Segue da Cronache transiberiane (IV)

Vagone del treno cinese

Finalmente Cina! Quando, trafelati, raggiungiamo il nostro treno, pochi minuti prima della partenza, veniamo sorprendentemente accolti da due uomini in divisa. La prima impressione che abbiamo delle ferriovie cinesi è ottima: i due funzionari ci controllano gentilmente i biglietti e ci aiutano a portare i bagagli fino al nostro scompartimento, non hanno i modi bruschi delle provodnitse russe e sembrano proprio simpatici. L’aspetto più sorprendente dei due funzionari delle ferrovie cinesi è la lingua. Non avrei mai immaginato che il cinese fosse così ricco di suoni gutturali. Andrea passerà le 24 ore successive ad imitarli.

La guida alla Transiberiana che ci ha accompagnato lungo il nostro viaggio descrive piuttosto fedelmente le classi in cui sono divisi gli scompartimenti del treno nelle diverse nazioni. Infatti non ci siamo stupiti più di tanto dei treni russi: eravamo preparati al peggio. Sui treni cinesi, racconta la guida, ci sono due prime classi. C’è la prima classe deluxe — che prevede due cuccette, rivestimenti in legno, moquette e poltrona nonché un box doccia ogni due scompartimenti — e c’è la prima classe SV (Spalny vagon: vagone letto) — uguale alla seconda classe ma con due cuccette invece di quattro per ogni scompartimento. Io, nei giorni precedenti al viaggio per Beijing, ho spesso sognato di viaggiare nella prima classe deluxe ma pensavo fosse un lusso per pochi privilegiati. Invece, appena entriamo nel nostro scompartimento, vedo la poltrona e su una porta l’icona della doccia, probabilmente ci sono anche i rivestimenti in legno ma questo è l’aspetto meno importante. Wow! Ci siamo anche noi tra quei pochi privilegiati che viaggiano in prima classe deluxe e che, probabilmente, sono molto più numerosi di quanto abbia immaginato.

Partiamo da Ulaanbaatar alle 8.10 del 18 maggio e arriveremo a Beijing l’indomani nel primo pomeriggio. Ci aspetta la traversata del deserto del Gobi che non vedo l’ora di affrontare. Però non abbiamo l’animo leggero come nelle precedenti trasferte perché il giorno prima di partire abbiamo letto sull’UB Post — settimanale inglese di Ulaanbaatar — che a Beijing c’è un’epidemia di meningite giunta fino in Mongolia. In Cina sembra aver già fatto decine di vittime; ad Ulaanbaatar sono state chiuse le scuole e noi non ne sapevamo nulla! Alla luce di questa rivelazione ci siamo spiegati alcune strane consuetudini osservate nella città mongola. Ecco perché la maggior parte dei bambini girava con mascherine e perché le maniglie delle porte dei negozi e, negli ultimi giorni, anche della porta d’ingresso del nostro alloggio, erano avvolte da bende umide di disinfettante!

Città lungo la linea ferroviaria

E io che pensavo fosse un accorgimento mongolo per lasciare fuori la polvere che inevitabilmente si attaccava anche alle mani! Piuttosto impressionati, la sera prima della partenza abbiamo formulato il proposito di rivolgerci all’ambasciata italiana appena giunti a Beijing per chiedere delucidazioni. Andrea ha anche cominciato ad avvertire i primi sintomi della meningite che io gli ho descritto minuziosamente traducendo dal giornale. Ma questo mi ha preoccupato meno. Ho giustamente pensato fosse solo autosuggestione. Il giorno dopo, infatti, era ancora vivo e sano. Un altro allarmante particolare è che il virus era stato trasportato dalla Cina alla Mongolia via ferrovia con il treno. Perciò non ci sentiamo affatto tranquilli, ci muoviamo con circospezione e cerchiamo di toccare meno cose possibili.

Raggiungiamo il confine con la Cina verso le 19.00, dopo aver attraversato il deserto. Il deserto dei Gobi, nella piccola parte che vediamo, non è fatto di dune sabbiose ma di terra e sterpaglia e colline rocciose. La linea transmongolica che lo attraversa passa in mezzo al niente interrotto, talvolta, da una motocicletta spuntata da chissà dove e diretta verso l’ignoto (e ogni volta io penso: — E se rimane senza benzina? — ), da qualche carogna di animale ad indicare che c’è vita (o almeno c’è stata) o magari da una carovana di cammelli. L’aria lattiginosa piena di polvere che sporca i finestrini del treno rende difficile scattare foto nitide.

In mezzo a tale nulla, spunta all’orizzonte un quartiere di casermoni in stile sovietico decisamente poco credibili. Ma non sono un miraggio come non lo è la stazione di Choir, cittadina apparentemente priva di qualsiasi fonte di sostentamento dove, tra le poche e polverose case adiacenti le rotaie, spicca un’improbabile statua del primo cosmonauta mongolo. Poi scopriamo che, fino agli anni Novanta, questa città è stata la più grande base militare sovietica in Mongolia. Rimane ben poco di tale passato: gli abitanti, decisamente poveri, vendono yogurt ai turisti occidentali scesi dal treno per quindici minuti di sosta e dei bambini giocano a calcio coinvolgendo anche giovani americani. Noi ci teniamo alla larga da loro, inconsapevole cagione delle nostre paure, temendo il contagio.

Il passaggio del confine richiede diverse ore di sosta in una città di frontiera chiamata Erlian. I gentili ferrovieri cinesi ci fanno capire che non possiamo neanche scendere dal treno. Tali misure sono necessarie perché qui avviene la sostituzione dei carrelli che trasportano i vagoni: in Cina lo scartamento delle rotaie è ridotto rispetto a quello russo e a quello mongolo. Ogni treno che intende proseguire oltre questa stazione di frontiera, deve necessariamente transitare attraverso un enorme capannone: un’officina all’interno della quale ogni vagone viene sollevato con tutto il suo contenuto — passeggeri compresi — e riposizionato su un carrello adeguato. Questa operazione richiede diverse ore. Il nostro vagone viene sollevato verso mezzanotte. Alle 2.00 possiamo ripartire e, soprattutto, possiamo ricominciare a utilizzare la toilette che per tutte le ore di permanenza in stazione è rimasta chiusa.

Ci addormentiamo in Cina e quando ci risvegliamo, verso le 7.30, il paesaggio è completamente cambiato: il colore dominante è il verde. La vegetazione è rigogliosa, i campi pianeggianti sono coltivati e vi sono già persone affaccendate nelle risaie. Siamo in un altro paese e si vede. In certi tratti del percorso l’ambiente circostante si fa collinare ma i monti hanno una forma completamente diversa dai nostri: sembrano spuntare dalla pianura con le loro rocce a strapiombo coperte da alberi che si inerpicano sulle pendici scoscese proprio come vengono dipinte nelle famose stampe cinesi.

Vallata in Cina

E i laghi azzurri che compaiono improvvisamente all’uscita di una galleria hanno nel mezzo una barchetta rossa, solitaria. Circondate da alberi lussureggianti, spuntano anche alcune centrali nucleari (ne sono quasi sicura: le ciminiere hanno la stessa forma di quelle della centrale in cui lavora Homer Simpson). E piccoli paesi con casette che sembrano di fango. E la città di Datong che conta 2.700.000 abitanti ed è tra le più inquinate del mondo. La Cina già ci affascina e ci lascia subito intravedere quelle contraddizioni che a Beijing si faranno ancora più evidenti.

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