Quest’anno il Trieste Film Festival ha arricchito il calendario degli incontri con “Eastweek. Nuovi talenti grandi maestri”, sezione pensata per creare una rete tra le scuole di cinema dell’area CEI.
Il progetto, finalizzato alla produzione di un film, ha offerto agli studenti delle accademie di Lubiana, Belgrado, Novi Sad e di altre città dell’Europa orientale una preziosa occasione di conoscenza ed approfondimento con gli autori ‘storici’ del festival.
Protagonista della prima giornata è stato Jerzy Stuhr, che ha tenuto una masterclass dal titolo “Il percorso di un film d’autore”: nella sua lezione il noto attore e regista polacco si è concentrato in particolare sulle tecniche di regia, sulla recitazione e la sceneggiatura, affiancate dalla proiezione di alcuni frammenti dei suoi film Storie d’amore e Il grande animale. Il secondo appuntamento ha visto il ritorno, dopo la retrospettiva del 2003, di Andrzej Zulawski con le sue “Conversazioni con il cinema”. Nella giornata successiva, la regista ungherese Marta Meszaros ha parlato de “Le registe nell’Europa orientale”. A conclusione dell’iniziativa, sono stati proiettati i film di diploma di Roman Polanski, Wim Wenders e Martin Scorsese nell’incontro di Dinko Tucakovic “Da studenti di cinema a registi di culto”.
Molto attesa e curiosità ha suscitato l’incontro con Andrzej Zulawski, che ha tenuto onore alla sua fama di regista ‘fuori dal coro’ rivolgendo aspre critiche all’establishment, dall’assegnazione degli Oscar alle giurie dei festival, sempre più piegate alle logiche di mercato. Bisognerà però attendere ancora per conoscere maggiori dettagli sul progetto del suo nuovo film, sul quale finora ha mantenuto un riserbo assoluto.
L’incontro è stato soprattutto l’occasione per ripercorrere le tappe salienti della sua carriera. Dagli esordi alla regia come assistente di Andrzej Waida, fino al successo internazionale raggiunto con Possession, film vincitore della Palma d’oro al festival di Cannes nel 1981, il percorso di Zulawski si è spesso scontrato con la feroce censura del regime comunista. A partire dal suo primo lungometraggio La terza parte della notte (1971). Le autorità polacche colpiscono anche il successivo Il diavolo (1972), proibito per sedici anni, così come Sul globo d’argento (1976), che viene interrotto prima della fine delle riprese, per restare ‘congelato’ fino al 1989, quando, dopo la caduta del Muro, verrà chiesto a Zulawski di completarlo.
Considerato dalla critica marginale rispetto all’opera del più conosciuto Roman Polanski, quello di Zulawski resta comunque, insieme a quello di Jerzy Skolimowski, tra i più importanti esempi di cinema apolide. Si tratta cioè di registi che, pur mantenendo un forte legame con la terra d’origine, hanno individuato nella macchina da presa lo strumento privilegiato in grado di varcare i confini del proprio paese per raggiungere così anche il pubblico occidentale.
Nel 1996, dopo un lungo esilio, Zulawski è tornato in Polonia, dove vive vicino a una foresta situata alla periferia di Varsavia, dedicando la maggior parte del suo tempo alla scrittura di romanzi e alla regia di opere liriche. Tra i suoi film più celebri, insieme a Possession, restano L’importante è amare (1974), La Sciamana (1997), e i quattro film interpretati dalla sua attrice feticcio ed ex compagna Sophie Marceau: L’Amour braque-L’amore balordo (1985), Le mie notti sono più belle dei vostri giorni (1989), La nota blu (1991) e, da ultimo, La Fidelité (2000).
Domanda (D): La letteratura può essere un limite per il cinema?
Andrzej Zulawski (AZ): Il cinema e la letteratura sono una coppia un po’ strana, comunque l’una senza l’altro non potrebbero esistere. Forse la domanda corretta sarebbe quale dei due è culturalmente superiore, ma questo non lo so. La letteratura arriva più in profondità, si basa su un rapporto più intimo con lo spettatore, mentre il cinema sembra fatto per raggiungere un’audience molto più vasta.
D: Perché, dopo aver studiato in Francia, ha deciso di ritornare in Polonia per girare il suo primo film?
AZ: In quel momento il mondo era diviso in due, da una parte l’Europa comunista e dall’altra quella capitalista: compresi che il cinema era l’unico strumento che consentiva di comunicare e trasmettere al pubblico l’idea di quello che il mondo dell’Est stava vivendo in quel periodo, il cinema era allora l’unico mezzo per mostrare senza giudicare. Il cinema è stato senza dubbio più importante per l’Est che per l’Ovest. Al contrario di altri registi polacchi della mia generazione — come Roman Polanski, che ha scelto di andare a lavorare a Hollywood — per me è stato assolutamente naturale scegliere di girare in Polonia.
D: Suo figlio ha scelto di fare il regista, che cosa gli insegna?
AZ: Ai figli puoi insegnare solo chi sei tu, e non chi sono loro. Da soli sono in grado di capire che esistono dei modelli, spetta a loro decidere se accettare di aderire a quel modello oppure no. Così come non sopporto i genitori che dicono “fa’ questo, fa’ quello” spero anche di non aver mai fatto dei film per pontificare su ciò che è bene oppure su ciò che è male. Il compito del regista dovrebbe essere quello di illustrare al pubblico i problemi che lo circondano, senza pretendere di fornire delle risposte, o, peggio ancora, delle soluzioni: siete voi che dovete darvi delle risposte. Alla fine, se proprio dovessi dare un insegnamento, vi direi “Non mentite a voi stessi”.
D: Com’è partita l’idea del film Possession?
AZ: All’inizio Possession è stato pensato per essere ambientato a Varsavia, mi sembrava una città triste e grigia, perfetta per ambientare la storia di una donna frustrata e ridotta sull’orlo della pazzia. Poi il film l’ho scritto a New York, e quando mi sono trovato di fronte ai produttori americani che mi chiedevano di raccontargli la storia gli ho spiegato: “Be’, è la storia molto semplice di una donna che scopa con un polipo” (ride, nda). Per fare questo lavoro bisogna saper mentire ai produttori! Infine, il film l’ho girato a Berlino, che mi sembrava adatta per mostrare la storia di un conflitto, perché era una città vicina al blocco comunista. Pensate che in America è diventato una specie di cult.
D: Come vengono considerati oggi i suoi film in Polonia?
AZ: Negli ultimi due anni in Polonia si è assistito ad una specie di revival dei miei film, mi hanno dedicato una retrospettiva che poi è circolata in sei diverse città polacche. Mi fa un effetto strano perché per diversi anni sono stato, invece, nella lista nera: i miei film in Polonia erano proibiti, e il pubblico polacco non mi conosceva. A mio modo di vedere le cose, il cinema è grande quando presenta delle componenti che durano nel tempo, quando un film non invecchia negli anni ed è in grado di resistere alle mode. Spero succeda anche con i miei libri, che in qualche modo sono una conseguenza del mio fare film: sono provocati dal cinema, ed anche per questo motivo, le storie che scrivo sono sempre molto più complesse dei miei film.
D: Ha detto che per la sua generazione fare cinema era una necessità, pensa che oggi sia ancora così?
AZ: No, oggi è completamente diverso: negli anni Sessanta e Settanta in Polonia non c’era la televisione, ed esisteva una sola radio ufficiale, gli altri segnali radio venivano oscurati. Il cinema nasceva dal bisogno di raccontare, di rappresentare la realtà, di dare voce ad altre verità.
Nei contemporanei prevale piuttosto il lato tecnologico: la voglia di sorprendere con effetti speciali, la spettacolarizzazione. Tutti aspetti che secondo me comunque non vanno sottovalutati, per questo ammiro molto George Lucas. Nella nostra cultura attuale, il cinema è più simile a una vecchia automobile.
Per tornare a sentirlo necessario bisognerebbe fare più film belli… Sapete quanti ne vengono prodotti ogni anno nel mondo? In India vengono prodotti novecento film all’anno! Per non parlare di tutti gli altri paesi. Aumenta il numero ma quelli davvero interessanti sono sempre di meno. Sono già contento se riesco a vedere almeno dieci film validi all’anno, ma sarebbe meglio se ce ne fossero molti di più.
D: Quali film le piacciono?
AZ: Mi è piaciuto molto Once, un piccolo film irlandese indipendente, ma anche The Dark Knight con Heath Ledger. Per realizzare dei film belli non ci sono ricette prestabilite. Alla fine nei festival vince l’establishment, basta pensare ai film che vincono al Festival polacco di Gdynia; così come per vincere un Oscar è necessario rientrare in una determinata categoria, seguire determinate regole. In un certo senso, possiamo dire che il cinema è molto vicino alla moda. Quando rivedo un film di Fellini mi viene da ridere e penso: “Che cosa è cambiato”? Perché una volta lo trovavo meraviglioso e ora mi sembra buffo? Stessa sorte per Bergman, che un tempo amavo e oggi trovo molto noioso. Magari tra qualche anno li amerò pazzamente di nuovo. Il cinema non è fatto di marmo oppure di pietra, ma è qualcosa che fluttua nell’aria, come una farfalla.
D: Prima ha detto che bisogna saper mentire ai produttori. Questo vale anche per gli attori? E che cosa ricorda dell’esperienza con gli attori nel film L’importante è amare?
AZ: No, mai mentire gli attori: sono creature fragili e come tali vanno aiutati. Hanno bisogno di credere nel regista e nel film, altrimenti non vanno avanti.
Klaus Kinski era interessante come attore eppure era uno degli uomini più stupidi che abbia mai conosciuto in vita mia! Lavorare con lui è stato molto difficile. Lo volevo per la sua faccia in un periodo in cui nessuno lo voleva perché era violento, dongiovanni e sempre ubriaco. Inoltre si era fatto una pessima reputazione nell’ambiente perché aveva portato via la moglie ad un produttore, pessima mossa. Mentre giravamo il film non ci sono stati scontri particolari ma mesi dopo, leggendo alcune sue dichiarazioni, appresi che mi aveva dato del ‘piccolo prete moralista’! Era uno che ordiava un po’ tutti insomma, e infatti gli è toccato un destino piuttosto triste: morì solo e dimenticato in una stanza d’albergo in Canada.
Romy Schneider era un’attrice fantastica, senza cultura e senza alcuna preparazione, ma proprio per questo poteva essere plasmata proprio così come uno voleva, e portava grande spessore ai suoi personaggi. L’unico suo difetto era che alle tre del pomeriggio anche lei era già completamente ubriaca ed era impossibile girare anche solo una singola scena!
Quanto a Fabio Testi, questo belloccio, all’inizio non lo volevo proprio, non ero interessato a lui! Lo accettai solo perché aveva co-finanziato il film. Arrivato a Parigi, infatti, l’unica cosa che gli interessava era sedurre Romy Schneider! Ad un certo punto volevamo ucciderci… Poi le cose migliorarono fortunatamente. Il problema vero di Testi è stato che non capiva il testo, non aveva afferrato davvero il film. Lo capì appena in seguito, rientrato in Italia, quando vide il film doppiato. Allora mi chiamò piangendo per scusarsi del suo comportamento.
D: Oggi il cinema attraversa una fase di crisi, a che cosa lo riconduce?
AZ: Il cinema è uno stato di crisi fin dall’inizio, non c’è quiete. Forse l’unico momento tranquillo è stato quando Cecil B. De Mille vinse undici Oscar per un film orribile (sorride, nda). Il cinema oggi avanza con balzi tecnologici, l’elettronica lo ha cambiato, il suono è cambiato, quindi direi che un primo motivo della crisi è senz’altro dovuto alla tecnologia.
D: Si riconosce nella definizione di “regista d’avanguardia”?
AZ: Mettiamola in questo modo: nel 1947 Christian Dior accorcia le gonne e apporta una vera e propria rivoluzione nel mondo della moda. È uno stilista d’avanguardia? Oppure semplicemente la situazione stava cambiando perché le donne iniziavano a lavorare e avevano bisogno di abiti più pratici, che gli consentissero di muoversi più velocemente? Insomma, quello che voglio dire è che questo genere di etichette si danno per definire qualcosa che è fuori dal comune, ma per fortuna anche questa è una moda passeggera, e mi sembra che oggi stia scomparendo.
D: Quali strategie consiglia per convincere un produttore a finanziare un film?
AZ: Trovare una produttrice e sposarla! Scherzi a parte, dovete sempre cercare di capire bene che cosa vuole il produttore, di solito loro cercano il libro da un milione di copie che garantisce al film un certo successo… Se invece avete un vostro sogno o una vostra idea, tutto diventa molto più difficile.