Dopo Dario Argento, John Landis e Lamberto Bava, quest’anno Science+Fiction ha festeggiato con il Premio Urania d’argento un altro grande cineasta creatore di incubi e mostri per il grande schermo.
Nato a Morristown, nel New Jersey, classe 1946, Joe Dante è l’autore di classici indimenticabili come Piranha, Gremlins, Matinée, La seconda guerra civile americana. A renderlo così interessante, oltre all’indiscusso valore artistico delle sue pellicole, sono la sua passione e soprattutto conoscenza del cinema, del cinema fatto da altri, s’intende: caratteristica davvero difficile da riscontrare in un regista famoso, solitamente troppo dedito al culto di se stesso per accorgersi di quanto avviene nel mondo che lo circonda.
Al contrario, Joe Dante ama il cinema in maniera profonda e sincera, lo si capisce anche dalle sue scelte fatte per il festival, come quella di proiettare a Science+fiction Them! (Assalto alla terra, 1954) di Gordon Douglas, scelto tra i film che più hanno influenzato il suo background cinematografico. Un omaggio ad una stagione del cinema piena di fascino, quella degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui impazzavano i b-movies pieni di formicone giganti, scienziati pazzi ed esperimenti atomici. Così li commenta sul catalogo: “Lo scenario politico è ben rappresentato dal tono allarmistico in questi film, che mi hanno dotato di un salutare scetticismo rispetto alle autorità, all’energia atomica e al futuro in generale. E guarda un po’ dove siamo andati a finire!!!”.
L’altra chicca proiettata in esclusiva, direttamente dalla collezione privata di Joe, è Trailers reel 57, una serie di trailer diretti per la New World Pictures, la società di produzione del regista, produttore e ‘guru’ del cinema indipendente americano Roger Corman, dove Joe Dante si è formato, prima come montatore di trailer, poi debuttando come regista con il film Hollywood Boulevard (1976).
A tutt’oggi il regista coltiva la sua passione per questa forma di cinema ‘breve’ sul suo sito interamente dedicato ai trailers dove è possibile vederlo/ascoltarlo mentre spiega e commenta nei dettagli i trailer di capolavori come Mr.Arkadin (Rapporto confidenziale, 1955) di Orson Welles o The Black Sleep con il leggendario Bela Lugosi.
Durante il festival, Joe Dante è salito davvero in cattedra, alla Scuola Traduttori e Interpreti, per la presentazione del libro di Tim Lucas All The Colors of the Dark, dedicato al padre del cinema horror made in Italy Mario Bava, di cui è un grande estimatore.
Dopo la cerimonia di consegna del premio Urania, istituito in collaborazione con la storica rivista edita da Mondatori, è seguita la proiezione di Homecoming (Candidato maledetto, 2005), l’episodio diretto da Joe Dante per i “Masters of Horror”, la serie televisiva che ha visto riuniti i maggiori registi del cinema horror contemporaneo (tra cui John Carpenter, John Landis, Takashi Miike) e prodotta per il mercato tv e homevideo.
Tratto dal racconto Death & Suffrage di Dale Bailey, con la sceneggiatura di Sam Hamm — che per Joe Dante ha firmato anche il successivo episodio Master of horror 2, The Screwfly Solution (2006) — Homecoming nasce come film di protesta nei confronti della guerra in Iraq: “Con i miei amici eravamo stufi di non avere voce in capitolo”- ha raccontato Joe Dante ai giornalisti- “e la cosa più triste era stare seduti lì come se stessimo dando il consenso al modo in cui andavano le cose, senza protestare”.
Nel film, David Murch è un consulente di campagna elettorale del presidente degli Stati Uniti, che, ospite di un noto talk show televisivo, esprime il desiderio che i ragazzi mandati in guerra possano tornare in vita per spiegare quanto sia importante combattere per il loro Paese. Dopo pochi giorni, i soldati risorgono come zombies avidi di vendetta e di giustizia, con un compito ben preciso: andare per un’ultima volta alle urne per votare contro chi li ha portati, senza una valida ragione, alla morte. Solo dopo avere votato i morti potranno riposare definitivamente in pace. Il loro slogan è “Siamo stati uccisi per una menzogna!” e il loro unico fine è cacciare dalle sedi del potere chi ha distrutto le loro vite.
Il personaggio del living dead è, da sempre, uno dei più amati dagli appassionati del cinema horror e i film sul tema, declinato in tutte le sue possibili varianti, si sprecano. Nonostante qui il messaggio sia molto esplicito, e i riferimenti ai personaggi chiave del partito repubblicano molto poco velati, sorprendentemente Joe Dante difende l’appartenenza del suo film al filone degli zombie-movies. Il regista, inoltre, rivendica con forza l’idea di un cinema sì spettacolare, ma senza l’uso di capitali enormi per gli effetti speciali, e soprattutto in grado di tornare a raggiungere il cuore della gente, che oggi vive il rapporto con il grande schermo con un distacco evidente rispetto al passato: “La storia del cinema è piena di film horror che veicolano messaggi politici, e diventano molto potenti per gli spettatori proprio perché in apparenza parlano di tutt’altro. Così durante la seconda guerra mondiale e gli anni Trenta, tutti i problemi venivano trasformati in film horror che riuscivano a esprimere le sensazioni della gente in maniera indiretta.
Oggi il grande pubblico ha rifiutato in blocco film come Leoni per agnelli (altro film contro la guerra diretto da Robert Redford, che nelle sale americane è stato un flop ai botteghini, nda). La gente non vuole andare a vederlo, non vuole averci niente a che fare: è convinta che basti guardare il telegiornale o leggere i giornali o elaborare un “senso di colpa collettivo”, perché fondamentalmente nessuno vuol prendere di petto il problema. Oltre a ciò, senza dubbio non hanno alcuna intenzione di spendere undici dollari per dover affrontare l’argomento-guerra!
Di conseguenza, nessuno di questi film anti-militaristi ha ottenuto grande attenzione in America. Come saprete, nel caso del Vietnam la gente ha impiegato molti anni prima di cominciare ad analizzare, col senno di poi, quello che era successo. Questa volta è diverso: una categoria come quella dei cineasti, degli artisti in genere, si sente così frustrata che deve esprimere in qualche modo i propri sentimenti e forse quello che dicono non è esattamente ciò per cui la gente comune si sente pronta”.
Ritratto al vetriolo della classe politica americana, Homecoming porta avanti la denuncia dello strapotere dei mass media sulla scia di La seconda guerra civile americana (1997). In particolare, attraverso la sequenza iniziale del talk show ‘Marty Live’, viene denunciato l’esibizionismo imperante nella televisione, statunitense ma non solo, che non esita a sfruttare subdolamente le emozioni (i pensieri di una mamma che ha perso il figlio in guerra) per fare ascolto.
L’informazione dei grandi networks, sostiene Joe Dante nel corso dell’incontro, ricorda 1984, celebre romanzo di George Orwell sugli effetti perversi del totalitarismo, perché rappresenta l’espressione di un unico punto di vista all’interno di un sistema di comunicazione che relega le notizie più interessanti nelle ultime pagine, quando non le fa sparire del tutto. “Il problema è che i media sono di proprietà di grandi multinazionali, ed è questo che li rende così poco credibili” — afferma il regista — “Qualcuna è più aperta di altri, ma c’è sempre un buon motivo per prendere con cautela quello che dicono, e sappiamo che le notizie che finiscono a pagina 92 dei giornali, spesso sono, invece, le più importanti. C’è un solo posto dove puoi trovare queste storie, ed è internet. L’unico difetto della rete è la sua eccessiva debolezza, tutto quello che si dice lo si può scrivere, ad esempio sull’enciclopedia on-line Wikipedia chiunque può entrare e inserire quel che vuole”.
“Se il cinema”, ha ricordato Joe Dante, “è l’unico mezzo che i registi, e l’arte in generale, hanno a disposizione per gridare la loro rabbia contro l’attuale governo, il cinema horror è il genere che meglio si presta a tradurre in immagini le inquietudini e la rabbia repressa del nostro tempo, e, nel caso specifico di Homecoming, lo scenario dell’America post undici settembre lacerata dai conflitti in Iraq e Afghanistan”.