Titolo: Le nozze del poeta
Autore: Antonio Skármeta
Traduzione: Irina Bajini
Titolo originale: La boda del poeta
Anno di pubblicazione: 2008
Prima ed. italiana: 1999
Editore: Einaudi, Torino
Collana: Einaudi Tascabili Scrittori
Pagine: 250
Prezzo: 10,80 Euro
ISBN: 978880619156x
E poi c’erano le isolette disperse delle Coste di Malizia, che solo con la lente d’ingrandimento si potevano distinguere e che non producevano né oro né uranio, né nichel né rame, né cobalto né carbone, né ferro né stagno, ma soltanto olio d’oliva, vino bianco da vitigni francesi, giocatori di pallacanestro e ballerini di turumba
Gemma, sulle coste di Malizia — “non tanto lontana ma nemmeno troppo vicina ”, come dice un funzionario asburgico — è un’isola in bilico tra realtà geografica e favola, tra la storia che opprime e stritola e una pastorale e sempre frustrata aspirazione all’idillio. Gemma con i suoi vigneti europei distrutti dalla filossera, con la sua turumba sudamericana che accende i sensi e invita all’abbandono erotico; con il suo emporio coloniale e il cielo senza nubi dei tropici, e l’aquila bicipite, insegna della Mitteleuropa che sventola sulle navi da guerra che l’accerchiano; con lo Slivovitz e l’esotica esaltazione della potenza sessuale. Un equilibrio impossibile come quella campana enorme appesa inspiegabilmente ad un campanile piccolo piccolo che non sembra tener conto delle ferree leggi della fisica.
Le nozze del poeta è un affascinante percorso narrativo guidato da un’immaginazione arguta e solare, una creazione che si scioglie dagli obblighi del realismo e, con misura, attinge al fantastico in una sognante trasfigurazione dei ricordi dei nonni dello scrittore, originari della Dalmazia. E da i propri si potrebbe supporre: l’autore, Antonio Skarmeta, già noto al grande pubblico per aver scritto Il postino di Neruda da cui è stato tratto l’omonimo film, è nato nel 1940 ad Antofagasta, nel nord del Cile, notoriamente uno dei luoghi più aridi al mondo.
S’ha da fare il matrimonio tra Geronimo, colto forestiero venuto da Nord, e Alia Emar, la ragazza più bella dell’isola; ma presagi di sventura stringono d’assedio il lieto avvenimento, come un cielo che lentamente si fa coperto e minaccioso. Forze di natura misteriosa si agitano dietro lo scenario della realtà e talvolta emergono con segni, stabiliscono incontri, con maledizioni penetrano la vita dei personaggi e la decidono come un destino. In questo vicino-altrove ribollente, animato, animista forse, e nella sensuale, divina, o stregonesca, bellezza di Alia, il lettore ritrova lo sguardo diverso della letteratura sudamericana.
Un’altra forza, di umana origine, ma che è sfuggita al controllo dell’uomo sino a farsi autonoma e ineffabile, umilia le aspirazioni e i sentimenti dei personaggi: è la Storia, che si manifesta con i suoi meccanismi di sopraffazione e con gelida violenza. E che tanta parte ha avuto nei sanguinosi travagli del Sudamerica, e di quella “magra eccentricità in capo al mondo ” che è il Cile, vissuti in prima persona anche da Skarmeta. Era il 1973 quando l’autore fu costretto ad abbandonare il proprio paese in seguito al colpo di stato militare che bloccò l’esperienza democratica del governo Allende, per tornarvi soltanto nel 1989, una volta terminata la tetra dittatura del generale Pinochet.
Nel piccolo spazio di libertà che è loro concesso, però, i personaggi di Skarmeta brillano di nobili ideali, di commovente coerenza. Spiegando il rifiuto di una “brutalità oggettiva che li degraderebbe ”, in un’intervista di qualche anno fa, l’autore cita in proposito una bellissima frase di Dostoevskij: “La compassione è guardare agli esseri umani non come sono ma come Dio li ha pensati”.
Se nella caratterizzazione dei personaggi Skarmeta si attiene quindi al principio della compassione, la sua scrittura sorprende invece per la piana imperturbabilità, per il distacco calmo dagli avvenimenti tumultuosi del racconto: uno stile che è come una luce fredda stesa su cose e uomini con spassionata imparzialità. Non è la voce di un cantastorie ma piuttosto quella di un regista-demiurgo che manovra la propria dinamica creazione, senza ondeggiare di passione, senza commuoversi mai, neppure di fronte alle tragedie inaudite che inaspettatamente tingono di sangue le pietre bianche dell’isola.
Il gioco di immaginosi accostamenti, il contrasto tra i drammatici eventi e la composta serenità della narrazione, fanno di questo libro un oggetto bizzarro e chimerico, che insieme seduce e sconcerta.