Classe 1979, nato a Taranto, Michele Riondino ha fatto una scommessa con se stesso. Non aveva ancora vent’anni quando è andato via dalla Puglia, guidato dalla passione per la recitazione. Dieci anni di studio, un diploma all’accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico e tanta gavetta fatta di piccoli ruoli, soprattutto a teatro. Poi la partecipazione, per tre anni consecutivi, alla fiction Distretto di polizia.
Quest’anno Michele Riondino fa il suo ingresso nel mondo del cinema. E lo fa dalla porta principale. Il regista Daniele Vicari gli ha offerto un ruolo da coprotagonista, al fianco di Elio Germano, in Il passato è una terra straniera, tratto dall’omonimo romanzo di Gianrico Carofiglio, prodotto da Fandango e nelle sale dal 31 ottobre. A lui il difficile compito di dare personalità e volto al tenebroso Francesco, giocatore d’azzardo e anima nera della vicenda.
Questo ruolo — la sua occasione di partecipare, in concorso, al Roma Film Fest — lo ha desiderato e poi preparato con cura, scavando in se stesso per comprendere le ragioni dell’ambiguo personaggio senza però giudicarlo. Iniziando a lavorare duro già durante i provini. Proprio questa sua ostinazione ha convinto il regista, che ha visto nei suoi occhi e nelle sue straordinarie capacità attoriali proprio quello che voleva per il personaggio di Francesco.
VB: Comeè nata la sua passione per la recitazione?
MR: Ho cominciato a recitare quando ero ancora molto piccolo nella mia città: Taranto. Lo facevo in condizioni difficili perché lì il teatro, più di dieci anni fa, praticamente non esisteva. Il mio maestro, che devo ringraziare per avermi trasmesso la passione per questo mestiere, è stato Giorgio Pucciariello: un baritono stranamente poco conosciuto in Italia, ma molto apprezzato a livello europeo.
VB: Come ha approcciato Francesco, questo personaggio complesso, allo stesso tempo pericoloso, complesso e affascinante?
MR: È il mio primo lavoro importante al cinema. Ho dato fondo a tutte le mie armi nella preparazione e nello studio del personaggio. Francesco ha una mente criminale, è vero, ma io sono stato molto attento a non giudicarlo. Ho lavorato sulle sue ambiguità, sulla sua umanizzazione, riuscendo a dargli una parte buona. Tanto che l’emergere del suo lato cattivo, alla fine, coglie lo spettatore anche un po’ di sorpresa. Ho approcciato Francesco come si fa a teatro: ho riscritto il suo passato e studiato sui libri di psichiatria l’apatia del cervello nel distinguere il bene dal male. La conclusione cui sono giunto è che non gli si possono muovere critiche morali. Durante la lavorazione del film, poi, ho dovuto “asciugare” il tutto, perché la recitazione cinematografica è molto diversa da quella teatrale.
VB: Piccole parti tra teatro, cinema e tv, ma nel suo curriculum ci sono anche lavori con nomi importanti come Marco Bellocchio e Emma Dante.
MR: Conoscere Bellocchio in occasione della sua prima e credo unica regia teatrale, il Macbeth, è stata per me una bella sorpresa oltre che un’esperienza irripetibile. Allora frequentavo il terzo anno dell’Accademia e mi è stato assegnato solo un piccolo ruolo. Con Emma, invece, ho lavorato in Cani di bancata. È stata la persona per me artisticamente più importante finora. È stata lei a guidarmi, facendomi conoscere corde che non sapevo di saper toccare. Fino ad allora avevo interpretato solo personaggi buoni: lei mi ha insegnato a tirar fuori la cattiveria, arrivando alla mia parte più viscerale, che nemmeno io sapevo di possedere.
VB: Com’è avvenuto, invece, l’incontro con Daniele Vicari?
MR: Ho incontrato Daniele al provino per questa parte, che desideravo molto. In quel periodo ero a teatro con Emma e lo invitai a vedermi. Credo di essergli piaciuto perché dopo avermi visto mi ha richiamato. Il “corteggiamento” è andato avanti per più di un anno, ho fatto una marea di provini. Daniele mi dava dei suggerimenti, mi chiedeva di lavorare su qualcosa. E ad ogni provino io facevo un passo avanti verso Francesco.
VB: Alla fine, la parte è stata sua. Un ruolo da coprotagonista per un film importante, al fianco di Elio Germano, e quasi interamente girato nella sua regione d’origine.
MR: Per me, il fatto che il film sia ambientato in Puglia è una coincidenza magica, una fortuna tra le fortune e non solo perché amo la mia terra. Il fatto di essere pugliese mi ha aiutato anche nella recitazione. Mi ha reso più semplice di quanto non sia stato per gli altri attori calarmi in una dimensione a noi meridionali così familiare, fatta di vicoli stretti e di un continuo sentirsi osservati, seguiti, spiati.
VB: A questo punto, seguirà la strada del cinema o continuerà a coltivare la sua originaria passione per il teatro?
MR: Il cinema mi piace, ma per il momento non abbandonerò il teatro. Ho diversi progetti, tra cui un lavoro con Marco Baliani, che conoscevo già e con cui ho rinsaldato l’amicizia proprio sul set di Vicari. Nei ritagli di tempo continuo a fare teatro a livello off, collaborando da sette anni con il Circo bordeaux, che è per me una palestra di vita oltre che un laboratorio. Con Marco Andreoli ho iniziato a lavorare su Cancroregina: uno spettacolo a cui tengo molto.