Coperta de Senza perdere la tenerezzaChe accade quando a raccontare i rasoterra di un’isola e del suo popolo non sono scrittori che vi siano nati, lì vissuti e sopravvissuti, o in esilio per malinconia? Paco Ignacio Taibo II, messicano, eminenza della letteratura latinoamericana, anni fa battezzò con il romantico “Senza perdere la tenerezza” un’opera dedicata alla figura del Che predestinata a celebrità. Libro apologetico tradotto e diffuso in molte lingue, pur rappresentando, nel suo intento, un atto d’amore in buona fede, si accodò, non certo ultimo, a una lunga serie di inni ideologici su Cuba. Opere d’autori radicati in altri mondi, che contribuiscono a imbalsamare con unguenti idealistici una realtà cubana ormai defunta. Atti che trasformano il paese in riserva mitica dei buoni propositi, isolandolo più di quanto già isola non sia.

D’arte cubana oggi poco si sa; è necessario risalire alle Tre Tristi Tigri dell’esiliato e mai poco rimpianto Cabrera Infante per trovarsi di fronte a un’opera omnia di sangue habanero. Ultimo segnale, che risale alla decade dei Settanta. Il prestigioso premio letterario Casas des Americas assegnato annualmente a L’Avana, è imprescindibile da una giuria che alterna Paco Thaibo II a Luis Sepulveda, cileno. Altro segnale che indica quanto a giudicare e filtrare alla fonte la letteratura cubana siano firme eminenti, oltre che per l’indubbio talento, per la propensione a uno schieramento ortodosso “a sinistra”, che tende a distorcere con cieca ideologia una realtà di vita davvero complessa, vera e unica fonte di cultura.

Ma cosa si sa dell’isola oggi? È davvero inaridita a tal punto da lasciare solo a potenti letterati stranieri il compito di de-scriverla? Al di là del finto cambio di guardia avvenuto tra i Castro – che implicherebbe tra i più ottimisti una tiepida apertura – per capire l’isola bisognerebbe andarsela a respirare. Forse che così basterebbe? Sorge il dubbio se non sia necessario entrare in contatto anche con i fuoriusciti, quei cubani cancellati da una diaspora capace di raccontare Cuba senza veli né romanticismi.

Edmundo DesnoesCiò accade, con cadenza biennale, al Festival Internacional de Cine Cubano di Monaco di Baviera. Quello recentemente concluso, mi è sembrato luogo finalmente sdoganato da qualsiasi altro interesse intellettuale che non fosse quello dei cubani che raccontano Cuba in svariate forme d’arte. Cubani riuniti in Baviera su un palinsesto eterogeneo a tutto tondo.

Cuba? Isola dove i sogni di generazioni defunte s’impongono a giovani naufraghi disillusi dal reale: vincere o morire per chi vorrebbe solo vivere non significa nulla” dice Edmundo Desnoes, ex direttore del cinema di stato. Stimato sceneggiatore, invitato nel 1969 alla biennale di Venezia, scelse l’esilio. Il suo “Fallire insegna” lo accomuna a Monika Krause, “Regina del Condom”: storia vera d’una giovane tedesca che innamorata d’un capitano di L’Avana lo segue a Cuba. Vent’anni dopo diventa ministro per l’educazione sessuale, ma a causa della sua stessa rivoluzione viene invitata a lasciare, con i figli, isola e marito. Dal 1998 fa parte del direttivo Onu per la pianificazione familiare.

A Luis Lamothe, pittore tra i più geniali, invece, il governo ha concesso un pass per il festival. Luis incide su linoleum e legno i negativi delle sue stampe. Qui ha portato un vero panorama: duecento metri di finestre sul Malecon in bianco e nero. “Non fatemi parlare di politica” dice, ignorando quanto la battuta politica già lo sia.

 

Amir Valle è araldo raffinato della lecteratura sucia. Nel 2006 riceve il prestigioso Vargas Llosa per la novellistica: “Al rientro mi notificarono l’espulsione. Telefono ogni sera a mio figlio per dirgli che sto bene”. L’ultimo lavoro, Habana Babilonia, excursus rasoterra sulla prostituzione sbanca l’Europa: “Solo in Italia non riesco a pubblicarlo. Mi si dice che su Cuba si è scritto fin troppo, ma il problema è che a farlo non sono quasi mai scrittori cubani”.

Quando chiedo ad Amir Valle se ha provato a contattare Luis Sepulveda, sorta di padrino della letteratura sudamericana in Italia, sorride divertito. “Luis è un uomo che una volta conosciuto, si adora o detesta”. Gli scrittori d’una realtà tra le più controverse al mondo, dopo aver superato la censura del regime grazie all’esilio, pare debbano subire il filtro di certi ideologi che, per convinzione o tenerezza, al comunismo di Castro strizzino ancora l’occhio. Una seconda diaspora.

En La Bodega, quadro di Luis Lamothe