Tip tap è un progetto di video performance che prende corpo da una serie di idee sulla discontinuità, la non coincidenza e, allo stesso tempo, lo scambio tra certe forme del linguaggio e il movimento fenomenologico della realtà. Forme che, nel linguaggio comune, costituiscono quella parvenza di unità formale capace di determinare, nella sintesi, l’illusione del movimento nel tempo e nello spazio. Concetti vuoti, ritmici, semplici, ripetitivi e puntuali, che svelano l’attrazione del fuori e l’impossibilità di afferrarlo.
Gli esempi possono essere infiniti — anzi, la totalità dei linguaggi potrebbe definirsi in quel contatto impossibile che fissa la percezione del movimento nelle parole — ma, nel caso di questo progetto, si tratta di una scelta di ciò che è evidente, del contatto concreto, primitivo, didattico o puramente formale: il tip tap, il conto alla rovescia, il “file not found”, un semaforo, una torta di compleanno, etc…
La struttura della video performance, divisa in tre parti, si propone come una sorta di macchina o meccanismo di sviluppo progressivo nella quale questi enunciati semplici — “atomici” poiché non fanno ricorso a connettivi — si ripetono e accumulano in successione, attraverso la voce e il corpo immobile di una speaker, in simultaneità e contrappunto con la rappresentazione grafica delle parole e il passaggio continuo di immagini dinamiche — mezzi di trasporto, azioni, oggetti animati — che entrano ed escono dagli schermi, seguendo un movimento progressivo, astratto e sequenziale, e creano un perimetro nello spazio compresso tra gli schermi e i fruitori.
Nella seconda parte, dopo l’accumulazione e la dispersione, si sprofonda nella sconnessione, nella sospensione di ogni contatto, per tornare a posteriori, nella terza parte, a ricominciare, arrivando allo stremo, quando tutto coincide come farsa: il ballo del tip tap. Trenta secondi di ballo reale nel centro del perimetro, dove la saturazione del movimento raggiunge i suoi livelli massimi.