Joseph Gordon-Levitt ha uno di quei volti candidi e solari che è difficile non notare. Nonostante la giovane età questo ragazzo si sta costruendo una promettente carriera a Hollywood. Il suo battesimo cinematografico avviene nel 1992 con In mezzo scorre il fiume di Robert Redford dove recita il ruolo del piccolo Norman Mclean (che poi, da adulto, è interpretato da Craig Sheffer). In Italia sono stati distribuiti solo alcuni dei film in cui ha recitato, come Dieci cose che odio di te di Gil Junger, Ragazzi difficili di Jordan Melamed ed infine Mysterious Skin di Gregg Araki. Alla LXII Mostra del Cinema di Venezia Joseph Gordon-Levitt è presente, nella XX Settimana della Critica, come protagonista del film Brick, opera prima di Rian Johnson. Fucine Mute ha avuto l’occasione di chiacchierare con lui in un breve incontro sulla Terrazza Martini.
Michela Cristofoli (MC): Brendan, il personaggio che interpreti in Brick, regge sulle sue spalle l’intera costruzione del film. È stato faticoso calarsi in questo ruolo?
Joseph Gordon-Levitt (JGL): Sì, è stato un lavoro duro. L’anno scorso ho lavorato in un film intitolato Mysterious Skin dove ho faticato molto meno: c’erano pochi dialoghi e delle sfide tecniche non troppo complicate. Questa volta ho dovuto addirittura dormire con il mio copione sotto il cuscino! Non mi sono fermato un attimo, continuavo a ripetere la parte. Comunque una volta arrivato sul set non mi sono preoccupato più di nulla e mi sono solo concentrato sul mio personaggio.
MC: Il tuo linguaggio risulta alquanto particolare. Mescoli, infatti, slang a citazioni letterarie e aulicismi. Come sei riuscito a mixare con naturalezza questi diversi vocabolari?
JGL: Per quanto riguarda lo slang, il lessico è composto in parte da parole che ancora si usano comunemente ma anche da vocaboli adoperati negli anni ‘40 e che ora sono caduti in disuso. Dashiell Hammett, dalle cui storie ha tratto ispirazione Rian Johnson per l’idea di Brick, utilizza queste parole, le fa rivivere. Il significato, magari, non è conosciuto, ma inserite in un contesto, diventano chiare. È stato abbastanza difficile memorizzare le battute. Qualcuno ha paragonato la sceneggiatura ad un testo di Shakespeare. È sicuramente meno complicata ma anche leggendo il copione ho dovuto analizzare e capire il significato di ogni singola frase. Questo mi è servito successivamente nel momento in cui ho inserito le pause nei dialoghi e ho dato l’intonazione alla mia recitazione. Non ho avuto dubbi perché sapevo esattamente il senso della frase.
MC: La musica è molto presente nel film, te ne sei servito anche tu per sentire il ritmo con cui pronunciare le battute?
JGL: Sì, l’ho usata moltissimo. Mentre davo vita al mio personaggio credo di aver tratto maggiore ispirazione da cantanti piuttosto che da altri attori. Sono stati fondamentali per me Serge Gainsborough, Tom Waits o rapper come Wu-tang Clan. Sono tutti artisti che scelgono le parole e le sanno cucinare.
MC: Essendo Brick una detective story la prima cosa che viene in mente è che il protagonista possa avere qualcosa in comune con Humphrey Bogart. Hai visto anche qualcuno dei suoi film, oppure hai evitato qualunque tipo di contatto con lungometraggi appartenenti a questo genere cinematografico?
JGL: Sicuramente ne ho viste a bizzeffe di spy stories in passato, ma da quando ho iniziato a prepararmi per recitare in Brick ho evitato di guardarne. Non volevo in alcun modo farne l’imitazione. L’intento del film di Johnson non è quello di essere una parodia o di raffrontarsi a questi ottimi film del passato ma si pone in qualche modo fuori dal genere, è originale. Ho guardato diversi lungometraggi in cui è protagonista Cary Grant, oppure dei western, soprattutto di Sergio Leone, ma, benché io lo ami molto, ho risolutamente evitato di vedere Humprey Bogart.
MC: Un aspetto interessante del film è dato dal fatto che tutti i rumori sono amplificati in uno strano modo che ricorda le didascalie dei fumetti. Per calarti nella parte ti sei rifatto a dei comics o comunque hai sentito presente quest’influenza nel copione?
JGL: Non ho mai letto molti fumetti, però in effetti credo che Rian Johnson lo faccia più di me. Ha preparato tutti i disegni dello storyboard e prima di iniziare le riprese mi aveva già descritto ogni singola inquadratura, come sarebbe stata la fotografia e tutto il resto.
MC: Questo film ha avuto molto risalto sia al Sundance, dove ha vinto un premio per l’originalità visiva, sia qui a Venezia. Pensi che questa esperienza ti possa aprire altre porte importanti?
JGL: Me lo auguro. Il film uscirà in marzo negli Stati Uniti ma non so quando sarà nelle sale in Italia. Sicuramente, assieme a Mysterious Skin, è stato un’occasione importante per me. Comunque posso già festeggiare perché ho un nuovo lavoro: parteciperò ad un lungometraggio ad alto budget che si intitolerà The lookout. La sceneggiatura è di Scott Frank che in passato ha scritto Get shorty, Minority report, Out of sight. Questa sarà la sua prima volta dietro la macchina da presa quindi sta dedicando grandissima attenzione a questa creatura, un po’ come è successo a Rian Johnson per Brick. Penso che vivrò di nuovo una bellissima occasione.
Fucine Mute ringrazia Beatrice Biggio per la sua generosa collaborazione come interprete.