Troppo spesso abbiamo sentito pronunciare la parola “eroe” in modo affrettato e ingiustificato. Cosicché il termine si è svilito ed è diventato un semplice orpello di tanta prosa ridondate nell’odierno mainstream. A volte è bastato che qualcuno facesse un po’ lo sbruffone, lo “sborone” come direbbero a Bologna, in situazioni “calde” perché gli venissero appuntate sul petto medaglie immeritate. E invece la parola “eroe” è una parola nobile che, se usata con parsimonia e criterio, è una delle poche capaci di definire certi uomini.

Guido Rossa con la figlia

Fra questi si può senz’altro annoverare la figura di Guido Rossa. Operaio metalmeccanico dell’Italsider di Genova, delegato sindacale della FIOM-CGIL, sul finire degli anni ’70, nel pieno della guerra civile tra brigatisti rossi e neri e Stato, si oppose con coraggio e determinazione al tentativo da parte delle BR di penetrare nella grande fabbrica genovese. Dapprima strappando striscioni e volantini che i terroristi nottetempo appendevano ai cancelli; poi spiegando agli altri operai, in assemblee e comizi improvvisati, che le Brigate Rosse non facevano il loro interesse ma erano solamente dei folli accecati da un’impossibile ideologia di morte; infine denunciando, unico caso mai registrato in Italia, un suo compagno di lavoro scoperto a distribuire opuscoli delle BR dentro l’Italsider.

Proprio questo gesto, apparentemente normale e “dovuto” da parte di qualsiasi onesto cittadino, venne allora considerato “folle” perché fortemente a rischio di ritorsione da parte di gente che non si faceva problemi a sparare. E i timori si dimostrarono fondati. Qualche settimana dopo, Guido Rossa, unico firmatario della denuncia, verrà brutalmente ucciso a colpi di pistola sotto casa sua, nella sua auto, mentre, come ogni mattina, si stava accingendo ad andare a lavoro.

Era il gennaio del 1979. Aldo Moro era stato ucciso da poco, l’anno dopo ci saranno gli 80 morti del massacro alla stazione di Bologna. Anni di piombo, strategia della tensione. Nomi altisonanti fra cui quello di Guido Rossa rischia di perdersi, in un paese come l’Italia, dalla memoria molto labile.

Ecco perché il film di Giuseppe Ferrara, Guido che sfidò le brigate rosse, ha un suo peculiare valore aggiunto. Non solo perché tiene vivo il ricordo di quegli anni terribili, ma perché ci ricorda la vita normale, pacifica, serena di un operaio come tanti, con le sue passioni e la sua famiglia, che mise a rischio la vita per un’ideale, quello sì, di giustizia, legalità e democrazia.

Giuseppe FerraraIl film, purtroppo, è stato osteggiato nella sua distribuzione e non è uscito nelle sale. Tuttavia, lo scorso 26 ottobre, presso il cinema Globo di Pistoia, è stata organizzata dalla Cgil locale una proiezione a cui ha partecipato lo stesso regista. Proprio Giuseppe Ferrara, prima del film, si è intrattenuto col pubblico rispondendo a varie domande e pronunciando un significativo, benché informale, discorso che riportiamo.

Daniele Quiriconi, segretario della Camera del Lavoro di Pistoia, ha introdotto la serata ponendo l’accento su quegli anni bui che videro il compiersi di migliaia di micro attentati con centinaia di morti e feriti. Ha inoltre sottolineato come questa pagina della nostra storia recente non sia del tutto conclusa. Proprio nel febbraio di quest’anno si sono avuti una quindicina di arresti per tentativo di ricostituzione di una nuova cellula delle Brigate Rosse. L’avvenimento dà l’idea di come una suggestione delirante di “rivoluzione armata” da parte di una minoranza non sia una cosa da consegnare alla memoria.

Giuseppe Ferrara (GF): Da dove è partita l’idea di fare questo film? Da una commemorazione fatta dall’Unità nel venticinquesimo anno dalla morte di Guido Rossa con un articolo di Cipriani. Leggendo l’articolo ho pensato: “Ma com’è possibile che ancora non sia stato fatto un film su questa personalità così preveggente, intelligente, coerente e forte. Sì, forte, perché è stato l’unico in Italia ad aver avuto il coraggio di denunciare un brigatista. Mi ricordo che Giuliano Ferrara, quando era segretario del Partito Comunista torinese, invitò con un questionario gli operai della Fiat a denunciare eventuali infiltrazioni terroristiche nella fabbrica. Ma il questionario finì nel nulla perché nessuno rispose.

Perché questo? Perché era veramente rischioso fare quello che ha fatto Rossa. Uno dei motivi che ha portato i brigatisti a questa scelta efferata è stata proprio la paura che, se non avessero ucciso Rossa, si sarebbe aperta una voragine e chiunque avrebbe trovato il coraggio di denunciarli.
La decisione fu controversa, perché i nuclei armati di tutta Italia avevano deciso di non uccidere Rossa, ma di gambizzarlo. Alla fine però, l’esecutore materiale sceglierà di ucciderlo. Nel film ne ho ben spiegato anche il motivo.

Voglio raccontarvi un fatto che pochi conoscono: questo lavoro è stato osteggiato sia dall’Istituto Luce, sia dalla RAI. Secondo me questo è successo perché c’è ancora un serpeggiante, nascosto, criptico filo-brigatismo. Avrete letto le dichiarazioni deliranti di Fannie Ardant sulle BR e su Curcio, che lei stima tantissimo per la sua coerenza. Che una grande attrice, importante (è stata la moglie di Truffaut) come lei, non ha paura nel dire cose così assurde è una cosa molto grave. Se c’è una persona che va disistimata è proprio il fondatore delle Brigate Rosse.

Una scena tratta dal film di Giuseppe Ferrara

Io nella mia vita ho fatto molti film e sono sempre riuscito a farli arrivare al pubblico, a distribuirli. Per questo poi c’era anche l’accordo fra la RAI e la CGL nell’ambito delle celebrazioni del centenario del sindacato, grazie alla 01 Distribution, la casa di distribuzione della RAI. Ma alla fine, nonostante anch’io abbia fatto richieste ai vari dirigenti addetti, non è stato distribuito nelle sale. Perché? Perché questo film fa vedere un personaggio che sbandiera il rosso e vuole veramente le riforme. Fa vedere che le Brigate Rosse sono una forza reazionaria che aiuta la destra. E questo dà fastidio ai fautori del bipartisan.

Dopo film come I banchieri di Dio dove attacco tutti i poteri occulti, potentati finanziari, il Vaticano, servizi segreti deviati, la massoneria (che me l’ha giurata dopo quel film, eppure sono riuscito a distribuirlo), nella mia ingenuità, pensavo: “Questa volta faccio un film che mette tutti d’accordo”! Pensavo di “rimettermi in carreggiata” ma non mi è riuscito…

D: Vorrei tu ci parlassi della tua polemica con Bellocchio riguardo al suo ultimo film sul rapimento di Moro. Sappiamo che sul caso-Moro ne sono state dette tante, per ultima quella di Galloni, allora vice segretario della Democrazia Cristiana, che ha dichiarato come i servizi segreti americani sapessero fin dall’inizio dov’era custodito Moro, ma erano incerti se farlo morire o distruggerlo politicamente.

GF: Sì, ho molto polemizzato sul film del mio amico Bellocchio, che tra l’altro stimo tantissimo e reputo uno dei più grandi registi europei. Gli ho detto che il suo è un bellissimo film ma che anche Leni Riefenstahl faceva film bellissimi ma hitleriani.

Una scena tratta dal film Buongiorno notte di Bellocchio

Il suo è un film che esalta le Brigate Rosse e le difende e per questo è un film contro la legge, contro lo Stato, contro di noi. Quando Rossa parla di difesa della legalità, parla di difendere noi, la Repubblica, la Costituzione. Tutto il contrario di quando si tifa per le BR, e il film di Bellocchio tifa per le BR. Primo, perché non fa vedere l’assassinio della scorta, un delitto incredibile in cui vengono trucidate cinque giovani persone. Nel film non si vede, se ne parla solo vagamente.

Poi, nel film, Bellocchio fa rimanere vivo Moro che alla fine se ne va tutto allegro. Lui si è giustificato dicendo che quello è il suo sogno. Ma il sogno è una cosa, la realtà un’altra, e tu nel film rappresenti la realtà […]

Fa rabbia che il film sia fatto benissimo. Bellocchio è un grandissimo regista e ha fatto un bellissimo film, ma non si può scindere il giudizio estetico da quello morale e civile. Alla fine Moro viene fatto fuggire da una brigatista cosicché lo spettatore è portato a dire “come sono buoni in fondo questi brigatisti”… ma questa cosa non è mai successa, mentre nel film succede! Se penso che ci sono dei giovani che non sanno nemmeno chi è Che Guevara (credono sia un campione sportivo), penso che quando vedranno questo film non capiranno neppure che Moro è stato ammazzato.

D: Insomma, vuoi dire che c’è un limite alla licenza poetica.

Foto di Aldo Moro diffusa dalla BR durante il sequestroGF: Non solo, c’è un limite politico. Il rapimento di Moro ha cambiato la storia d’Italia! Non si possono fare giochini personali su fatti di questa gravità. Altrimenti si sconfina in una falsificazione del reale che ha anche implicazioni morali. E il film di Bellocchio è immorale, com’erano immorali i film della Riefenstahl.
Lui mi ha risposto molto risentito su Repubblica dicendo che lui non fa documentari come la Riefenstahl. Ma qui non si tratta di documentari o meno, qui si tratta di politica. Quello è un film reazionario, contro lo Stato, che danneggia tutti noi.

Simone Piazzesi: Qualche anno fa, all’indomani dell’assassinio di Marco Biagi da parte delle nuove Brigate Rosse, l’allora presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, andò in televisione e, a reti unificate, accusò pubblicamente i sindacati di essere i mandanti morali di quell’assassinio.
La figura di Guido Rossa è stata la dimostrazione vivente di quanto quelle parole fossero assurde. Se si pensa poi che sono state pronunciate da un presidente del consiglio… Anche per questo motivo credo sia stato importante fare un film così.

GF: È vero, e posso confidarti che uno dei motivi che mi ha spinto a fare questo film è stato proprio il voler dare una risposta a quelle parole. Il sindacato favorisce le Brigate Rosse? Ma se ha addirittura un martire!
Adesso, però, lascerei spazio al film. Scusatemi se uscirò dalla sala ma penso che se Dante avesse previsto un girone del suo Inferno per i registi, li avrebbe costretti a rivedere i loro film!