Continua da Il diavolo e Robert Johnson

Mississippi adventure

Genio della chitarra con il blues nel sangue, il giovane Eugene Martone (nome da bluesman, Talent Boy) vuole a tutti i costi ritrovare l’unica canzone andata perduta del grande chitarrista Robert Johnson. Venuto a conoscenza che nell’ospizio locale, ad Harlem, abita l’ormai ottantenne Willie Brown, l’ultimo ad aver suonato con Robert ancora in vita, si fa assumere come inserviente pur di carpire, dal testardo musicista di colore, il segreto di quelle note.

Percorso del fiume Mississippi

Per i due ha inizio un viaggio che li condurrà da New York a Memphis, e poi sempre più a Sud, verso quel crocicchio dove, negli anni Trenta, impararono l’essenza del blues dal diavolo in persona.
Walter Hill, in Mississippi Adventure (1986), elabora un ritratto dei luoghi e delle leggende attorno ai quali crebbe il mito di Robert Johnson e del suo amico Willie Brown, che lo accompagnò negli ultimi anni. La musica, costante e avvolgente, è curata da Ry Cooder, che aveva già firmato con i suoi accordi di chitarra molte immagini dei Guerrieri della palude silenziosa, nel 1981.

La pellicola è il racconto di un viaggio, ma anche la narrazione del percorso interiore che coinvolge progressivamente i due protagonisti: da una parte il giovane Talent Boy, ostinato e ambizioso, a cui manca però ancora “il chilometraggio”, cioè l’esperienza del musicista on the road e la conoscenza diretta del blues e dei suoi luoghi. Dall’altra, un vecchio che deve fare i conti con la sua vita e con quelle decisioni che un giorno, in piedi, fermo a un crocicchio, stabilirono il suo destino. Pur appoggiandosi su alcune curate ed efficaci scelte di stile, il film si eleva soprattutto grazie ai contenuti della storia che racconta, basati sulle vicende e sulle suggestioni della tradizione americana sudista. E una volta accettati i toni poco drammatici della commedia avventurosa, si possono facilmente scorgere e percepire le radici del blues.

Il suono di un’armonica irrompe sui titoli di testa. Nelle immagini sbiadite compare di spalle, con la custodia di una chitarra sotto il braccio, un ragazzo di colore. Sta camminando su una strada sterrata, verso un incrocio. Guarda a destra, poi a sinistra, infine la macchina da presa ci mostra il suo primo piano. Nella scena successiva entra nella casa di un uomo per registrare un pezzo: “È la prima volta che incidi?”, si sente dire, “Bè, piazzati di fronte a quel microfono e tira fuori tutta l’anima”. Allora estrae lo strumento, si siede in un angolo, beve un sorso, e inizia a intonare una canzone. S’ intitola Cross Road Blues:

Sono arrivato all’incrocio e sono caduto in ginocchio.
Sono arrivato all’incrocio e sono caduto in ginocchio.
Ho chiesto al Signore lassù “Abbi pietà, ora salva il povero Bob, per piacere”.

Sì, lì all’incrocio mi sono sbracciato per un passaggio oooo ooee eeee.
Mi sono sbracciato per un passaggio. Ma pare proprio che nessuno mi fili, cara, hanno tirato tutti dritto.

Lì all’incrocio, baby, mentre il sole tramontava. Lì all’incrocio, baby,
eee eee eee, mentre il sole tramontava.
Io sono pronto a giurare sull’anima mia che ora il povero Bob sta andando a fondo.

Puoi correre, puoi correre e dire al mio amico Willy Brown
che mi sono venuti questi crossroad blues stamattina, Signore,
cara, sto andando a fondo.

E sono arrivato all’incrocio, cara,
ho guardato a destra e a sinistra.
Sono arrivato all’incrocio, baby,
ho guardato a destra e a sinistra.

Signore, non ho nessuna dolce donna con me,
ooh, be’, cara, nella mia pena.

Locandina del film Fratello dove sei? dei Fratelli CoenCosì dunque, in Mississippi Adventure, compare Robert Johnson, personaggio nella cui vita, come abbiamo visto, storia e fantasia si mescolano intrigantemente. Anche Ethan e Joel Coen, a loro modo, fanno riferimento al leggendario bluesman e alla sua vicenda in Fratello dove sei? (2000): i tre protagonisti, in macchina, arrivano nei pressi di un crocevia. Qui, decidono di offrire un passaggio a un giovane chitarrista di colore che, in quel luogo, afferma di aver venduto l’anima al diavolo. Si chiama Tommy Johnson. Quando dentro la vettura Pete domanda come sia fatto il maligno, è Everett a rispondergli: “Naturalmente ci sono schiere di piccoli satanelli e demoni minori Pete, ma il grande Satana in persona è rosso, ha le scaglie, con la coda biforcuta, e tiene in mano un forcone”. Immediatamente Tommy lo corregge: “Oh no, no signore. È bianco. È bianco come voi. Due caverne come occhi e una voce profonda. Gira sempre con un vecchio cagnaccio cattivo. È così”.

The road to blues

Quando aravo i campi andavo a circa otto chilometri all’ora. In sedici anni ho fatto praticamente il giro del mondo. Dietro a un mulo.

B.B. King

All’inizio del XX secolo il pianoforte iniziò a farsi strada nella musica americana diventando uno degli strumenti chiave del blues: si suonava nei saloni, nei villaggi dei tagliatori di legna, nei bordelli, nelle chiese, ai comizi dei bianchi, dal Mississippi alla Louisiana, dall’Alabama al Texas. Prese piede a New Orleans, si diffuse a Chicago, Harlem, Kansas City. Molti pianisti hanno lasciato un segno profondo in questa musica, e quella che Clint Eastwood traccia in Piano Blues (2003) è la loro vicenda.

Il documentario è uno dei sette episodi firmati da sette grandi registi che compongono The Blues, progetto fortemente voluto da Martin Scorsese, di cui è il produttore esecutivo, e dove ha diretto Dal Mali al Mississippi, nel 2002. Sotto la sua supervisione ogni autore, attraverso il proprio stile e punto di vista, esplora il blues e i leggendari musicisti che ne hanno fatto la storia raccontando, fin dalle sue radici, varie sfumature di un percorso umano e musicale di grande intensità emotiva.

La prima parte della pellicola si muove intorno a Ray Charles, il quale, di fronte al piano in uno studio di registrazione, risponde alle domande poste da Clint Eastwood, seduto accanto a lui, relative alla sua vita e al suo iniziale avvicinamento alla musica. A cavallo di ricordi e passioni innate, mentre la macchina da presa si muove sui volti, e attorno al pianoforte, le parole trovano puntualmente riferimento in rare immagini di repertorio: così, nell’istante in cui i due raccontano di come quasi tutti i pianisti abbiano incominciato con il boogie-woogie o in chiesa con i gospel, ecco comparire le impressionanti performance al piano di Martha Davis o Eugene Rodgers. Ma non vengono tralasciati più tardi neppure grandi artisti blues come Art Tatum, Oscar Peterson, Muddy Waters, Willie Dixon e Otis Spann.

Nella seconda parte il documentario omaggia indimenticabili personaggi (fra i quali Dr. Johnn, Professor Longhair, Marcia Ball, Pinetop Perkins), invecchiati nell’aspetto, ma non nel loro enorme talento; i frammenti dal passato e le parole degli intervistati si moltiplicano attraverso continui salti temporali. Tenendo sospesi fra le note, senza far perdere mai il filo.

Suddiviso in undici capitoli, The Road To Memphis (2002) ricorda l’avvenimento degli Handy Hawards dello stesso anno, il premio blues più ambito. Per questo motivo alcuni grandi bluesman sono riapparsi nella città che li aveva lanciati, Memphis: B.B. King vi fa ritorno raccontando dei chilometri percorsi quando arava i campi; Rosco Gordon si dirige immediatamente a Beale Street, una volta centro culturale e paradiso dei neri del Sud, oggi sede di una grande area turistica dove la gente è incapace di riconoscere il vecchio bluesman. E ancora B.B. King descrive come aveva iniziato a lavorare nella WDIA, che nel 1959 diventò la prima radio gestita da neri (era impensabile trovare uno speaker di colore negli anni Cinquanta in America o ascoltare musica cantata da neri alla radio, a meno che non fossero i canti gospel domenicali).

Il documentario è dedicato alla mitica città nel Tennessee che diede i natali a Elvis Presley, ma che portò alla ribalta anche un gruppo di leggendari musicisti. Su molti di questi il regista, Richard Pearce, si sofferma inseguendoli nel presente, con una macchina a mano incisiva e sempre vicina, e scoprendo il loro passato, con pregevoli materiali di repertorio. Creando una pellicola nella quale le note, il tema del viaggio (indissolubilmente legato alla vita dei bluesman), e la storia si permeano tra i confini di un racconto, e di un epoca, dai sapori irripetibili.

B.B. King

La WDIA rese famosi i bluesman di Memphis, i quali, si misero in viaggio per racimolare qualche soldo col la loro musica: i club per neri dove suonavano furono chiamati “Chitlin Circuit”. Howlin’ Wolf, BB King, Junior Parker, Rosco Gordon, Ike Turner registrarono le loro canzoni (grazie a Sam Phillips, lo stesso che fece incidere un giovane camionista bianco di nome Elvis Presley), dando vita a una vera rivoluzione musicale. E razziale. Ma nello stesso momento in cui il blues incominciò a farsi conoscere e accettare (e nell’istante in cui la musica dei neri incominciò a essere suonata e contaminata dai bianchi) prese piede con grande energia un nuovo stile: il rock ‘n’ roll. Rosco Gordon, dopo essere stato una star di Beale Street negli anni Cinquanta, e aver comprato una Cadillac a quindici anni, fu costretto a smettere. Ma quando nel 1968 B.B. King si ritrovò a suonare per la prima volta in un locale di Memphis composto dalla maggioranza di bianchi, molti con i capelli lunghi, si alzarono tutti in piedi; il bluesman commosso non riuscì nemmeno a cominciare l’esibizione. Siamo negli anni della grande protesta per i diritti civili dei neri, dell’assassinio di Martin Luther King a Memphis, della contestata guerra in Vietnam, e dell’abbattimento della comunità di colore di Beale Street.

Beale Street era un paradiso per tutta la gente di colore. Risalivano il Delta del Mississippi, venivano qui e non dovevano rendere conto di niente a nessuno. Una sera ero a Beale Street e dissi a un ragazzo bianco: se tu fossi un nero a Beale Street anche solo per un sabato sera, credimi, non vorresti più tornare bianco!.

Rufus Thomas, in The Road To Memphis.

A quei tempi i nostri dischi erano definiti razziali. Le radio dei bianchi non trasmettevano quel tipo di musica. Poi tu hai avuto l’idea di far cantare ai bianchi la musica dei neri. E così è nato il rock ‘n’ roll.

Ike Turner parla con Sam Philips, in The Road To Memphis.

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