Christian Sinicco (CS): Fucine Mute intervista Nanni Balestrini. Hai fatto parte dei Novissimi, Gruppo 63; hai curato riviste quali Il Verri, Quindici, Alfabeta, e il telematico Zooooom. Viste le attuali possibilità fornite dalla multimedialità, come possiamo ri-funzionalizzare l’ambiente letterario, e quello della poesia, dal dibattito in rete?
Nanni Balestrini (NB): Visto che c’è stata questa fine delle riviste su carta, dovuta a problemi di diffusione, di circolazione, di editoria, di cambiamento del pubblico più orientato ai nuovi media, grazie alla multimedialità, alla fruizione di video, c’è la possibilità di diffondere e soprattutto far collaborare, unire gli scrittori, aspetto che prima era legato alle riviste. Oggi tutto può avvenire in modo più efficacie poiché le riviste cartacee hanno sempre rappresentato piccoli gruppetti e la tiratura non ha mai superato le centinaia o al massimo il migliaio di copie. Le possibilità oggi sono infinite, poiché un magazine in internet può essere visto in tutto il mondo; ci può essere un problema di format, di come produrre questo tipo di circolazione, di informazione. Penso che sia un campo di sperimentazione molto interessante, dove trovare nuove formule espressive.
CS: Nel 1969 esce l’antologia curata da Sanguineti sulla poesia italiana, dove è stata pubblicata la poesia che hai realizzato con l’ausilio del computer. Non erano i tempi in cui il computer era accessibile ad un’ampia collettività. Mi interessa sapere come hai operato al fine della formazione dell’opera, e se oggi trovi caratteristiche di questa operatività nella poesia italiana.
NB: Il computer — allora si chiamavano calcolatori — all’inizio degli anni ’60 non avevano tutto il senso che rivestono oggi; erano enormi armadi con valvole, c’erano i chip e le schede perforate, e il tutto veniva impiegato ai fini del calcolo. Mi interessavano le capacità combinatorie della macchina, capacità che in poesia sono da utilizzare, vuoi per la velocità — questi procedimenti si possono anche fare a mano, tranquillamente, ma il computer fa tutto più in fretta e trascende di gran lunga la possibilità umana di fare queste cose manualmente —, vuoi per la casualità: noi possiamo programmare una serie di operazioni, non prevedendo quali saranno i risultati. Tutti questi procedimenti non erano estranei né alla letteratura, né all’arte in generale, per tutto il secolo scorso. L’esperimento non mirava tanto al risultato estetico, quanto dimostrare la possibilità di agire in questa maniera, al di fuori del controllo umano e di una attività diretta dell’autore.
CS: Per quanto riguarda il senso che riveste l’esecuzione, poiché siamo vicini al Sincrotrone, un acceleratore di particelle (elettroni) ubicato sul carso triestino, parlaci di Elettra — elettra è la macchina di Sincrotrone, ma anche una tua opera pubblicata da Luca Sossella Editore.
NB: Si tratta della registrazione di uno spettacolo realizzato assieme a Luigi Cinque, anche se cambiano sempre delle cose, non solo il testo ma anche i musicisti e la partitura sonora. L’esecuzione, la prima, è stata fatta a Tokio, abbiamo collaborato con un’attrice del paese del sol levante, e una parte dell’esecuzione è dunque in giapponese. La stessa cosa abbiamo fatto in Germania, scritturando un’attrice tedesca. Non c’è un riferimento diretto dall’Elettra all’elettronica, e nemmeno una rivisitazione del personaggio delle tragedie greche: l’elemento portante di Elettra è la vendetta, e questo è il filo, il vendicarsi di ciò che è stato fatto al padre e al fratello… Qui c’è un’inversione: l’idea è una rinuncia alla vendetta, e tutto questo è collegato agli episodi degli anni ’70, poiché Elettra, un personaggio giovane, rivive questa stagione a cui non ha partecipato. Ma è impressionata fortemente, poiché queste vicende hanno toccato persone a lei contigue, ma rinuncia alla rivalsa in questo oggi che vede il passato come una possibilità per il futuro, per fare qualcosa di diverso, senza rinchudersi nella nostalgia del movimento, meraviglioso, degli anni ’70.
Luigi Nacci (LG): Oggi Balestrini aveva di fronte a sé, nella sua lettura con alle spalle i fondali di Giacomo Verde, il pubblico della poesia. Trent’anni fa, l’antologia “Il pubblico della poesia”; e da cinquant’anni Balestrini è sulla scena, cercando di ri-innovarsi, cercando il pubblico, non per mezzo di una ricerca elitaria. Qual è dunque il pubblico della poesia? Quale la sua opinione rispetto i giovani poeti italiani, rispetto il tempo di “Vogliamo tutto?”, sintetizzando, si potrebbero stabilire delle differenze?
NB: Per fortuna differenze ce ne sono sempre perché i tempi cambiano, ed è bene che le cose non siano uguali. Rispetto al pubblico della poesia, questi è cambiato: è diventato maggioritario il pubblico che ascolta la poesia rispetto a quello che la legge. Fino a dieci, venti anni fa, la poesia passava attraverso i libri, e nelle manifestazioni pubbliche i poeti comparivano con il proprio libro e leggevano, e la poesia era stata scritta per essere letta a partire dal libro. Per un processo avvenuto nel mondo occidentale, la poesia è uscita dal libro, e i poeti scrivono delle cose fatte per essere ascoltate — e se vogliamo i testi, come quelli delle canzonette, si stampano anche; vedi i testi di Lello Voce e Rosaria Lo Russo, fatti per essere eseguiti in pubblico, per essere ascoltati, con un’efficacia che deriva da questo. Lo spostamento è accaduto dall’occhio, all’orecchio, per la poesia, e questo è andato a coincidere con un aumento del pubblico. In altri tempi non c’era questo pubblico. Oggi è interessante notare, proprio qui ad Abolute Poetry, come l’esecuzioni di Ottonieri o Frasca, sono diventate una piccola opera, con musica, interpretazione ed effetti visivi. Sta nascendo un nuovo genere, che a me piace chiamare opera-poesia, che delle parole fa spettacolo. Si vede dai risultati che questo interessa, e ha un pubblico ragguardevole.