Luigi Nacci (LN): Per una tua autopresentazione, fai alcuni nomi di poeti, fondamentali per la tua maturazione artistica e umana: Luzi, Testori, Ramboni, Bigongiari, Rimbaud. Per il tuo percorso capisco l’importanza dei nomi italiani, ma faccio fatica a collocare Rimbaud. Come ha contribuito il francese a modificare, influenzare, la tua scrittura?
Davide Rondoni (DR): Rimbaud è stato un lavoro di traduzione da Una stagione all’inferno e ho curato una selezione di testi. Di lui mi ha colpito la genialità, il fatto che aveva capito come al fondo del soggetto ci fosse qualcosa di oggettivo, di altro, per cui diceva “io è un altro”. Questo è un apsetto rilevante che in pochi poeti sono riusciti ad esprimere. Altro aspetto, che mi ha colpito di Rimbaud, è la coscienza del limite della poesia, che non è un modo assoluto di conoscenza della realtà, non è una via privilegiata rispetto ad altri metodi, per cui la scelta di non occuparsene, e l’andar via, nella seconda parte della sua vita, per me riveste un grande significato.
LN: Una tua particolarità nel ricercare il divino e l’umano: quest’ultimo è sempre in primo piano nei testi, è un perno ma non è uno strumento grazie a cui il divino si manifesta. In un verso scrivi “il contemporaneo è assoluto”, ma facciamo una previsione per il futuro: ciò che scriverai tenderà verso l’umano o il divino?
DR: Io scrivo di quello che vedo e di come vedo le cose, non faccio operazioni come parlare dell’umano per parlare del divino o viceversa. Parlo della vita, quella che si manifesta, con tutti i personaggi che si vedono e si incontrano. C’è qualcosa di segreto a cui tendere, ed è un’aspetto che mi affascina: è un motore della poesia, non solamente mio. Dante diceva che si usano parole per dire ciò che non si sa, poiché il dramma dell’esistenza coincide con quello della poesia.
LN: Nel 2000 hai curato con Franco Loi Pensiero dominante (Garzanti), un’antologia che ha fatto discutere. Che cos’è il pensiero dominante? Su chi o cosa esercita il suo dominio? Di solito se c’è un dominatore c’è pure chi perde.
DR: In una cultura e società che tende a vivere tutto in modo dualistico, il pensiero dominante tende ad accentuare queste cose. Il pensiero dominante è la mentalità dominante, ed è esercitata da qualcuno, che impone ed imposta le cose, come ad esempio la televisione, che è stupida perché la fanno stupida. C’è un pensiero dominante che tende a sottolineare l’aspetto di disgregazione, di lotta, di impossibile unità della vita delle persone, e la poesia che è una sorta di fiore selvatico che tende a dire che c’abbiamo, io e te, qualcosa di comune, anch’essa e messa in crisi. C’è una mancanza di spazi di ascolto e una diseducazione, per cui la poesia dall’accademia alla scuola è vista come una sorta di esercizio linguistico, e diventa una serie di laboratori più che qualcosa che accomuna. Con l’antologia abbiamo voluto dimostrare che c’è una ricchezza di poeti, ma questo lavoro pare non meriti udienza.
LN: Quale il criterio di scelta per un’antologia, anche per le selezioni di giovani che segui?
DR: Con la poesia è come per una donna bella, quando passa la vedi. Non ci sono criteri prefissati. Però se c’è un lavoro sulla lingua (che non sia un laboratorio del freddo), e se lo vedo in un giovane, allora mi interesso. Per le selezioni faccio in modo da non applicare uno schema, perché se no diventa tutto uguale. Ad esempio, per quanto concerne il mio lavoro sui giovani sono usciti poeti, diversi tra loro, come Francesca Serragnoli, o Isabella Leardini, o Valentino Fossati.
LN: Anche Loi lavora in questo modo?
DR: Sì, direi di sì. Il nostro lavoro, anche faticoso, poi, è stato quello di selezionare e confrontarci sui testi su cui eravamo persuasi entrambi.