Il passaggio della linea è stato presentato all’interno della sezione Orizzonti Doc all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia. Per la realizzazione della colonna sonora, hanno collaborato due grandi interpreti della musica strumentale ed elettronica italiana: Mirko Signorile e Marco Messina.
Il risultato è uno straodinario flusso di suoni e rumori ipnotici, che ha reso il lavoro sul video di Pietro Marcello ancora più affascinante. Fucine Mute ha incontrato i due musicisti.
Tommaso Caroni (TC): La musica all’interno del documentario è particolarmente importante, aiuta ad accompagnare le immagini in modo quasi ipnotico, riportando lo spettatore a quella condizione di sospensione che si vive viaggiando sui treni. A cosa vi siete ispirati per realizzarla?
Mirko Signorile (MS): L’idea è stata quella di far tesoro di questo mondo di suoni che già si vive sui treni, tant’è che alcuni pezzi nascono proprio trasformando in musica le sonorità presenti durante i viaggi. Un’altra scelta importante è stata quella di usare un organo a canne dell’inizio del ‘900 per il tema principale, associato in un certo senso ad Arturo Nicolodi, il personaggio che rappresenta la vecchiaia all’interno del film. A parte queste due scelte estetiche, la musica si forma su una sorta di sonorizzazione visiva. È una forma di colonna sonora che nasce amplificando o interpretando certi colori che si vivono e si guardano all’interno del documentario.
Marco Messina (MM): Personalmente sono un grande fan della musica tedesca degli anni ’70, quindi minimale ed ipnotica. Quando ho visto il film, ho iniziato subito a pensare a una delle più belle colonne sonore, secondo me, fatte nella storia del cinema: quella composta dagli Ashra Tempel per il Nosferatu di Herzog. Il fatto che la colonna sonora de Il passaggio della linea sia ipnotica è il risultato di un percorso sviluppato insieme a Pietro e Marcello (ndr, regista e autore del film). Se solitamente la musica all’interno di un film rischia di apparire un po’ scollata, come se ci fossero due procedimenti creativi diversi, noi, invece, abbiamo cercato di ricreare una situazione nella quale anche l’ambiente, attraverso i suoni e i rumori, si trasformasse e diventasse musica.
Abbiamo preso molti elementi del sonoro del film per creare la colonna sonora. L’ambiente è stato trattato con dei macchinari coi quali solitamente si compone e, in alcuni brani, il freno o lo sbuffo del treno sono diventati musica. Sono molto contento anche di quella che sulla carta potrebbe sembrare una contrapposizione tra l’elemento organico e antico, che è l’organo, e l’elemento non organico e moderno, che è l’elettronica. Anche se molto spesso l’elettronica deriva come sonorità dalla musica organica, spesso quella che circola oggi è fredda e al silicio, noi siamo riusciti a riconciliare una musica antica con quella che è considerata la musica moderna per antonomasia.
TC: Quando mi parlavi della colonna sonora che ti ha ispirato pensavo mi citassi Nel corso del tempo di Wenders, dove la musica accompagna le immagini con le stesse tonalità usate da voi. Viviamo in un’epoca in cui l’obbiettivo per molti aspetti è il silenzio. Nei treni di nuova generazione, per esempio, si sta cercando di annullare ogni rumore del viaggio. Li avete scelti voi i vostri silenzi, i momenti in cui far parlare solo le immagini?
MS: In generale Pietro, presentandoci il film, aveva già dato un’idea chiara di dove e come lui voleva la musica. In più, Marco ed io abbiamo voluto aggiungere alcune sensazioni, per esempio usare il silenzio improvviso come elemento drammaturgico all’interno del film. In un certo senso è stato sempre il significato del silenzio nella musica a ispirarci; la pausa è un momento che dà valore a tutto ciò che è suono. Attraverso i momenti di silenzio si può reintendere e metabolizzare la musica che si è appena ascoltata. La nostra è stata dunque una scelta in un certo senso molto spontanea e un po’ tutti ci siamo ritrovati d’accordo, anche perché senza le nostre musiche ci sarebbe già stata molta musica all’interno del film.
Come tu ben dicevi, nel viaggiare, l’ascoltare il suono del treno e il suono del viaggio rimane per molti un sottofondo inconscio. Come diceva Marco, anche secondo me la musica elettronica ridona valore a tutto ciò che in un certo senso viene messo a margine della musica classica di un certo tipo. Se i compositori contemporanei sfruttano il valore del rumore, è ancora più importante, a mio avviso, comunicare e sviluppare il reintendere tutto ciò che è una frequenza — perché anche un rumore è una frequenza – come un elemento di sonorità che poi ci accompagna nel quotidiano.
MM: Credo che la tua osservazione calzi perfettamente. Penso che lo scomparire del sonoro all’interno del viaggio faccia parte di un processo di trasformazione non solo di Trenitalia ma di un modo di viaggiare e, purtroppo, di tutta la società occidentale. Il rumore del treno faceva parte di una filosofia: del viaggiare per viaggiare, del viaggiare per scoprire. Tendenzialmente, da parte delle compagnie ferroviarie questa attitudine e questo aspetto stanno scomparendo, perché chi viaggia per viaggiare è un viaggiatore che non ti porta business. Oggi i treni sono fatti più per quelli che vanno a lavorare, non capita più di salire su un espresso e vedere persone che partono per qualche posto. All’interno di questa nuova filosofia di viaggio l’assenza di rumore è essenziale.
TC: Guardando il film ho ripensato al video di Star Guitar dei Chemical Brothers, diretto da Micheal Gondry, dove al ripetersi ciclico degli elementi che scorrono fuori da un finestrino del treno corrispondo suoni diversi che insieme creano la melodia. Anche se il vostro lavoro è stato differente, anche voi credo abbiate provato ad associare ad un’immagine ripetitiva un suono specifico…
MM: Abbiamo fatto un lavoro di questo tipo, soprattutto nella parte centrale del film, dove vengono ripresi spesso i corridoio bui, quelli abitati dal “popolo degli abissi”. Lì molto spesso ci sono dei suoni, magari ad un volume bassissimo, in linea con l’approccio che ti dicevo prima: minimale. Se accompagno un elemento visivo con un suono invadente, distraggo lo spettatore. La funzione della musica in un film è opposta a quella della musica in un disco, ti deve accompagnare nel film senza che tu te ne accorga.
MS: Sono d’accordo con quello che dice Marco. Sono convinto che la musica sia un elemento che deve aiutare il film a far parlare l’immagine. Con il regista abbiamo proprio pensato di scrivere una musica al limite tra una sonorizzazione e una colonna sonora, non creare un elemento tematico musicale che prendesse il sopravvento ma un suono in grado di rendere l’immagine musica.
TC: Come si svilupperà il vostro progetto musicale relazionato al film. Prenderete dei pezzi e ne farete un disco?
MS: Abbiamo già lavorato un po’ sulla colonna sonora. Nel film una serie di pezzi hanno una durata minima, in linea con l’idea di intervenire con grande parsimonia all’interno dei silenzi e della pause. Chiaramente nella colonna sonora si sono sviluppati questi pezzi. Per questo progetto, insieme a Marco e a una cantante che si chiama Barbara De Dominicis, abbiamo sviluppato un percorso: attraverso l’uso di immagini tratte dal film ricreiamo live alcuni spunti di sonorizzazione.
MM: Ci piacerebbe fare dei concerti legati all’immagine. Il progetto è un po’ utopico perché immaginiamo dei bellissimi live all’interno dei vagoni durante i viaggi… ma Trenitalia non ce lo permetterà mai! Non siamo in Germania, i club amano una musica elettronica meno sperimentale.
TC: Qual è stata la variazione della musica tra quello che si ascolta nel film e quello che c’è nella colonna sonora? Come si diceva prima, certi suoni sono creati per accompagnare le immagini, nel momento in cui queste non ci sono più il suono perde il suo significato? Lo avete arricchito di sonorità?
MM: A meno che tu non stia guardando il film di 007, se la colonna sonora non è sempre in parte sonorizzazione vuol dire che è sbagliata; quindi è normale che ci siano degli elementi in più. Probabilmente l’elemento ritmico dei treni, che è tenuto molto in sottofondo per non infastidire i dialoghi, sarà più presente nel disco. Anche se non ne abbiamo discusso approfonditamente per me è fondamentale nel progetto live utilizzare l’elemento improvvisativo che oltre ad essere molto bello e divertente fa sì che ogni concerto sia diverso l’uno dall’altro. L’improvvisazione diventa un elemento ancora più fondamentale quando c’è di mezzo la musica elettronica, perché nell’80% dei concerti di elettronica ti sembra di vedere una persona che si sta scaricando le mail da casa. L’elemento improvvisativo trasmette la sensazione di un autentico live.