Titolo: Per nessun motivo
Autore: Marco Vichi
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Rizzoli, Milano
Collana: Rizzoli Best
Pagine: 195
Prezzo: 18,00 Euro
ISBN: 9788817025881
Poco prima di mezzogiorno Loredana aprì quel cassetto, per nessun motivo in particolare. Forse solo perché si annoiava […] sapeva bene che dentro quel cassetto c’erano solo cianfrusaglie accumulate durante i suoi venticinque anni di matrimonio. Aprirlo era stato un gesto come un altro, alla ricerca di qualcosa che le regalasse una piccola emozione.
Antonio è un ricco sessantenne in pensione. Dopo una vita da dignitoso imprenditore di provincia, ha lasciato l’attività ai due figli e ora si dedica esclusivamente al suo nuovo hobby: costruire modellini di navi in legno. Ha attrezzato un box vicino casa con tutto l’occorrente, quasi una mini-falegnameria, e passa lì dentro intere giornate. La moglie fa la brava casalinga nel suo mondo ovattato. Poi un giorno, proprio lei che per anni è stata la custode di quella tranquillità, scova per caso dietro un cassetto della scrivania, una lettera.
Ha la data di venti anni prima, è firmata dalla ex fidanzata francese di suo marito che gli annuncia di essere incinta. La moglie di Antonio aveva intercettato quella lettera e l’aveva nascosta temendo che l’allora giovane marito potesse venire sconvolto da quella notizia e si allontanasse da lei. Adesso, a distanza di così tanti anni, decide di fargliela leggere. Fra mille titubanze la donna presenta al suo compagno il conto di una vita. Lui, sconvolto ma con flemma, molla tutto e, dalla mattina alla sera, fa la valigia: destinazione Parigi. È deciso a rintracciare la sua ex, ma soprattutto a conoscere sua figlia. Quella figlia che la colpevole moglie gli ha impedito di veder nascere e crescere.
Vuole dirgli che lui non è un padre degenerato, uno che l’ha abbandonata al suo destino, ma che è stato ingannato. Comincia così il nuovo romanzo di Marco Vichi, Per nessun motivo, edito da Rizzoli. Per chi è abituato alle pagine dello scrittore fiorentino il colpo è forte. Non più atmosfere crude e misteriose, vite balorde o assassini da smascherare ma un romanzo quasi sentimentale, psicologico, un feulletton d’altri tempi. Non solo la tematica, anche l’ambientazione è diversa da quella dei romanzi precedenti.
Non più Firenze o, al massimo, le colline del Chianti, ma le strade rumorose e perennemente illuminate della capitale francese. Tranne l’inizio, infatti, il romanzo si svolge interamente lì e l’autore sembra volercelo ricordare continuamente, con l’insistente elencazioni di vie, viali, boulevard, bistrot, hotel e ristoranti di lusso. Ma fin qui niente di male. Il fatto è che, con l’arrivo di Antonio a Parigi, il romanzo si invischia, perde ritmo e non fa che ripetere in modo ossessivo, per decine e decine di pagine, quelle che sono le elucubrazioni e le debolezze psicologiche del protagonista. Rintracciata la figlia, infatti, Antonio non riesce a dirle subito la verità e inizia un gioco perverso di rimandi continui, di “domani le dirò tutto”, con cui dilaziona continuamente il momento fatale.
Di giorno in giorno, di settimana in settimana, l’ora del confronto e della verità non arriva mai. La figlia diventa un’amica con cui riesce ad instaurare un rapporto di fiducia ma con cui non è mai sincero. Cerca di rubarle frammenti del suo passato ma senza condividere niente della sua vita con lei. Unici momenti in cui sembra donarle qualcosa di sé sono i racconti della sua infanzia e della sua giovinezza, narrati però come fossero novelle non vita vera vissuta. Dopo un po’, Antonio diventa un personaggio insopportabile con le sue paure e il suo gioco senza speranza che sfianca il lettore con uno spietato lavoro ai fianchi.
E anche lo stile di Vichi, solitamente così coinvolgente e brillante, sembra risentire della palude in cui si è gettato il suo protagonista: quante volte dirà che “il cielo di Parigi è grigio”? O che “si buttò sul letto vestito e si addormentò di sasso”? Come se, davvero, la storia narrata influenzasse lo scrittore più di quanto egli stesso possa dominarla. Il romanzo si conclude con un colpo di scena che risolleva un po’ le sorti della vicenda, anche se forse risulta un po’ “telefonato”. Tutto da buttare quindi? No. I capitoli del libro che narrano le vicende appena descritte, sono infatti intervallati da alcuni spaccati di vita che, come un diario, raccontano con piccoli flashback, alcuni episodi dell’infanzia del protagonista.
Veniamo così a conoscere i suoi rapporti con l’autoritario padre, col fratello, le marachelle e i piccoli ma significativi traumi che ne hanno segnato la crescita. Piano piano ci facciamo così un’idea di come sia maturata la personalità di Antonio, uomo ricco dai modi apparentemente spavaldi ma che cela una profonda insicurezza. Questi intermezzi si differenziano dal resto del corpo narrativo in modo netto non solo per il contenuto. Qui ritroviamo un respiro più ampio, uno stile diverso, una freschezza e un’originalità che li fanno quasi apparire un libro nel libro, autonomo e diverso.
È come se il “vero” Vichi si fosse ritagliato queste piccole oasi in cui sfogare la sua vena narrativa più pura. In questi ricordi si ritrova il piacere della lettura a cui l’autore ci ha abituato, la sua capacità di inventare storie belle proprio perché “autentiche”. Il fatto che questi capitoletti siano scritti in corsivo, fa quasi pensare che di questa diversità narrativa e stilistica, in parte, sia stato consapevole lo stesso l’autore.