Resto solo, mi accontento.
Non mi muovo. Son contento.
Resto solo, mi accontento.
Non mi muovo. Son contento…
Una delle cose più angoscianti dei Neronoia è come le parole di Gianni (Colloquio) riescano a trasmettere l’orrore di una quotidianità statica e immutabile, tappezzata da problemi che non si risolvono, con l’assordante “rumore delle cose” che toglie lucidità, che costringe a ricordare e a fare sempre i conti col proprio passato. Perdendo.
Il nuovo disco dei Neronoia si presenta con un’immagine che ricorda una scultura di Mascherini e comincia da XI, perché di fatto è il seguito di Un mondo in me (primo album di dieci capitoli), anche dal punto di vista musicale. Dato per scontato che Gianni Pedretti possieda statura di autore, la sfida che i Neronoia devono vincere è quella di non essere la giustapposizione dei due progetti dai quali originano, ovverosia non essere i Canaan con la voce dei Colloquio: questione risolta sin dall’esordio, che ne ha disegnato il volto con tratti decisi.
Il punto di svolta in questo senso è un cambio di metodo compositivo, iniziato con The unsaid words dei Canaan: lavoro preliminare nei propri studi casalinghi, collaborazione con Alessio Camagni ai Noise Factory Studios e diverso mixaggio dei brani. Di quest’ultima attività rimane il segno soprattutto sulla sezione ritmica, che in alcuni brani diviene ossessiva e nervosa, specie quando accompagna testi basati sulla ripetizione dello stesso verso. Mauro Berchi e soci rinunciano ai pezzi ambient e ai campionamenti, si concentrano solo sulle canzoni (pur non tornando alla forma-canzone) e provano ad alternare alle loro caratteristiche parti liquide di chitarra e tastiera (di ormai lontana discendenza Cure) altre più scure e dissonanti.
XI, che alterna un andamento percussivo industrial soffocante e inesorabile a liberatorie esplosioni di chitarra, è uno dei migliori episodi assieme a XV, altro brano dalla sezione ritmica malata, cui questa volta si adeguano anche gli altri strumenti, distorti e acidi (che sia una reminescenza degli Swans?). In altri “capitoli” tutto si fa più sospirato e lento come nei Canaan, ma, come accennato, il gruppo cerca di mantenere un’impronta distinta e più obliqua. Gianni Pedretti, invece, per certi versi non cambia. Il suo tono è più basso, quasi rauco, l’adeguamento alla musica c’è (le iterazioni di cui sopra, gli sporadici filtri sulla voce), ma i temi sono quelli: solitudine, incapacità relazionale, immobilità, infanzia e ricordi, la figura paterna. Gli accostamenti di parole e le immagini rimangono di straordinaria efficacia.
In conclusione, Il rumore delle cose è un disco che pesca elementi da varie regioni della galassia dark, li ricompone col gusto e la sapienza di una grande band e li fa parlare il linguaggio del cantautore. Da avere.