi ed incerti; poi iniziano ad aprirsi l’un l’altro svelando parti molto intime della loro personalità. L’affinità è evidente, ma le personali dinamiche psicologiche di entrambi li rendono ciechi dinnanzi alla magia del loro incontro. Ilaria, infatti, intrappolata nel ruolo di vittima delle circostanze, dedica la vita ad un uomo che la abbandona, che la tradisce e che la rende profondamente infelice; ciò nonostante, sopporta l’egoismo dell’amato con rassegnazione e decide di prendersene cura a qualsiasi condizione. Marco, d’altro canto, si fa ingenuamente abbagliare dall’effimero, senza mai entrare realmente in contatto con i propri desideri.
Il primo evidente luccichio che lo confonde prende le forme di una donna, proprio in quella casa di campagna: sedotto dalla bellezza di Stella, cercherà di convincerla ad andare a Roma. Gianni Tiraboschi non si presenta all’appuntamento e Marco sarà costretto a rimandare l’intervista l’anno seguente. Nel frattempo Stella cede alle avance del giornalista e i due intessono una difficile e, per Marco dolorosa, relazione che si conclude con la fuga di Stella. Gianni Tiraboschi accetta di farsi intervistare e Marco parte nuovamente verso la casa di campagna. Lo accoglie ancora una volta Ilaria, che chiacchiera con lui in attesa del compagno; il dialogo evidenzia nuovamente la loro affinità, ma i due permangono in uno stato di totale cecità. Il politico si dimentica dell’incontro e Marco è costretto a tornarsene a Roma nuovamente a mani vuote. L’intervista potrà aver luogo solo dieci anni più tardi, quando ormai avrà completamente perso di senso. Eppure Rozzi decide di farla, riuscendo per la prima volta nella sua vita ad andare oltre i luccichii.