Fucine Mute intervista Marta Bevilacqua, ballerina e coreografa della compagnia Arearea.

Un chilo di mele basterà

Elisa Fantinel (EF): Questa sera presentate Un chilo di mele basterà. Come è nato questo progetto?

Marta Bevilacqua (MB): Questo spettacolo ha un anno. Ha debuttato per la prima volta al Festival Areadanza della città di Maniago.
Un chilo di mele basterà nasce con una particolare esigenza: ripercorrere tre momenti culturali e filosofici della storia dell’occidente attraverso il simbolo della mela. Lo spettacolo è per noi una scommessa, quella di indagare, in un duetto uomo/donna, tre fasi della cultura occidentale.
Il primo momento si occupa della genesi: la creazione e la dannazione. La seconda fase è tratta del Simposio di Platone, bellissimo testo in cui si suppone che all’origine dei tempi uomini e donne fossero uniti come una mela. Per la loro felicità e per la loro unione magica si immagina che un Dio cattivo abbia scisso le due parti. Questo momento tratta quindi il tema della colpa che viene seguito da quello della ricerca dell’anima gemella, che da sempre è nel cuore di tutti.
Infine, c’è la parte dedicata alla favola che tutti noi conosciamo: Biancaneve e i sette nani. Questa che proponiamo è una versione dei fratelli Grimm. Qui la mela da un lato è fantasia e magia, ma dall’altro è punizione per la bellezza e la felicità di questa giovane ragazza amata da tutti.
La sfida è quella di esplicitare che ci è stata raccontata sempre la stessa storia, e cioè che esiste un’unione perfetta, ma anche un’entità, che può essere chiamata Dio, Dei o streghe maligne, che tenta di separarla.

EF: Quanto c’è di te in Un chilo di mele basterà, e quanto c’è della compagnia Arearea e della sua filosofia nel festival di quest’anno… oltre la danza verso nuovi orizzonti.

MB: Sicuramente c’è molto di me, ma è un “me” imprescindibile dal “noi”, perché questo spettacolo è un duetto. Io e Luca Zampar abbiamo pensato e creato assieme questa forma tematica.
È un “noi” come danzatori, è un “noi” come coppia nella vita, è un “noi” come appartenenti ad un gruppo storico regionale come quello degli Arearea. C’è comunque una punta di sperimentazione sul lavoro tematico, sulla sfida filosofica.
In relazione a Danceproject, noi siamo molto onorati di arricchire a nostro modesto modo questa rassegna. Esiste una convergenza nel dimostrare, in senso lato, che l’espressione non corporea e l’espressione non verbale, in genere, riescono a sconfinare in vari progetti, non solo di danza, ma anche di più ampio respiro, come questa rassegna testimonia.

EF: Arearea significa in tahitiano “divertimento gioioso”, per te che significato ha questa compagnia, è anche per te un divertimento gioioso?

MB: Sicuramente sì, lo è la danza in sé un divertimento gioioso, non può non esserlo. Se uno non ci crede non può farlo di professione.
Per me è un divertimento gioioso come danzatrice e neocoreografa della compagnia Arearea, perché si mantiene sempre viva nel gruppo la possibilità di indagare sulle cose semplici e di trovare attraverso quest’ultime la semplicità. La nostra compagnia crede che questo possa essere fatto attraverso il gioco, attraverso l’unione di divertimento e serietà. Un signore diceva che ogni gioco ha delle regole, ed è proprio per questo che diventa molto serio. Per cui non c’è solo semplice divertimento, ma molta serietà nel sapersi divertire.

Un chilo di mele basterà

EF: Parlando della danza contemporanea in generale, perché secondo te questo genere continua a rimanere un tipo di danza di “nicchia”?

MB: Non ho proprio una risposta definitiva. Direi perché la danza contemporanea tratta linguaggi molto personali e molto intimi, e per questo non riesce ad avere sempre il consenso del pubblico.
C’è da dire, però, che la danza contemporanea vuole essere impegnata e produttrice di nuovi linguaggi, e questo è un suo punto di forza. È quindi un intento di questo genere di danza mostrarsi non per il consenso, ma per coloro che vogliono compiere delle riflessioni personali attraverso il corpo.
La situazione della danza contemporanea, comunque, claudica un po’, soprattutto in Italia, perché non è ancora riuscita a fare dell’arte una vera fonte d‘investimento. Questa sembra una parola non appropriata per chi fa arte, invece investire significa vestire le nuove arti della comunicazione. Ci vuole ancora un po’ di tempo e forse un po’ d’impegno da parte degli stessi artisti.

EF: Quindi secondo te rimarrà sempre così, o la danza contemporanea evolverà e riceverà maggiore consenso dal pubblico?

MB: Io credo che evolverà, come per certi versi sta già evolvendo e questo festival ne è una dimostrazione. In Friuli Venezia Giulia, la piccola regione alla quale appartengo, ci sono varie possibilità di contaminazione, di rapportarsi con realtà nuove. Trieste è per antonomasia città di confine e quindi di apertura.
Parlando solo della danza regionale, noto che nuove realtà cominciano ad affacciarsi a questo tipo di linguaggio e a sostenerlo con competenza; inoltre riscuotono anche successo da parte del pubblico, per cui bisogna essere fiduciosi.

EF: Roberto Cocconi è il fondatore della compagnia. Che ruolo ha avuto e che ruolo ha tuttora all’interno di Arearea?

MB: Roberto Cocconi ha avuto il ruolo di apripista per quanto riguarda la danza regionale, perché proviene da esperienze molto importanti, come quella alla compagnia La Fenice e come fondatore della compagnia Sosta Palmizi.
Per Arearea è stato un maestro e lo è tuttora. È un punto di riferimento solido artisticamente. Le produzioni artistiche si susseguono con grande fiducia da parte di Roberto Cocconi, puntando sempre sull’elemento gioioso e giocoso, elemento che ci appartiene da sempre. Lui ha dato alla compagnia molta libertà: ci ha dato la possibilità di studiare senza creare finti ghetti o appartenenze, ma anche la possibilità di sperimentare, crescendo artisticamente con il nome di Arearea.

Un chilo di mele basterà

EF: Quindi avete sempre potuto agire da soli, anche senza la sua presenza.

MB: Certo, ma con la sua impronta.

EF: Quali sono i vostri progetti per il futuro?

MB: Ci stiamo preparando per una nuova produzione, quindi siamo ancora in fase di progettazione. Abbiamo delle date con questo lavoro: Un chilo di mele basterà, che presentiamo anche stasera.
Infine, anche noi come il Dance Project, abbiamo in programma un festival di arti contemporanee a Maniago in provincia di Pordenone. Già da tre anni deteniamo la direzione artistica di questo festival. Quindi una fase di formazione di danzatori, ma anche di spettatori.