Immagine articolo Fucine Mute“Smoky Heaven” è il disco che sconfigge internet. Oggi, soprattutto con l’aiuto di Google, è possibile sapere tutto e subito di un gruppo. Il fascino della scoperta e della ricerca personale non c’è più. Le Teresa11 sono invece difficili da trovare o capire: sono giapponesi e il loro sito, già sintetico in quanto a contenuti, è metà in ideogrammi, metà in inglese. Se qualcuno scrive loro un’e-mail dall’Italia, il loro server di posta la rimanda indietro come indesiderata, e la cosa divertente è che escono per l’etichetta italiana Eibon Records. Ascoltare quest’album sembra dunque una di quelle scelte romantiche che si facevano in epoca pre-web, quando ci si lasciava colpire magari da una copertina (nel caso specifico ci troviamo di fronte a un disegno tra naif e surrealismo) in un negozio oppure a casa di un amico. Poi si poteva fantasticare sui gusti e le influenze musicali del gruppo, sugli strumenti adottati e quant’altro, in attesa di pescare un’intervista o una recensione su qualche fanzine (cartacea). Il mistero sarebbe dunque il primo vantaggio involontario delle Teresa11, se non fosse per i due mp3 disponibili sul sito Eibon, che ci fanno capire anzitutto qualcosa di abbastanza sorprendente, tenuto conto del contesto nel qual ci stiamo muovendo: lo strumento principale delle Teresa11 è l’arpa. “Clear love” è un pezzo liquido, dilatato e ipnotico, come se i Lamb si mettessero a fare world music; “The irony of fate” è molto più dolce e pop, anche se mantiene quella capacità di condurre l’ascoltatore a uno stato di trance. Oltre a questo assaggio musicale, sappiamo che le Teresa11 sono un trio giapponese, composto da Rie (voce, testi, programming, arpa, tastiere), Anri (arpe), e Miyazaki, che sembra avere il ruolo di Dave McDonald nei Portishead, gruppo con il quale le ragazze hanno molte cose in comune: trip hop, atmosfere “fumose” e talvolta jazzy, voce extraterrestre.

Il secondo vantaggio involontario è l’appartenenza a un mondo “altro”. Banalmente, il Giappone è lontano e diverso, c’è poco da fare. “Smoky Heaven” sembra strano e nuovo al pari di un disco degli islandesi Sigur Ros. Il paragone non è musicale, ma serve per porre una sorta di “problema geografico” nella fruizione di un’opera d’arte. Per quanto riguarda la dialettica Occidente/Oriente, gli esempi sono parecchi: l’anglo-indiano Nitin Shawney unisce drum’n’bass e suoni orientali, ci sono poi gli Asian Dub Foundation o i Massive Attack di alcuni momenti di “100th Window”. Le Teresa11 partono invece dall’Oriente per raggiungere l’Occidente, quell’Occidente così ben rappresentato dal pezzo migliore dell’album, “The end of smoky days”, che non a caso fonde il basso di “Angel” (Massive Attack, “Mezzanine”) con l’atmosfera e gli effetti di “Splintered in her head” (The Cure, epoca “Pornography”) insieme alla voce di una Beth Gibbons di Osaka. In relazione a quel giro di basso, qualcuno le ha addirittura accusate plagio, ma forse è più corretto descrivere la traccia come la classica operazione pop di continuo riutilizzo e permanente ricontestualizzazione del passato. La profonda oscurità di questo pezzo per altro fa capire come mai il demo di “Smoky Heaven” sia arrivato alla Eibon Records piuttosto che alla !K7 (Rie oltretutto ha progetti paralleli industrial/noise, ne ho trovato uno chiamato Crossbred, del quale è possibile ascoltare una traccia lunga trenta minuti, che sembra qualcosa tra SPK e Contrastate).

Sarà per lo shock culturale piuttosto che per l’unione di generi diversi e la strumentazione inusuale, o forse solo perché siamo stati realmente ipnotizzati, ma la sensazione è di aver a che fare con qualcosa di magico. Ci sono dieci pezzi e nessuno è un riempitivo, nemmeno le due tracce che propongono delle improvvisazioni, una delle quali è una scorribanda in India, oppure il live di “Don’t explain” posto in chiusura. C’è infatti ancora qualche episodio da menzionare: “Runaway from the sun”, dove la fusione di arpe ed elettronica raggiunge la perfezione ed è valorizzata ancora una volta dalla voce sciamanica di Rie; “A sonorous poet”, sorta diambient orientale e psichedelica, dove stavolta la voce è assente, sostituita da sussurri onirici.

In sintesi, là dove si fermano Lamb, Massive Attack o Portishead, si vedono le Teresa11 provenire dalla parte opposta e tender loro una mano. Un disco da conservare con la gelosia un po’ morbosa del collezionista e da esibire agli amici col gusto infantile dell’esclusività.

Un’epifania.