Copertina di Buenos Aires solo andata
Titolo: Buenos Aires solo andata
Autore: Freddy Longo
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Damiani Editore, Bologna
Pagine: 127
Prezzo: 30,00 Euro
ISBN: 9788862080668

Nel marzo 2007 Freddy Longo, medico e scrittore meranese, lascia l’Italia con il suo fardello pesante di rabbia e dolore e la voglia di rinascere, o lasciarsi andare, definitivamente. Questa avventura reale, ma raccontata in una sorta di sospensione onirica, inizia sabato 17 febbraio 2007, quando gli occhi truccati di sua madre si spengono, abbandonandolo dolcemente, e la voglia di morire sembra più forte di quella di vivere. Nel 2007 Longo aveva già visitato il mondo, quello reale, fatto di sogni e delusioni, speranze e tradimenti.

Da medico aveva respirato il vento riformatore di Franco Basaglia, da viaggiatore s’era trovato a colazione per sbaglio con Tennessee Williams, per motivi di studio aveva conosciuto Uto Ughi e per trovare un’idea s’era imbarcato su una nave e gli era capitato di prendere un tè con i più grandi poeti cubani. Lo conosceva eccome il mondo, ma quel febbraio del 2007 non era quel mondo che cercava. Voleva ballare fin sull’orlo dell’oceano in burrasca, arrivare al limite, rischiare lo scontro con gli scogli, ritrovare sua madre o lasciarla andare via per sempre.

Da qualche parte aveva sentito parlare del Tango argentino, di quel pensiero triste che si balla a Buenos Aires, dell’eleganza, della passione che lo caratterizzano. Nel Tango la vicinanza tra i corpi è una distanza d’emergenza e il vigore del suo passo camminato è pura adrenalina che circola nelle vene; perfetta metafora dell’amore contrastato d’un figlio per la propria madre. Il Tango è un ballo d’improvvisazione, non ci sono passi predefiniti, forse proprio quello che andava cercando questo atipico scrittore italiano, tanto apprezzato dai suoi colleghi più famosi. Freddy Longo cercava qualcosa, un incontro — forse ritrovare Tennessee Williams per lasciarsi andare tra le sue parole — e ci racconta questo viaggio in punta d’inchiostro, con il suo stile discreto, asciutto ed essenziale.

Copertina di Colazione con Tennesse Williams di Freddy LongoLongo si definisce solo un “bravo affabulatore”, non pensa ai grandi capolavori sui quali si è formato, ma mostra una deliziosa familiarità con i romanzi d’appendice, dove in poche pagine Eugène Sue, Honoré de Balzac o Alexandre Dumas padre affascinavano per immagini il pubblico parigino, prima ancora che il cinema fosse stato inventato. Il cinema, appunto. Quell’arte dalle infinite possibilità d’emozione la puoi quasi toccare nei racconti di Longo, già apprezzato per Poeti a Cuba (Silvana Editore) e A Colazione con Tennessee Williams (Baldini, Castoldi, Dalai).

La sua nuova fatica, Buenos Aires Solo Andata, è un delicato film in Panavision che aspetta solo d’essere girato. Andrebbe letto in una vecchia libreria, dove il tempo si ferma tra la polvere dei libri e l’odore di una sana cultura che non tornerà più. Questo racconto — tanto breve quanto intenso — si dipana in poche pagine tra le quali non mancano alcune intense fotografie scattate personalmente dall’autore, anche se, conoscendolo, tra quelle pagine avrebbe preferito metterci i sapori, gli odori, le fragranze.

La Buenos Aires annusata, respirata e masticata da Longo è una città in dignitosa decadenza, offesa, malinconica: una vecchia matrona che conserva la sua regalità. I lunghi e infiniti viali della capitale argentina e le strette strade svuotate dalla recente crisi, sembrano uno spazio perfetto per vivere in santa pace l’agonia dell’abbandono e distanziarsi da un lutto così importante. Freddy scappa da un dolore intimo e personale, si lascia trascinare in bar malfamati, bordelli e sudici Motel: compie un viaggio a ritroso, riavvolge la vita come fosse la pellicola di un film. Buenos Aires è la proiezione delle sue paure. Nelle fotografie dei desaparecidos figli delle Madri di Plaza de Mayo Freddy vede rispecchiarsi la sua giovinezza: gli anni della contestazione, gli amici morti ammazzati da un’ideologia e il suo disperato tentativo di scappare senza sapere bene da che cosa.

Negli incontri e scontri con la propria sessualità, Longo dissipa ogni dubbio sulla potenza del condizionamento operante del contesto familiare sulla crescita di quel bambino che ancora alberga in lui. Negli improbabili racconti dei suoi interlocutori, l’autore ritrova l’ineluttabilità dell’ipocrisia dell’essere umano. Il primo incontro a Buenos Aires è con Augusto, taxista logorroico, ricorrente e onnipresente. Il taxi per Freddy è come un fiume che scorre verso il mare, dove gli aggressivi rimorsi della vita si acquietano naufragando dolcemente o s’ispessiscono in disastrose burrasche. Per questo il viaggio dell’autore è verso la vita o verso la morte.

Nell’espiazione di questo dolore, la ricerca di un luogo caldo, materno, è spasmodica. Un barbiere aperto giorno e notte, la sala d’aspetto d’una stazione, un bordello sudicio e puzzolente, infine, meta ultima, la strada: punto d’arrivo e di partenza, sempre e comunque. E Buenos Aires diventa una malattia contagiosa che ti perseguita per tutta la vita, un difetto congenito che ti costringe alla perenne menomazione. L’autore si apre al confronto di ciò che gli viene incontro, mettendo a nudo le proprie emozioni. Ogni viaggio ha una fine e alla fine del suo viaggio, Freddy Longo decide di continuare a vivere, consapevole del fatto che, comunque, c’è qualcosa all’esterno di noi per cui vale la pena andare avanti.