Victorien Sardou non è mai stato uno scrittore poliedrico, anche se riusciva dove altri non erano così incisivi: tesseva dialoghi efficaci e incalzanti e allo stesso tempo immaginava soluzioni sorprendenti.
Una delle sue opere più conosciute è La Tosca: dramma scritto verso la fine del XIX secolo e interpretato da Sarah Bernhardt — una delle più grandi attrici di teatro del XIX secolo e tra le prime a registrare un suo brano su un cilindro sonoro — che seppe passare dal teatro al cinema muto con successo, fino a diventare ispiratrice di Marcel Proust e Oscar Willde. Si narra che fu proprio una magnifica interpretazione della Bernhardt a colpire Giacomo Puccini, in occasione di una replica di La Tosca al Teatro dei Filodrammatici di Milano. Puccini convinse l’editore Giulio Ricordi ad acquistare i diritti dell’opera teatrale, anche se l’autorizzazione a musicarla inizialmente venne concessa ad Alberto Fracchetti. Successivamente, Luigi Illica preparò l’abbozzo del libretto che venne approvato da Sardou di fronte a Ricordi e Giuseppe Verdi. Si narra che un vecchio e stanco Verdi avrebbe voluto musicare personalmente Tosca, avendone amato fin dal principio la struttura narrativa.
La prima rappresentazione di Tosca si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900: in due anni ben quarantatre riprese nei teatri di tutto il mondo e critica alquanto disorientata dalla violenza delle scene. L’anno dopo Verdi sarebbe morto. L’ombra della Bernhardt rimase per anni legata a Tosca, tanto che Giuseppe Giacosa ebbe modo di partecipare alla stesura del libretto definitivo, sebbene in modo scettico perché riteneva che il successo di Tosca fosse dovuto alle sole memorabili interpretazioni della Bernhardt. In qualche modo Tosca nasceva già come opera indissolubilmente legata a un personaggio femminile reale, come sarebbe più tardi riconfermato con Maria Callas, quando al Covent Garden di Londra offrì una interpretazione di Tosca tanto intensa e drammatica da legare per sempre il suo nome all’eroina pucciniana.
Quello che tutti ricordano in Tosca, assieme a due celebri romanze — Vissi d’arte, romanza di Tosca (atto II), E lucevan le stelle, romanza di Cavaradossi (atto III) —, sono la storia vissuta da questo personaggio, i movimenti bruschi e compressi, le sue reazioni e al sua destrezza. Tosca sembra essere la prima opera lirica ad alta cifra cinematografica. La gelosia di Tosca, la lotta con Scarpia, la successiva decisione di ucciderlo e il suo congedo da Cavaradossi hanno reso questo personaggio indimenticabile nel panorama della lirica.
Per musicare Tosca, Puccini decise di non lasciare nulla al caso. Per eseguire secondo il rito romano il Te Deum da inserire nel finale del primo atto, Puccini volle conoscere l’intonazione del Campanone di San Pietro. Inoltre, chiese consulenza a vari poeti e scrittori romani, in modo da conferire al brano un tono folcloristico in reale dialetto romanesco del tempo. La Roma dell’età napoleonica, da Sant’Andrea della Valle, passando per Palazzo Farnese fino a Castel Sant’Angelo, doveva essere minuziosamente rappresentata nell’opera. Puccini ebbe perfino modo di conoscere e comprendere gli usi e i costumi del Corpo di polizia papalina, dal quale estrasse il ben noto Scarpia. Per questi motivi, Tosca esige una precisa interpretazione storica e religiosa e lascia poco spazio a manomissioni scenografiche in nome dell’innovazione.
Sulla base di questo assunto, l’allestimento di Hugo de Ana per l’86° Festival Areniano è da ritenersi ben centrato, rispettoso dell’incidenza religiosa sulla trama. All’ingresso in Arena si nota subito la sontuosità della scenografia, che riscuote ampi consensi di pubblico. L’ambientazione romana in età napoleonica è salva e svelata da un colossale angelo, dalla presenza di crocifissi e rosari e dal dipinto del Cavaradossi: il Noli me tangere del Correggio, dove è rappresentata l’apparizione del Cristo risorto a Maria Maddalena. Purtroppo, ben presto ci si rende conto che a fronte di questo rigore storico nell’allestimento non corrisponde una convincente drammaticità corale dei personaggi, implicita in questa più che in altre opere.
Daniela Dessì ben interpreta una Tosca ormai personalizzata ed è in grado di sfaccettare la complessità di questo personaggio, passionario e capace di qualsiasi sentimento. Tosca e Scarpia, interpretato da Marcelo Alvarez, intonano una relazione perversa; Tosca ama e allo stesso tempo odia a tal punto Scarpia da non potere che ucciderlo. La Dessì tiene bene in mano il personaggio, padroneggiando ogni sfumatura e restituendo in modo convincente la cifra introspettiva di una Tosca vestita in modo pesante, come a testimoniare il calvario personale da lei vissuto. Ancora sul fronte vocale, non convince del tutto Alvarez, a tratti impacciato, anche se ben immedesimato nel personaggio. Si nota qualche limite tecnico come la mancanza di importanti sfumature e la difficoltà di padroneggiare alcuni acuti. Bis a grande richiesta per le due celeberrime romanze pucciniane. Applauditissima la Dessì, ancora più convincente nella replica e istrionico Alvarez, dissetato da un generoso orchestrale.
Nel ruolo di Scarpia un Alberto Mastromarino troppo nasale e poco credibile come barone. Senza lodi e senza infamia i ruoli da comprimari. Bravo Giuliano Carella, milanese, ma ormai veronese d’adozione, direttore abile a rispettare i tempi, anche se capace di dilatarli per dar spazio al fraseggio vocale. In definitiva, una Tosca godibile, perché ben interpretata e diretta. Tra le opere in cartellone, sicuramente la meglio riuscita.