Mi sono risvegliato dalla Malattia a quarantacinque anni, calmo e sano di mente, e in condizioni di salute ragionevolmente buone non fosse stato per il fegato debilitato e quell’aspetto di carne in prestito comune a chi è sopravvissuto alla Malattia… Quasi nessuno ricorda il delirio nei dettagli. A quanto pare io ho preso appunti dettagliati sia sulla malattia che sul delirio. Non ho un ricordo preciso degli appunti presi e ora pubblicati con il titolo Pasto nudo […] Il titolo significa esattamente ciò che le parole esprimono: Pasto NUDO — l’istante, raggelato, in cui si vede quello che c’è sulla punta della forchetta”
William Seward Burroughs

William Seward BurroughsParlando di William Burroughs, Fernanda Pivano lo ha definito come uno scrittore a metà strada tra fenomeno letterario e fenomeno di costume. E non si può negare che, in effetti, con l’introduzione dell’ abitudine alla droga fra gli scrittori “maledetti” del secondo dopoguerra, abbia lasciato un segno indelebile nel panorama letterario del secolo scorso.

Il miglior modo per parlare di Burroughs è sicuramente parlare di Pasto nudo, la testimonianza per eccellenza di chi si ritrova dentro il tunnel della droga, abbandonato a visioni e sofferenze, alla perenne ricerca di una dose che soddisfi il corpo e la mente e che plachi i dolori fisici non facendo pensare ad una grigia esistenza. La città in cui si muove è piena fino all’orlo di tossici e pervertiti di ogni genere, pronti a farsi di qualsiasi cosa, dallo sciroppo per la tosse all’eroina.

Leggere il testo appare fin da subito molto difficoltoso e si può essere tentati dall’abbandonare: per non farlo bisogna cercare di entrare nella mente dell’autore, di vedere con gli occhi del “tossico”, e non lasciarsi troppo impressionare dalle descrizioni crude e deliranti che risultano essere il segno distintivo della sua scrittura.
Il romanzo, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1959 dall’Olympia Press, lo consacra all’eternità: il processo per oscenità messo in piedi negli Stati Uniti nel 1962, amplifica l’influenza che l’autore già esercita sulla cultura underground alternativa dell’epoca, che l’aveva accolto come una rivelazione. Il suo fascino rimane intatto, per decenni, influenzando ancora oggi generazioni di scrittori, lettori e cineasti in ogni angolo della terra. Padre di tutte le opere successive, Naked Lunch parla di droga, sesso, carne, torture di ogni tipo, complotti e lotta tra il Bene e il Male per il controllo psicologico della razza umana attraverso il diffondersi di sostanze allucinogene.

La figura dominante è quella del Dottor Benway, direttore del Centro di Ricondizionamento nella Repubblica della Libertà, che assume le sembianze del Male in persona e conduce il protagonista Lee (alter ego dello scrittore) nel viaggio attraverso l’oscurità. Il tutto in una satira cinica e velenosa, che viene dal profondo dell’animo di Burroughs (certamente egli preferiva la compagnia degli animali a quella dei suoi simili), e crea un’opera grandiosa. A parere di chi scrive, paragonabile solo a quella di Joyce e Swift, o alla rivoluzione di Warhol in campo artistico:

Trafficanti di Carne Nera, la materia del gigantesco, nero centopiedi acquatico trovato in un vicolo di rocce nere e di brune lagune iridescenti, mostrano crostacei paralizzati in tasche mimetizzate della Plaza visibili soltanto ai Mangiacarne. Seguaci di impensabili commerci obsoleti, che scarabocchiano in etrusco, tossicodipendenti da droghe non ancora sintetizzate, uomini del mercato nero della Terza guerra Mondiale, estirpatori di sensibilità telepatica, osteopati dello spirito, investigatori di infrazioni denunciate da miti giocatori di scacchi paranoici, portatori di mandati frammentari in stenografia ebefrenica che denunciano ineffabili mutilazioni dello spirito, funzionari di stati di polizia non costituiti, broker di squisiti sogni e nostalgie sperimentati sulle cellule sensibilizzate di chi è in astinenza e barattati in cambio di materie prime della volontà, bevitori del Liquido pesante sigillato nell’ambra traslucida dei sogni…”

Altra opera essenziale per capire il percorso letterario e culturale di Burroughs è Junkie, pubblicato in Italia con il titolo La scimmia sulla schiena, termine coniato dallo stesso autore per definire l’astinenza da eroina. Il libro racconta di un viaggio che lo porta in Messico alla ricerca di una sostanza allucinogena chiamata dagli indigeni sudamericani yage. Rappresenta il primo tentativo di Burroughs di raccontare al grande pubblico la sua esperienza con la droga, ma in modo razionale, distaccato e quasi scientifico: l’autore testa delle sostanze chimiche sul proprio corpo e osservandone i risultati.

copertina di Pasto Nudo di BurroughsDopo questo suo primo romanzo/manuale ne seguiranno altri, tutti scritti in modo folle e visionario, contorti a tal punto che le frasi appaiono spesso prive di significato e disconnesse dal testo, come brevi sinapsi che balenano nel cervello per un solo istante. La droga rimane il tema principale in tutta l’opera dello scrittore: funge da mezzo necessario per sondare nelle profondità dello scibile umano, disgregare la materia e l’anima e sfuggire al controllo del “Sistema”, che ci vuole tutti uniformati a un modello di pensiero dominante. La sottrazione a questo controllo è vista come indispensabile per realizzare la vera libertà.

La tecnica usata da Burroughs per i suoi libri è quella del cut-up, ovvero un’operazione di disgregazione e scomposizione della frase seguita da un riassemblamento in forma casuale, che riflette la paranoica ossessione dell’autore per ogni forma di controllo che viene dal sistema, inteso sia come società nel suo complesso, sia come qualunque insieme di valori (siano essi religiosi, culturali o dottrinali). Evitare il controllo diventa, nella sua visione del mondo, strumento indispensabile per la trasformazione dell’uomo da succube in artefice del proprio destino.

Materialmente il cut-up si può eseguire in diversi modi, suggeriti dallo stesso Burroughs: il più elementare consiste nel tagliare una pagina in quattro sezioni e dare loro una nuova sequenza, per poi proseguire spezzettando le parti in unità sempre più piccole. Ma questa tecnica può trovare forme di utilizzo diverse dalla letteratura: ne sono un esempio gli esperimenti con nastri di cassette audio fatti, tra gli altri, anche da Brion Gysin, registrando in collaborazione con il sassofonista jazz Steve Lacy. Le parole originali vengono in tal modo svuotate del loro significato, e lasciano posto a nuovi vocaboli, composti da vari spezzoni, che potrebbero essere efficacemente impiegati dai mass media per rimodellare il flusso di informazioni a cui quotidianamente siamo sottoposti.

Dopo l’esperienza messicana si apre per Burroughs un lungo periodo di permanenza a Tangeri, zona internazionale a statuto speciale sulla costa del Marocco. Qui, tra il 1953 e il 1958, l’autore raccoglie un migliaio di pagine dattiloscritte, un archivio letterario che darà vita a Naked Lunch ma che fungerà anche da materiale narrativo per innumerevoli romanzi che lo seguiranno. In quel periodo lo scrittore viveva in un totale stato di apatia: ridotto ad un vegetale, il suo unico scopo era quello di procurarsi la droga che circolava liberamente nella città; emarginato dagli altri stranieri, i suoi unici contatti avvenivano, oltre che con gli spacciatori, con i ragazzi di strada. Il suo mondo in quei quattro lunghi anni è rappresentato dallo squallido appartamento in cui vive, intento a spararsi dosi sempre maggiori di morfina ed eroina. Nel libro racconta per la prima volta le esperienze di Lee, il suo alter ego, diviso tra la necessità di procurarsi la “roba” e il richiamo dell’umana sopravvivenza, il tutto condito di atmosfere allucinate, rese ancor più distorte dalla tecnica del cut-up.

Ad un passo dal baratro, Burroughs si accorge istintivamente di dover fare qualcosa: investe i suoi ultimi risparmi comprando un biglietto aereo per Londra, dove si sottopone ad un trattamento disintossicante con l’apomorfina, che lo riabilita completamente in pochissimo tempo. Trasferitosi per un mese in Scandinavia, chiuso nella sua camera d’albergo ventiquattrore su ventiquattro, riesce in poco tempo a mettere insieme il testo definitivo di Pasto nudo, anche grazie all’aiuto di Kerouac, Ginsberg e Orlovsky arrivati in visita dall’America.
Il libro rappresenta il caos mentale dell’autore, la storia è disarticolata e frammentaria, ben nascosta tra le pagine, ma vi si trova tutta la sua biografia: il suo doppio, Lee, alla perenne ricerca di droga nell’Interzona-Tangeri e la cura disintossicante del Dottor Benway, ne sono gli esempi più chiari.

Nell’introduzione a Naked Lunch, l’autore descrive il suo modo di intendere la droga, considerandola come una vera e propria malattia, anzi un vero e proprio virus, il problema sanitario numero uno nel mondo:

copertina di Naked Lunch di William Seward BurroughsIn quindici anni di tossicodipendenza ho potuto constatare con esattezza come opera il virus della droga. Esso forma una piramide, in cui un livello divora quello sottostante […] La roba è il prodotto ideale…la merce ultima. Per venderla non sono necessarie tante chiacchiere. Il cliente è disposto a strisciare in una fogna supplicando di poterla comprare… Il mercante di droga non vende il suo prodotto al consumatore, vende il consumatore al suo prodotto […] Se volete alterare o annientare una piramide di numeri in correlazione seriale dovete alterare o rimuovere il numero alla base. Se vogliamo annientare la piramide della droga dobbiamo partire dalla base: il Tossicodipendente della Strada, e smetterla di partire lancia in resta contro i mulini a vento, cioè contro i pesci grossi, i quali sono tutti immediatamente sostituibili. Il tossicodipendente della strada, che ha bisogno della roba per vivere, è l’unico fattore insostituibile nell’equazione della droga…”

Burroughs, nelle stesse pagine, ci svela però che il vaccino a questo dilagante virus della droga esiste, è una cura sperimentale a base di apomorfina, scoperta da un medico inglese di cui non viene rivelata l’identità, ma che ha comunque raccolto i risultati delle sue scoperte e delle sue sperimentazioni su tossicomani ed alcolisti.
Rileggendo quest’opera a distanza di anni, non si può che concludere con una semplice considerazione: di lui oggi resta, imponente, l’opera somma della cultura beat, Naked Lunch, di cui fu padre spirituale; rimangono i suoi deliri, la sua coscienza di sperimentatore, la sua acida visione della realtà, le immagini sovrapposte di vite bruciate; rimane il suo Inferno e la sua voglia di libertà, che ha così profondamente ed inconsciamente influenzato tutta l’arte che l’ha seguito ed affascina ancora oggi, a più di cinquant’anni di distanza, centinaia di migliaia di lettori in tutto il mondo.