Xenia Docio Altuna (XD): Siamo con Hubert Sauper, nato in Austria, ha studiato cinema a Vienna e Parigi ed è vissuto in diversi paesi come Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti e Francia, dove ora abita. Nel 1990 ha fatto il suo primo film. Può parlarci della sua carriera da quell’anno in poi?
Hubert Sauper (HS): Sto cercando di fare cinema. È un modo per conoscere me stesso e le realtà del nostro tempo. Se ho un’idea buona su qualche argomento, la esamino e cerco di trasformarla in un film. Di solito faccio dei film su argomenti che m’interessano tanto ma sui quali non so niente. Quindi, quando sono andato per la prima volta in Africa correva l’anno 1997. Cercavo di fare un film sui rifugiati. Ne sapevo molto poco e con l’aiuto delle Nazioni Unite ho avuto accesso alle zone dove si trovavano i rifugiati in Congo. Questo viaggio è diventato un’esperienza molto dolorosa, perché io cercavo dei profughi ma ho trovato soltanto dei morti. A migliaia. Mi sono reso conto che proprio in quel momento la guerra civile era cominciata in Congo. Filmai tutto ciò che vidi ed era una realtà così terribile che è quasi impossibile vedere il film, è mostruoso.
Mi sono accorto che le persone che portavano l’aiuto umanitario al centro del Congo erano dei piloti russi che volavano in grandi aerei da carico. L’unico modo per far la guerra nel Congo è avere tanto materiale dall’Europa come munizioni, pistole, bombe a mano, granate. E l’unica maniera per ottenere quelle armi è mediante gli aerei usati per sganciare l’aiuto umanitario. Questa è stata l’idea iniziale per Darwin’s nightmare.
XD: Questo suo ultimo film, Darwin’s nightmare, presente alla Mostra di Venezia ha vinto il premio della “Giornata degli autori”. Crede che far cinema attraverso il documentario, sia un modo più efficace per comunicare con la gente? Ritiene che il documentario sia più efficace della fiction?
HS: Credo che la realtà superi sempre la finzione. L’unico problema è che la maggior parte delle persone che fanno i documentari non sanno far cinema. Non hanno studiato in scuole di cinema. Perciò quello che intendiamo per documentario è ciò che in Francia chiamiamo reportage, che è una cosa diversa. Mi ci vogliono quattro anni per fare un film, e generalmente un reportage per il cinema o la televisione si può fare in due o quattro settimane. Quindi c’è un gran malinteso tra questo concetto di documentario e il documentario stesso.
XD: Ha avuto delle difficoltà col governo della Tanzania nel girare il film, o con qualche Società di cui ha parlato?
HS: Sì, abbiamo avuto sempre problemi. Tutti i giorni. Perché nessuno voleva che girassi questo film, nessuno ne era interessato e, spesso, avevo difficoltà a farmi capire in un paese come l’Africa. Alcuni capi tribù o poliziotti di piccoli paesi in Tanzania non capivano lo scopo del mio film, perché molti di loro non erano mai andati al cinema. Allora preferivano sbattermi in prigione e io dovevo pagare la cauzione per uscire. Era quasi un gioco.
La troupe era molto piccola ed abbiamo escogitato tutti i modi possibili per girare, intraprendendo diverse strategie. Abbiamo scritto persino al presidente dell’ambasciata, per ottenere un documento, percorrendo l’iter burocratico. Ed è servito: finalmente ci hanno concesso l’autorizzazione nazionale alle riprese e tutto quanto serviva. Ma le leggi in quei paesi non sono molto chiare. Quando avevamo tutti i documenti in regola siamo andati su un’isola di pescatori nel Lago Victoria e il capo della tribù ci ha sequestrato i permessi, li ha stracciati e buttati in acqua. Così è andata a finire. Da quel momento ci siamo convinti che non si potevano più percorrere le vie legali.
Il film non vuole ledere il paese. Pur denunciando la situazione catastrofica nel Terzo mondo, penso che faccia vedere il lato umano della sua gente e questo è più importante. Credo che la maggior parte dei governi dei paesi poveri siano molto corrotti e le popolazioni molto ignoranti, come è ben noto. I politici europei ed americani sono veramente cinici perché foraggiano questi leader. È così da prima dall’epoca coloniale. Sosteniamo questi ricchi leader in tutto l’emisfero sud. Pilotiamo degli aerei da carico che indirettamente uccidono le loro popolazioni. Ora non voglio entrare nei dettagli, ma potrei raccontarti tante cose…
XD: Ne sono sicura. Qual è il suo ruolo come artista?
HS: Il ruolo di ogni artista è cogliere un’impressione dal mondo e, dopo averle dato una forma, comunicarla per mezzo della scultura, della musica o di un film. È un lavoro molto difficile. Ma sai, per me questo è l’unico modo per sopravvivere. Non puoi andare in guerra, in qualche campo di concentramento in mezzo alla giungla, vedere migliaia di persone morire davanti ai tuoi occhi, e pretendere di tornare a casa rimanendo la stessa persona. Non è possibile. Quando torni a casa devi parlarne, devi trasformare la tua esperienza in qualcosa di concreto. E il cinema è un ottimo mezzo, perché credo davvero di poter trasmettere tutta la mia rabbia, le mie emozioni, la mia paura in un’opera. Quando in un cinema vedo duecento o quattrocento persone arrabbiate, sconvolte o molto spaventate nel vedere il mio film, allora sono soddisfatto.
XD: Quali sono i suoi progetti futuri? Sta preparando un nuovo film?
HS: Sì, ho tre nuovi progetti.
XD: Può raccontarci qualcosa?
HS: No, preferisco non dire niente!
XD: Sono dei documentari, comunque?
HS: Fiction e documentari. L’unica cosa che potrei dire è che le motivazioni di base sono sempre le stesse: le realtà del nostro tempo, la specie umana e lo studio della stupidità. Credo che gli uomini stiano per impazzire davvero, come se ci fosse un virus in tutti quanti noi, un virus collettivo. È una cosa molto strana, ma la si può vedere. Sembra di essere in una grande isola con gente gravemente malata. Spero che ancora non sia troppo tardi. È tempo di capire la malattia in modo da poter fare qualcosa, non so cosa esattamente: ma senza capire non possiamo guarire.