Immagine articolo Fucine MuteNelle battute finali dell’introduzione alla celebre antologia Poeti italiani del secondo Novecento (Mondadori, 1996), Stefano Giovanardi indica -analizzando il panorama poetico italiano a noi più prossimo- nei giovani poeti dotati di una «misura “minore” e provata, a loro modo neocrepuscolare, geneticamente aliena dall’esaltazione del soggetto e ugualmente riottosa nei confronti di qualsiasi “massimo sistema”» gli autori più interessanti a suo giudizio. In certo senso potremmo dire che anche l’altro curatore di quella antologia, Maurizio Cucchi, proceda nella medesima lunghezza d’onda, e ciò si potrebbe evincere anche dai volumi che ha curato negli ultimi tempi, nei quali trovano spazio nuove voci della poesia italiana. Ma sorge spontanea una domanda: sono da ricercare solo in quel sentiero le scritture che daranno i frutti più originali e maturi?
passando per New York (Lietocolle, 2005) di Christian Sinicco parrebbe aiutarci a rispondere, facendoci propendere per il “non solo”.

Mettendo in primo piano la necessità comunicativa della poesia, Sinicco abbandona ogni tentazione intimista o minimalista; persegue, come illustra bene Benussi nella prefazione, «un tipo di conoscenza incapace di accontentarsi dell’intelligere, e tesa piuttosto al sentire»; non teme di “sporcare” i nomi di grandi personaggi del passato, da Rimbaud a Pound, da Leopardi a Montale (e molti altri sono i citati), immettendoli con tutto il loro fardello simbolico nell’oggi, nell’11 settembre che ha cambiato il mondo, nelle macerie fatte di case bombardate e di cameramen d’assalto, perché «la tua carne poesia io rubo al supermercato» (Argentina): contro la poesia dei salotti, dei poeti che si incensano (anche i giovani non sono esenti dalle autocelebrazioni), Sinicco opta per la parola che unisce la materia/sangue al poiein inteso come furto, atto finalizzato a rivendicare, a denunciare un’ingiustizia («ora sappiamo che è un delitto / il non rubare quando si ha fame» cantava De André in Nella mia ora di libertà) e ambienta tale rito nel supermercato, uno dei tanti luoghi (o non-luoghi) della postmodernità; né ha paura di stare dalla parte di Prevért, autore snobbato da coloro che diffidano dei poeti letti e amati dalla gente: «il poeta ha paradossalmente paura del bagno di folla perché è il bagno del suo sangue che abbraccia ognuno» dice Sinicco nella bibliografia a chiusura della silloge, rimarcando un ulteriore elemento di novità rispetto a molti suoi colleghi coetanei: in una stagione in cui si deve constatare «il vuoto intellettuale dei nostri tempi» (così scriveva amaramente Romano Luperini su “L’Unità” del 18 febbario 2004 innescando una serie di reazioni a catena che sembra non aver interessato la maggior parte dei poeti nostrani, evidentemente troppo impegnati a scrivere le loro prossime raccolte), il poeta ha il compito di assumere le proprie responsabilità, di riflettere su ciò che lo circonda, di stare, per usare un’espressione nota, più dalla parte di Dante e meno da quella di Petrarca.

Immagine articolo Fucine MutePer ultimo, ma non in ordine d’importanza, va rimarcato l’aspetto orale dell’opera: il verso si piega all’esigenza della voce che lo condurrà al lettore/ascoltatore, si fa epico e lungo per poi disfarsi improvvisamente, seguendo e anticipando il respiro, il gesto.
Se, come ha sottolineato provocatoriamente Paolo Febbraro su “Il Manifesto” (29 gennaio 2005) nella recensione alla seconda edizione aggiornata dell’antologia Poeti italiani del secondo Novecento, per Giovanardi la poesia «non può essere che ironica, manieristica, citazionale, o ipertroficamente lanciata verso la mimesi del rumore e dell’interferenza», mentre per Cucchi «è invece quella che può ritrovare se stessa soltanto nella stretta misura degli affetti e della cronaca», allora per Sinicco e per i giovani poeti che, come lui, vanno nella direzione opposta (come per esempio “Gli Ammutinati”, gruppo di poeti di cui Sinicco fa parte e a cui è dedicato il libro), non ci sarà spazio negli anni a venire.

Tuttavia, come spesso accade, è proprio dalle periferie, dai margini e dalle zone di scarto che giungono gli anelli destinati a spezzare la catena: potrebbe essere Trieste questo laboratorio, così come lo è stato un secolo fa. Se ciò accadrà, e se i poeti di Trieste porteranno qualche elemento di originalità nel panorama nazionale (e di onestà, ma al modo di Saba e di Slataper e non di Giovanardi), sicuramente in prima fila troveremo Christian Sinicco.