Copertina de La fiamma rossa
Titolo: La fiamma rossa
Autore: Gianni Mura
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Minimum Fax, Roma
Collana: Indi
Pagine: 464
Prezzo: 17,50 Euro
ISBN: 9788875211905

M’illumino di Pantani, che arriva sotto l’acqua con dietro, come lucciole grasse, i fari ballonzolanti delle grosse moto. Ma sì illuminiamoci un po’ tutti di Pantani, che scuote dalle fondamenta questo Tour torbido, che schianta Ullrich come fosse un gigante di cartapesta, che si veste di giallo, che ridà grandezza e dignità al ciclismo…
Gianni Mura

Ricordo che, mentre la luce di luglio mossa appena da una brezza silenziosa addormentava i miei luoghi, la televisione mostrava eserciti di ciclisti sfrecciare tra i girasoli ed il mais, manipoli di pochi corridori salire verso passi e montagne dai nomi nobili, dalle pendenze severe. Erano anni spagnoli al Tour de France, e di giallo era vestito quasi sempre un mite navarro di Pamplona, Miguel Indurain. La telecronaca era momento di passione, di tifo, presente adrenalinico e sudato; gli articoli che Gianni Mura pubblicava l’indomani su Repubblica sancivano che l’evento sportivo era degno di memoria e di parola, suggellavano l’appartenenza delle disfide di questi cavalieri erranti su biciclo agli spazi immortali dell’epica.

 

Suiveur è letteralmente colui che segue: al Tour il giornalista, quando la televisione non copriva ancora interamente la tappa, stava dietro il plotone dei corridori sull’automobile della propria testata, pronto a superarlo in caso di una fuga importante. Gianni Mura è stato suiveur per la Gazzetta dello sport tra il ‘67 e il ‘72; approdato a Repubblica nell’83, ritorna sulle amate strade del Tour nel 1991. E da allora ha continuato a scrivere della Grand Boucle sino ad oggi. La fiamma rossa, lirica trasfigurazione del triangolo che annuncia l’ultimo chilometro della tappa, è una selezione a cura di Simone Barillari degli articoli di Mura dal suo esordio sulle strade di Francia al 2005, anno del settimo ed ultimo trionfo di Lance Armstrong.

Gianni Mura ad un convegno

Sono davvero anni lontani quelli degli inizi. Apre il libro l’articolo in memoria dell’inglese Tom Simpson morto su una montagna “che negava la vita, solo pietre bianche e ghiaioni ”, sul Ventoux petrarchesco, ucciso dal sole, dalla fatica, dai farmaci. Già in questo pezzo dove la disperazione e il lutto potrebbero accendere svenevoli eccessi, Gianni Mura mostra la sua misura formale, la disciplina della parola detta e mai urlata, la chiarezza sincera della semplicità. Il freddo Anquetil, il cannibale Merckx, l’eterno secondo Poulidor, Stablinski e Janssen, gli azzurri Gimondi e Bitossi, si danno battaglia tra le Alpi e i Pirenei per la Maillot jaune in edizioni del Tour in cui la dimensione umana dell’avventura sportiva non è ancora nascosta dal prevalere degli interessi economici, dal doping su larga scala, dalla spettacolarizzazione televisiva, dalla “calcistizzazione” del tifo.

Sono anni lontani anche per questo. E lontano ormai è uno dei ciclisti più amati da Mura, lo sfortunatissimo Luis Ocaña a cui il libro è dedicato. Memorabile è il suo ritratto di campione, di uomo vero e dignitoso, sconfitto dagli infortuni, dalle cadute e da qualcos’altro, che è come “una striatura di tristezza ”. Morirà suicida nel 1994. Dedica condivisa con Luciano Pezzi: “..nel mondo delle biciclette ha seminato saggezza e verità. È stato partigiano, Pezzi, e poi gregario di Coppi, e poi padre ciclistico di Gimondi e quindi nonno di Pantani”.

Poiché il suiveur è anche, e forse prima di tutto, un innamorato del ciclismo — un po’ come l’aficionado tennistico di un altro Gianni giornalista sportivo — La fiamma rossa è una storia di moti del cuore, di passioni e di antipatie, di freddi attestati di stima e di amori senza riserva. Se Indurain per il suo stile compassato, per la sua invincibilità granitica e monotona non può suscitare che una stima tiepida, un apprezzamento distaccato, con Pantani è un colpo di fulmine. Per il suo aspetto brutto e antico, per la sua pedalata di scalatore d’altri tempi, diventa “Pantadattilo”.

Gianni Mura rimane affascinato dalla sua sensibilità intelligente e spiazzante (“sa anche parlare bene ‘sto ragazzo ”) e dal suo fragile talento. Finisce male. A riguardo Mura afferma nell’introduzione al libro: “Per come correva, Pantani sarebbe stato amato indipendentemente dai miei pezzi. E, comunque, le emozioni si trasmettono in tempo reale. Non le rinnego. Col tempo tante corse e tante cose si possono vedere con un altro occhio. Ma il tempo dei quotidiani è quello, un altro non c’è”.

Entriamo nel nuovo secolo. Dopo Pantani arriva il texano Armstrong, colui che vince il cancro e sette tour. Ma è un tour sporco che agonizza tra scandali e farmaci, tra provette e laboratori. Forse siamo giunti all’ultimo chilometro. La passione di Mura scolora ma resiste.

Gianni Mura

Fin qui ci siamo soffermati sul fatto sportivo ma lo sguardo del giornalista milanese esce di strada con frequenza. Divagante e curioso, scruta la luce delle città, le linee e i colori del paesaggi, coglie la particolare personalità di una montagna, si stupisce di un gioco di venti. Con rimandi storici e digressioni toponomastiche, raccontando aneddotici incontri e folgorazioni enogastronomiche afferra lo spirito dei luoghi tessendo un arazzo magico delle terre d’Oltralpe. Cullati dai versi di poeti e chansonniers il viaggio ci è ancor più gradito.

Questa pienezza ampia e viva dello sguardo si rivela nei ritratti dei ciclisti, nel gesto, delicato e colmo di pietas, di andare dietro la maschera di sudore del campione o del gregario, per scoprire l’uomo e la sua storia. In questo rispettoso bussare al cuore degli uomini mi pare stia la cifra etica della scrittura di Gianni Mura. Nello stile che aborre ogni inutile tortuosità, nel calmo ma non piatto fluire del discorso, nella compostezza lirica, nella parola che emerge onesta, meditata, mai ambigua, sta la grandezza dello scrittore. “Il tempo dei quotidiani è quello, un altro non c’è”. Questo è un libro e ha un altro tempo.