ShawLa professione della signora Warren, scritta nel 1898, fu rappresentata per la prima volta al New Lyric Club di Londra il 5 gennaio 1902 e subito ritirata per le frecce scagliate dalla censura dell’Inghilterra vittoriana, causa l’audacia del tema e per le idee sostenute nella trama. La censura tolse il veto agli allestimenti soltanto nel 1924. Impostata secondo la tradizione del teatro naturalista francese, l’opera — che fa parte della raccolta Commedie Sgradevoli — è un saggio straordinariamente esemplare del linguaggio e del tipico umorismo di George Bernard Shaw (1856-1950), premio Nobel nel 1926. Lo stesso autore, nel 1897 in una corrispondenza con l’attrice Ellen Terry, sottolineava come questo suo lavoro fosse di gran lunga la migliore commedia che avesse scritto e la più attuale.

E lo è a tutt’oggi probabilmente, se letta attraverso un certo degrado morale che non sembra provare troppo pudore nel mostrarsi. La professione a cui allude il titolo è la più antica del mondo e tanto basta al geniale Shaw per dare vita ad una commedia brillantissima e dirompente, dove il tema viene affrontato senza moralismi, anzi denunciando l’ipocrisia ed i compromessi della società. La storia è quella di Vivie, una ragazza brillante, moderna e “di sani principi”. Cresciuta con spirito fiero e indipendente senza quasi conoscere la madre, scopre all’improvviso di essere stata generosamente allevata ed educata nelle migliori scuole e università grazie ai proventi che questa trae da varie case di malaffare sparse in tutt’Europa. Al suo comprensibile choc, la madre risponde difendendo la propria “professione” e sostenendo una scelta “imprenditoriale” che l’avrebbe portata con successo ad uscire dalla miseria.

Una scena dello spettacolo

Il denaro guadagnato in questo modo, spiega la distinta signora Warren, non è diverso da quello ricavato “onestamente” e anzi permette alle sue lavoratrici proventi e condizioni molto più vantaggiose che se facessero le operaie. Attraverso questa sfrontata provocazione, l’intento dell’autore non era tanto di destare scandalo quanto piuttosto di denunciare le impossibili condizioni del proletariato rosa. Le operaie in quegli anni venivano sfruttate e ricavavano infatti salari miseri che spesso neppure consentivano loro una vita dignitosa, con le immaginabili conseguenze immorali descritte nell’opera di Shaw. L’idea dello scrittore era lo scontro tra l’individuo e la società e anche qui, come in Le Case del Vedovo, tutti i personaggi portano una parte di responsabilità dei mali sociali: come Vivie, che si dedica e si rifugia materialisticamente negli affari, cosciente del fatto che per farsi strada dovrà essere dura e spietata. Ben delineata è anche la figura della signora Warren, che si serve di tutti i mezzi per conquistarsi l’affetto della figlia: la tenerezza materna, il ricatto affettivo, il vittimismo nel giustificare i motivi che l’hanno spinta nel mondo della prostituzione.

Nel nuovo allestimento  del capolavoro di Shaw, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano e andato in scena a Trieste al Teatro Orazio Bobbio nella traduzione di Angelo Dallagiacoma, il controverso personaggio è affidato a Patrizia Milani, una convincente e consumata primadonna, affiancata nella parte della figlia Vivie da una Gaia Insenga a tratti sin troppo spigolosa. Accanto alle due protagoniste femminili Carlo Simoni è il losco Sir George Crofts, Riccado Zini dà corpo all’amico di famiglia Praed, Andrea Castelli interpreta il Reverendo, mentre il giovane e duttile Massimo Nicolini è il suo scapestrato figlio Frank. La regia porta la firma di Marco Bernardi, che a distanza di alcuni anni torna a cimentarsi con un’opera di Shaw dopo il successo de Il maggiore Barbara con Gianrico Tedeschi, mentre scene, costumi e luci sono rispettivamente di Gisbert Jaekel, Roberto Banci e Lorenzo Carlucci.

Una scena dello spettacoloL’ambientazione scenografica e temporale decisa da Bernardi e Jaekel colloca gli avvenimenti negli anni Cinquanta e gli attori compaiono in scena per dar inizio alle recita. Lo spettacolo fila, il ritmo è ben retto, gli interpreti nel complesso funzionano, ciò nonostante c’è qualcosa che non convince pienamente. Al di là dello spunto iniziale, l’impostazione dello spettacolo rimane poco originale. La regia non è particolarmente vivace e gli interpreti, seppur bravi, sembrano troppo spesso poco interpretanti, aderenti a dei personaggi stereotipati che reggono il proprio ruolo ma diventano quasi impersonali. Non ci sono difetti evidenti che mettono alla prova lo spettatore, nei momenti migliori capace di appassionarsi anche alle vicende rappresentate, eppure la centralità della parola è troppo preponderante e sbilanciata rispetto alle altre componenti della rappresentazione che rimangono opache e poco incisive. Certo una commedia di Shaw resta pur sempre una brillante commedia di Shaw, e se anche la messa in scena non conquista ma tutto sommato funziona, come in questo caso, vale indubbiamente la pena di essere vista.