Una partenza (Departure) da ascoltare e per ascoltare
I Room with a view sono un gruppo di Roma con all’attivo un disco dal titolo First Year Departure, uscito per My Kingdom Music. I ragazzi e l’etichetta hanno un po’ di cose in comune: la loro musica è il metal, ma gettano lo sguardo sulla wave sulla sperimentazione (campionamenti, utilizzo di strumenti inusuali per il rock), godono di buonissima stampa e — questo l’ho scoperto di persona — sono molto presi da quello che fanno.
Di First Year Departure avevo una manciata di mp3 e, come molti altri, mi piaceva “End of Season” (e dire che loro non la sopportano più…), come dire i Katatonia che suonano qualcosa di Seventeen Seconds, o di Faith, dei Cure. Mi incuriosivano inoltre i riferimenti alla Mitteleuropa e ai primi del Novecento: un periodo in apparenza sereno, ma, in realtà, e specie per quella regione, il minuto prima della fine del (o meglio di un) mondo. La parte visiva di quell’album, cover e booklet, era fatta di vecchie foto in bianco e nero, tutte di personaggi per l’appunto apparentemente sereni, ma in realtà già morti. Anche alcuni frammenti dell’album contenevano rimandi a quell’epoca e ai suoni di quei luoghi. Non è dunque un caso che per l’artwork del loro nuovo disco, Collecting Shells at the Lighthouse Hill, abbiano scelto una conoscenza di Fucine: Zaelia Bishop. Quando lo scopro penso subito che sia perfetto per loro (“le conchiglie!”, dirà Francesco, cantante e chitarrista dei Room). Credo sia a per colpa/merito suo se l’etichetta scopre Fucine e vengo invitato a Roma per sentire in anteprima il nuovo album. Io, che in una città mitteleuropea (e morta) ci vivo, non so rifiutarmi, e decido di farmi questa gita. Mi sveglio alle cinque del mattino per prendere il treno per Roma e arrivare al ritrovo. Tempo due sigarette parecchio antimeridiane e parecchio alla faccia di Sirchia nel buio più totale dell’inverno, apoteosi dello stereotipo dark, e arrivo in stazione: parte anche un treno proprio per Budapest, come il titolo di una canzone dei Room, e penso che certe coincidenze siano un complotto di non so chi per farmi uscire di testa.
Il viaggio è noiosissimo, ricordo le stazioni di Mestre e Bologna, battute in sporcizia solo da Roma Termini e Roma Tiburtina. Mi intristisco a scoprirmi dunque così triestino, pulito e vergognosamente haideriano, infine incontro il gruppo insieme ad altri ragazzi che scrivono su riviste e fanzine del settore: la polizia ci controlla immediatamente i documenti e mi diverte perché è tutto molto rock’n’roll… Francesco mi porta in macchina al locale dove ci sarà la listening session, passando per una tangenziale orrenda. È buffo, ma dei monumenti di Roma ho visto solo la riproduzione per giardini di una statua di Augusto (o Marc’Aurelio?), qualcosa che raggiunge il concetto puro di orrore.
Al “Dissesto musicale” saluto immediatamente Zaelia Bishop e guardo in anteprima l’artwork. È il momento di sfruttare come si deve l’ipertestualità e di appoggiarsi alla galleria su Fucine: il lavoro per Collecting… sembra appartenere al suo Ciclo dei Bambini Perduti, senza dimenticare i riferimenti alle icone ortodosse e al martirio di San Sebastiano, recuperati ad hoc per uno dei pezzi, “Penitence”. E poi, ovviamente, le conchiglie, onnipresenti oggetti carichi di “affetto”, mostrate attraverso quegli accostamenti e quelle associazioni inconsce di matrice surrealista. Scelta dunque giusta in maniera quasi impressionante, anche perché scoprirò poi come i Bambini si integrino alla perfezione con quel non so che di nostalgicamente adolescenziale dell’album.
Prima di raccontare dell’ascolto vero e proprio, scrivo subito che il disco è stato prodotto da Jens Bogren, che ha lavorato con Opeth, Katatonia, Millencolin e un sacco di altri nomi. Questa premessa va considerata autentico dovere di cronaca a uso e consumo degli appassionati del genere: posso garantire che la cosa ha calamitato l’attenzione e le domande di tutti i vari writer presenti, in una maniera che mi ha piuttosto stupito. Infatti, per quanto mi riguarda, con le mie limitate competenze posso purtroppo solo banalmente confermare che il disco suona parecchio bene, anche se i ragazzi non hanno sempre cercato la pulizia, anzi.
Collecting shells at the Lighthouse Hill
Adolescenza, freschezza, feeling. Questa è l’impressione che mi lascia il primo ascolto/assaggio dell’album.
Recensire First Year Departure era possibile: se uno scriveva “gothic metal” se la cavava non alla grande, ma orientava abbastanza bene il lettore. La formula “Katatonia più Cure (più sperimentazione)” che ho usato prima era dignitosa, ma fin dal primo brano di Collecting, Breathe the water, si è capito che queste insopportabili classificazioni sarebbero state anche molto faticose. C’è una sorta di energia punk in molti dei pezzi, talvolta anche nel cantato, in più bisogna evidenziare un dinamismo ritmico del tutto estraneo a certo metal, il tutto unito a morbidezze wave. I Cure dunque ci sono ancora, magari stanno suonando “Boys don’t cry” piuttosto che “A Forest”, però stavolta con loro c’è qualche gruppo americano di hardcore melodico. Per ora ho con me un advanced CD con tre pezzi e i primi due, “Friction” e “Till morning comes”, confermano queste mie impressioni; nel terzo, “The Farther Side of Heaven”, si sente ancora invece un po’ della potenza che deriva delle influenze “svedesi” dei Room.
Mi diverte l’inizio balcanico (?) di “Penitence”, che mantiene dunque i legami col disco precedente, ma soprattutto “Remembering Our Goodbyes”, una specie di improvvisazione jazz che sembra messa lì per dire: “Se non avevate capito che facciamo quello che ci pare, adesso dovrete per forza rendervene conto”. Un percorso strano, quello dei Room with a view, per certi versi qualcuno che non li conosce potrebbe pensare che il loro disco d’esordio sia invece quello più recente, perché Collecting… ha una sorta di vitalità che manca a First Year Departure, che pare composto da persone un po’ più mature, malinconiche e disilluse. Non è dunque un caso che i Room mi confessino di avere un sacco di voglia di suonare dal vivo: l’immediatezza del loro secondo disco è un invito da non rifiutare a un loro concerto.
Dove si va
Finita la listening session, finito il party con gli altri, approfitto della mia posizione di forestiero e bevo qualcosa col gruppo, anche se Piero, il batterista, ci deve salutare.
Rimangono Gino, che non vuole separarsi dal suo basso, Alessandro (chitarre) e il summenzionato Francesco. All’inizio il primo mi fa capire appieno l’importanza che è stata data alla varietà ritmica dell’album e contestualmente pronuncia tra il serio e faceto la sua condanna della doppia cassa metallara. A rafforzare le mie convinzioni sulla freschezza del tutto, mi accorgo che Alessandro parla più di hardcore che di metal, così come fa la felpa che indossa. Tutti e tre poi finiscono per evidenziare una delle loro preoccupazioni principali, ovvero a chi piacerà Collecting…. Il cambiamento di direzione, o — come dicono loro — la conclusione di un percorso di due anni, disorienterà pubblico e giornalisti? Addirittura, stampa e pubblico ai quali è stato proposto First Year Departure sono interessati a un disco così rock? Nel corso della serata, spesso lo definiscono una sorta di nuovo “demo” da promuovere con l’umiltà e la tenacia degli esordienti, anche se si sta parlando di qualcosa registrato insieme a “quel famoso produttore”, oltretutto con tutti i sacrifici che ha comportato, come mi racconta Francesco. Nonostante il fatto che l’appoggio di My Kingdom Music mi sia sembrato totale ed entusiasta (del resto gli ascolti in anteprima non sono all’ordine del giorno), devo dare ragione ai ragazzi: la promozione giocherà un ruolo fondamentale, ma, se mi si perdona la retorica, con la passione che ho percepito e con quella capacità delle canzoni di fare subito presa, credo che non ci sia d’aver paura. Io gli dico che si tratterebbe di intercettare ascoltatori non fissati su un unico genere, e che quindi punto tutto sui lettori eclettici e postmoderni di Fucine Mute (vero?). Poi ci lasciamo ridendo, con un’ultima domanda destinata a non avere mai una risposta razionale: “Perché i Linea 77 sono su Earache?”.
Rimonto sul treno e ridivento haideriano: sono nello scompartimento con due adolescenti napoletane insieme a loro madre e mi trovo a pensare che fanno un casino che sembra siano ancora ai Quartieri Spagnoli. Alla fine, prima di addormentarmi, è proprio una delle due ragazze a uscire con la frase più gotica e anarchica della giornata: “Se muore ‘o papa scappano tutti i carcerati”.