Nell’opera del maestro giapponese Jiro Taniguchi appaiono immediatamente evidenti le profonde differenze grafiche e stilistiche tra le storie più intimiste, quotidiane, introspettive (L’uomo che cammina, Allevare un cane…) spesso scritte da lui stessoe quelle più avventurose, che spaziano dalla fantascienza (Icaro) all’hard Boiled (Benkei a New York, Tokyo killers) e i cui testi sono realizzati da altri sceneggiatori (Jinpachi Mori, Moebius…). In ogni caso è il Taniguchi autore completo ad aver riscosso maggiore successo nel proprio paese ed anche in Europa, grazie al suo “L’uomo che cammina” dapprima diffuso in Francia e successivamente tradotto anche in Italia.
In Tokyo killers, ma soprattutto in Benkei a New York, nonostante il forte realismo che contraddistingue le tavole di Taniguchi, permane, probabilmente proprio a causa dei testi realizzati da Jipanchi Mori, una componente rapida, frenetica che guida il lettore nelle varie sequenze, in particolare nelle scene d’azione. La tensione raggiunge il suo climax in tre o quattro tavole, spesso da dieci o dodici vignette ciascuna che sfruttano ad arte l’elemento dinamico della linea.
Soggettive, forti contrasti bianco nero, linee cinetiche, la scelta delle inquadrature, vignette oblique, un ampio utilizzo delle onomatopee (molto maggiore rispetto alla scuola francese ed italiana)… donano tridimensionalità alla tavola, ma costringono ad una lettura veloce, che non permette di soffermarsi sui particolari, se non in un secondo momento e ciò dimostra come, in questo caso, Taniguchi adotti uno stile molto “cinematografico”.
Ovviamente queste soluzioni sono comuni a molti altri disegnatori di Manga e l’autore che più si avvicina al Taniguchi hard-boiled, sia come accuratezza nel delineare ambienti e fisionomie, sia per il sapiente utilizzo degli elementi grafici, è Tsukasa Hojo, il creatore di City Hunter, la cui più recente creatura è Angel Heart, una sorta di sequel delle avventure del famoso detective Ryo Saeba. Hojo, però, riesce a coniugare meglio il realismo grafico con i forti contrasti tra linee chiare e scure e le estreme disposizioni di vignette; forse, perché, più in sintonia con il proprio personaggio.
È innegabile, infatti, che il malinconico killer Benkei è molto meno carismatico di quel simpatico donnaiolo di Ryo, e, purtroppo, i pochi episodi che l’hanno avuto protagonista (Benkei a New York consta solo di sette storie di trenta pagine ciascuna) non hanno permesso di svilupparne una psicologia che emergesse dallo stereotipo. Benkei, per i suoi estimatori, resterà un misterioso killer dall’oscuro passato, un racconto amaro senza conclusione, ma forse è proprio questo che, tutto sommato, gli dà quel suo fascino duro e triste.
Benkei a New York presenta, però, anche sequenze più rilassate, leggere, in cui il personaggio riprende fiato o riflette sull’omicidio da compiere, osservando il paesaggio circostante, studiandolo. Taniguchi allora si concede tavole di più ampio respiro, con ambientazioni realizzate accuratamente, pochi suoni e didascalie, in sequenze di quattro o cinque vignette. Questi attimi permettono al lettore di rallentare, di avvicinarsi maggiormente al protagonista, di condividere i suoi pensieri più intimi. Questo aspetto risulterà preponderante nelle successive opere che hanno reso celebre l’autore nipponico.
Ne “L’uomo che cammina ” troviamo la volontà di mantenere ciò che si racconta su un livello emozionale assolutamente intermedio. Le forti emozioni sono quelle che più ricordiamo così come le sequenze più violente e frenetiche sono quelle che, spesso, hanno un maggior effetto sul lettore. Taniguchi, in quest’opera, mostra la semplice bellezza dei sentimenti lievi, dei momenti di attesa, “di attimi che troppo di frequente ci passano tra le dita senza che si riesca a dare loro il senso intenso della vita, come se fossero solo pause tra un’emozione e l’altra. Forse, perché siamo abituati ad avere pensieri, speranze, che irrompono anche negli spazi in cui la mente dovrebbe trovare il proprio equilibrio e soffermarsi solo sul presente” (dall’introduzione di Luca Raffaelli all’albo “L’arte di Jiro Taniguchi”, nda). In effetti grazie all’utilizzo di sequenze molto lunghe, con vignette grandi ed ordinate in strutture semplici, l’abolizione delle linee cinetiche ed il minore uso di soggettive ed onomatopee “rumorose” (poiché ne L’uomo che cammina fanno parte integrante della visione rilassata dell’ambiente), l’autore ci permette di soffermare l’attenzione sulla sua splendida descrizione grafica di Tokyo.
In quest’opera, l’uomo e l’ambiente sono entrambi protagonisti di un percorso di formazione, di crescita. Yukichi Fukugima(questo è il nome dell’uomo che cammina) è un uomo comune, senza particolari qualità, ma la sua storia è comunque capace di emozionare il lettore. Taniguchi compie un accurato e minuzioso studio di elementi comuni su cui spesso la nostra attenzione non si focalizza: lampioni, strade, alberi, case… ed ottiene un altissimo livello di realismo e credibilità. È come se adottasse uno stile “fotografico” che, di certo, è a lui più congeniale e lo rende capace di esprimere al meglio le proprie doti di disegnatore.
Un discorso simile può esser fatto per Gourmet che ripropone il leitmotiv dell’uomo che vaga per la città prestando grande attenzione ai dettagli, ma questa volta lo fa in chiave culinaria, scoprendo locali caratteristici in cui consumare un pasto, ma sempre nell’ambito della cucina giapponese, molto differente da quella occidentale, come avrà modo di scoprire piacevolmente il lettore. Qui, con la consueta perizia grafica, Taniguchi trasforma in immagini i testi di Masayuki Qusumi realizzando una serie di brevi storie di circa otto pagine ciascuna, in cui, purtroppo, il disegnatore condensa le sequenze in tavole che hanno dalle otto alle dodici vignette. Siamo molto lontani dalle ampie, bellissime panoramiche a cui il lettore era stato abituato ne L’uomo che cammina.
Un’ulteriore variazione nelle scelte stilistiche dell’autore è presente in alcuni racconti grafici da lui scritti e disegnati (Terra promessa, Vivere con un gatto, Allevare un cane, Le giornate in tre…). Qui elementi biografici, studio accurato dei personaggi e dell’ambiente e eventi ordinari, talvolta drammatici, si fondono, dando vita ad opere più intense, in cui la storia riassume un ruolo importante nel coinvolgimento del lettore (diversamente da L’uomo che cammina e Gourmet). Alle suggestive immagini della città o del paesaggio si sommano, quindi, momenti della vita di uomini e animali. Allevare un cane è forse il migliore esempio di quanto appena detto.
Questa storia è nata in seguito alla morte del cane dell’autore, a cui questi era molto affezionato. Taniguchi riesce a trasmettere la profonda sofferenza fisica dell’animale nell’ultimo anno della sua vita, ed i contradditori sentimenti dei suoi padroni (dall’imbarazzo nel portarlo in giro, al desiderio che la sua sofferenza finisca presto, ma anche l’affetto per la bestia sofferente e il dolore per la sua perdita) con rara maestria, tanto che la storia ricevette un successo di pubblico inaspettato, aggiudicandosi nel 1990 il premio Shogakukan come miglior manga dell’anno.
Icaro costituisce un tentativo di commistione tra la scuola di fumetto francese e quella giapponese. Nel 1996 Moebius chiese a Taniguchi d’illustrare una storia da lui scritta incentrata su di un ragazzo in grado di volare. La trama è molto semplice ed originale: a causa di questo suo “dono”, sin dalla più tenera età, Icaro diviene soggetto di una attenta analisi scientifica, viene allontanato dalla madre e isolato dal resto del mondo. La sua unica famiglia diviene un gruppo di scienziati tra cui un’antropologa, Yukiko, l’unica disposta a donare calore umano a quel ragazzo da tutti considerato “semplicemente un soggetto di ricerca”.
Il fumetto venne pubblicato sulle pagine del settimanale giapponese Morning, ma non riscosse grandi consensi, e quindi restò incompleto, nonostante lo stesso Taniguchi avesse tentato di renderne più fluida la narrazione diluendo la quantità di testo in ogni tavola e prediligendo l’aspetto visivo (tipica caratteristica del fumetto nipponico).
Ai tempi di Bocchan, infine, è una saga di ampio respiro ancora in corso d’opera che costituisce la sintesi tra gli elementi di azione e di riflessione dell’autore giapponese. Qui Taniguchi ha avuto, ed ha ancora, la possibilità di alternare lunghe ed energiche sequenze di scontri e battaglie con ampi spazi riflessivi caratterizzati da splendide raffigurazioni della vita quotidiana e dell’ambiente della particolare epoca considerata. Essa è stata definita la più grande opera di Jiro Taniguchi.
Scritta da Natsuo Sekikawa, critico, giornalista e romanziere, la saga di Bocchan rappresenta un accurato affresco storico dell’epoca Meiji (un periodo di grandi cambiamenti per la storia del Giappone, a cavallo tra Ottocento e Novecento) attraverso le storie di cinque diversi protagonisti, indipendenti l’una dall’altra, che si concludono nell’arco di due volumi ognuna. Ai tempi di Bocchan è il resoconto fedele del passaggio dall’era feudale a quella industriale, con l’apertura all’occidente e le nuove problematiche a essa connesse.
In particolare, il sesto volume rievoca l’episodio del “processo per alto tradimento”, in cui una ventina di persone vennero condannate a morte per le opinioni politiche e non, come venne dichiarato, per uno sventato complotto ai danni dell’imperatore. Questo volume ha meritato l’ambitissimo Osamu Tezuka Award e in Giappone ha venduto oltre centomila copie. Recentemente ha vinto il premio Attilio Micheluzzi 2004 come “Miglior serie straniera” in occasione dell’ultima edizione del Napoli Comicon.