“Out — out are the lights — out all! / And, over each quivering form, / The curtain, a funeral pall, / Comes down with the rush of a storm, / While the angels, all pallid and wan, / Uprising, unveiling, affirm / That the play is the tragedy, “Man” / And its hero the Conqueror Worm.”
Da Edgar Allan Poe, The Conqueror Worm, 1843
Vermiculatus, 1) a forma di verme, 2) lavorato a mosaico, 3) screziato, trapunto finemente
Definizione tratta da Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, IL Vocabolario della lingua latina
Non può andare avanti così. Qualcosa non funziona nelle nostre teste. Non ci molla mai e lascia segni sul nostro volto insonne. Siamo Jeff Goldblum ne “La Mosca” e ci guardiamo allo specchio.
Sì.
Adesso siamo quello che ci sta crescendo dentro. Il nostro cambiamento fisico — è un circolo vizioso — ci convince che siamo malati, accelerando così la nostra fine. Ammesso (e non concesso) che quella che noi chiamiamo “malattia”, non sia invece la nostra condizione naturale, ammesso (e non concesso) che “salute” e “malattia” non siano solo punti di vista.
È così da quando siamo nati, continuerà in seguito, finché — stremati — non ci spegneremo.
Questo è “Vermiculatus”, quarantasette minuti e ventotto secondi per descrivere la “tragedia umana”. Niente voce, niente testi: oltre al suono c’è solo la forza evocativa dell’immagine, sia essa statica, come nel caso dell’eccellente artwork, sia essa in movimento, come nel caso del filmato contenuto nell’album. Una delle grandi fortune degli Scald si chiama Paul McCarroll (batteria, elettronica), che si muove anche nell’ambito delle cosiddette “arti visive”, pescando in un immaginario che sarebbe riduttivo definire splatter/horror, specie se si considera lo splatter solo disgusto e non anche e soprattutto provocazione. È così dunque che gli Scald riescono a raggiungere una sorta di “unità d’effetto” indipendentemente dal medium utilizzato.
Il resto (la maggior parte) lo fa la musica dei “tre più uno” di Belfast. La prima mezzora è la sintesi degli opposti: l’immediatezza punk dilatata fino a raggiungere dimensioni progressive, o forse jazz. Gli Scald rappresentano il verme che all’improvviso scava nel nostro cervello alternando momenti di calma, nei quali la chitarra suona scarna, a esplosioni grind e soffocanti riff death metal. Talvolta le parti leggere e quelle pesanti sono le stesse, solo proposte in un crescendo di distorsione e amplificazione. In questa prima parte non c’è di fatto nessuna ripetizione o nessun riff portante (o qualsiasi cosa che funga da guida), ma solo lunghe tessiture che ricordano il movimento post-rock e richiamano alla mente gli Isis, con i quali Pete e soci condividono il rifiuto della forma-canzone e il sangue misto: Neurosis, metal, tastiere discrete ma fondamentali, qualche reminiscenza dei Pink Floyd. Probabilmente gli Scald, interessati più all’aspetto cronenberghiano dell’aggettivo, non sanno che “Vermiculatus” significhi in terza battuta anche “trapunto finemente”, eppure — magia (solo magia?) delle parole — hanno proprio cucito insieme violenze, orlandole d’ambient. Nel corso dell’ultimo quarto d’ora la parte rock viene infatti ri-presa e ri-pensata elettronicamente. Qui ciascuno potrà trovare diversi riferimenti: il primo ovviamente è a quel “più uno”, ovvero il tastierista Glyn Smyth, e ai suoi frammenti ambientali presenti in “Headworm”, penultimo disco del gruppo che rappresenta, per utilizzare una metafora biologica e dunque scaldiana, uno dei germi di Vermiculatus. Altri troveranno similitudini con certi Coil, di sicuro col filone dark ambient della Cold Meat Industry; chi ascolta metal magari penserà a “Disguised Masters” degli Arcturus, dove le chitarre erano ancora lì, del tutto irriconoscibili, stravolte dal trattamento elettronico.
“Vermiculatus” è un disco coraggioso, completo e ostico. Necessita di quarantasette minuti e ventotto secondi della vostra attenzione, e di qualche momento successivo per rifletterci su. Non dovrebbe assolutamente sfuggire a chi si è lasciato affascinare dai succitati Isis e dagli Jesu di Justin Broadrick (Napalm Death, Godflesh), oltre che dagli ultimi Ephel Duath. Parimenti coraggiosa è la code666, ormai etichetta d’avanguardia maniacalmente dedita alla pubblicazione di band dall’identità di frontiera, vittime di radiazioni creative, creature transgeniche (transoniche) come gli Scald, apolidi che si trovano al confine di più mondi musicali, non a caso — nella realtà e fuori dalle metafore — atei in una terra di fanatici.
L’eroe è il verme trionfante.