Copertina de La rivincita di Capablanca
Titolo: La rivincita di Capablanca
Autore: Fabio Stassi
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: Minimun Fax, Roma
Collana: Nichel
Pagine: 203
Prezzo: 11,50 Euro
ISBN: 9788875211660

Cosa sogna un pedone?, gli aveva chiesto il russo, e allora era parsa a entrambi una questione divertente. Adesso, a tanti anni di distanza, la faccenda gli suonava più misteriosa, e ostile. E per poco, in questa camera arredata con umiltà, ebbe l’impressione di aver capito. Cambiare natura. Raggiungere l’ottava traversa. Non rassegnarsi all’infelicità del proprio stato. La chiave di tutto era nell’ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine.

Fabio Stassi, La rivincita di Capablanca

Gli scacchi, da sempre e banalmente identificati come metafora della vita, sono, apparentemente, il tema del romanzo di Fabio Stassi La rivincita di Capablanca, edito da Minimum Fax. Filo conduttore è la vita di José Raùl Capablanca, nato a Cuba alla fine dell’800 e vissuto negli Stati Uniti, dove nel 1921 ottiene il titolo di campione del mondo. Un campione di cui avrebbe voluto scrivere, dice Stassi nel prologo, Gesualdo Bufalino, se solo non fosse venuto a mancare, poco dopo averlo raccontato proprio a Stassi, il quale, invece che leggerla dalle pagine dell’illustre maestro, come gli sarebbe piaciuto, questa storia si è trovato a scriverla. La prosa di Stassi si modella perfetta al carattere del personaggio, ne segue le curve e i tratti disegnandolo qual è, un uomo dubbioso, vulnerabile nella sua grandezza. Capablanca piace alle donne per la sua dolcezza, e tuttavia si rivela incapace di sostenere il duro gioco della seduzione ad ogni costo. La sua personale ossessione è il braccio di ferro con il suo eterno rivale, Aleksandr Aljechin, il quale, dopo averlo battuto, si ostina a non volergli concedere una rivincita.

Foto di Stassi

Aljechin, di Capablanca, è l’esatto contraltare: quanto il primo è indeciso apolide, esule da una Cuba indistinta della quale conserva soltanto propri ricordi d’infanzia, tanto l’altro è arrogante nelle sue certezze, incrollabile monolite auto centrato, scaltrissimo amministratore delle proprie risorse, slegato dalla nativa Russia, in vendita al miglior offerente. Sfugge Aljechin, alla sfida che potrebbe dar modo al rivale di dimostrare la raggiunta maturità, scacchistica quanto umana, così come sfugge alla resa dei conti della Storia che lo consegna, assoldato dal nazismo, vincitore di turno, al girone dei reietti, a morire nascosto, e solo, soffocato da un boccone di carne. La vendetta di Capablanca è postuma, e indiretta.

Stassi costruisce il suo gioco sulla scacchiera del romanzo fino a creare un finale di strategia, che lascia Capablanca uscire di scena vincente, seppure per interposta persona. Un gioco sopraffino, quello dell’autore, che divide il suo puzzle in sessantaquattro case, proprio come la scacchiera di questo morso di mondo che è la storia di due uomini, del tendere a qualcosa d’altro, del voler uscire dagli schemi come quei pedoni di cui ci viene spiegato l’afflato. Il campione in scacco nell’attesa di riprendere il suo posto immagina di creare dei pezzi nuovi, con nuove possibilità di movimento, su un campo che si allarghi a cento case. Un desiderio che incarna la malinconia del trovarsi intrappolato dentro se stesso, uomo caduco e incerto, piegato dalla consapevolezza di non poter passare i limiti, del genio, del coraggio, della vita stessa.

Copertina de La regina degli scacchi di Walter Tevis edito da Minimum faxUn altro grande romanzo aveva tratteggiato questa stessa smania, questo tendere dell’uomo, e della donna nel caso specifico, a superarsi attraverso il gioco, per scontrarsi con la finitezza che ci fa quello che siamo, con la vulnerabilità che rende l’eterna guerra del bianco e del nero speculativa e limitata. Walter Tevis, con il suo Queen’s Gambit (La regina degli scacchi, anch’esso edito da Minimum Fax), ci aveva però mostrato anche con quale violenza il gioco veicoli le contraddizioni degli uomini, e delle donne, tesi verso la sconfitta delle passioni e vittime predestinate della loro ineluttabilità. Ma, mentre Tevis ha un piglio romanzesco cinematografico, costante, uno stile a grosse pennellate che non molla il lettore, mai, Stassi si avvicina alla poesia nel suo tratto di scrittura andante lento, tanto da lasciar dimenticare la trama esattamente circolare che sta costruendo, per poi prenderci di sorpresa, alla fine, chiudendo perfettamente il cerchio.