2.2 – Evoluzione dei nuclei narrativi e legami con la tradizione letteraria inglese
(One, two, three, four)
Let me tell you how it will be,
there’s one for you, nineteen for me,
‘cos I’m the Taxman, yeah I’m the Taxman.
[…]
If you drive a car, I’ll tax the street,
if you try to sit, I’ll tax your seat,
if you get too cold, I’ll tax the heat,
if you take a walk, I’ll tax your feet. [1]
Come I saw her standing there tre anni prima, anche Taxman apriva con un conteggio iniziale il disco in cui era inserita[2]; ma già da un primo ascolto si evidenziava un radicale cambiamento nella scansione numerica, ora non più secca ed esuberante, bensì distorta e dilatata: il rauco conteggio di Harrison veniva prima quasi sovrastato da alcuni penetranti rumori di studio, poi bruscamente troncato dal colpo di tosse di McCartney (nell’intento di schiarirsi la voce), e infine confusamente ripreso.
Oltre a suonare come il rintocco di una campana rivoluzionaria, questo breve frammento testimoniava ancora di più il definitivo passaggio dei Beatles da complesso che dava il meglio di sé sul palcoscenico a gruppo di artisti da sala d’incisione, da fenomeno di costume a realtà culturale; nondimeno introduceva al contenuto della canzone, una disturbata satira sociale che dimostrava la maturazione di Harrison come compositore, e per di più rappresentava almeno fino ad allora una anomalia nella loro produzione.
E in effetti la pungente protesta su quel novantacinque per cento di tasse che i Beatles, una volta inseriti nella cosiddetta fascia di “super-contribuenti”, erano costretti a pagare (there’s one for you, nineteen for me [3]), era molto distante dalle loro precedenti preoccupazioni; in questo periodo Harrison era più attento dei loro colleghi ai fatti economici (il che può anche stonare con la sua spesso decantata fama di Beatle “spirituale”), e si era appena reso conto di quanta parte dei ricavi del gruppo venisse succhiata dal ministero del Tesoro: era in effetti il costo della nomina a Members of the British Empire che il governo laburista di Harold Wilson[4] aveva loro conferito un anno prima come riconoscimento all’incremento fornito (complice la British Invasion nel mercato statunitense[5]) alla bilancia delle esportazioni.
Don’t ask me what I want it for
(ah-ha, Mister Wilson)
if you don’t want to pay some more
(ah-ha, Mister Heath)
‘cos I’m the Taxman… [6]
Al probabile scopo di evitare una scomoda catalogazione politica, nel testo viene citato anche l’allora leader dell’opposizione, il conservatore Edward Heath, “degno” anch’egli degli stessi fischi di disapprovazione rivolti a Mr.Wilson; ma è contro l’amministrazione laburista che si scaglia la disillusa insofferenza di Harrison (“gli scatti ritmici alla fine di ogni strofa erano come uova spiaccicate con forza contro le finestre degli uomini del governo”[7]), che trova nell’illustrazione di Lennon per la poesia “The national health cow ”[8] un valido antecedente: Lennon, immagina qui il gruppo come una mucca, naturalmente marchiata con un simbolo che ricorda la forma geografica dell’Inghilterra, e con le quattro mammelle (ovvio riferimento ai Fab Four) direttamente applicate a quattro bottiglie praticamente già pronte per essere vendute: nella poesia poi Lennon commenta con “that’s handy for the Government” (è vantaggioso per il Governo) tale insensato e inappellabile (don’t ask me what I want it for…if you don’t want to pay some more, nei versi della canzone) sfruttamento della “mucca sanitaria nazionale”, ovvero del fenomeno Beatles; lo stesso Lennon potrebbe aver contribuito alla stesura del testo di Harrison, il che allora spiegherebbe la sua impronta sarcastica, in particolare nei versi in rima street-seat-heath-feet.
I due uomini politici furono le prime persone reali e viventi a essere nominate in una canzone dei Beatles; e va considerato questo come un chiaro segnale della nuova strada da loro intrapresa in qualità di parolieri, non più limitati nella scrittura di situazioni astratte, ma pure inclini a raccontare i casi e i contrattempi della vita reale: accanto ai tradizionali temi romantici delle canzoni popolari, cominciavano a fare dichiarazioni significative sulla società che li circondava.
Senza alcun dubbio i Beatles dimostravano di aver assimilato la lezione di Bob Dylan e di averla in ogni caso mediata con il caustico umorismo tipico di Liverpool: mostrando le potenzialità del Rock come medium, come linguaggio non vincolato in modo esclusivo alla componente musicale, il cantautore americano aveva trasmesso loro una maggiore sicurezza nell’affrontare temi più impegnativi, spronandoli ad aprire i contenuti delle canzoni a nuovi umori quali ira, solitudine e indignazione, che ne avrebbero arricchito il linguaggio con riferimenti oscuri, metafore, allusioni e giochi di parole; ma soprattutto aveva appoggiato le ricerche intimiste di Lennon, favorendo quindi il passaggio, nel suo metodo compositivo, da un punto di vista oggettivo ad uno soggettivo[9].
Canzoni come I’m a loser, You’ve got to hide your love away o Help!,tutte scritte dopo il primo incontro con Dylan (avvenuto sul finire del 1964), contenevano un’intensità e una trasparenza tutte nuove e stavano a significare che Lennon aveva scoperto di poter rivelare qualcosa di sè anche nelle canzoni.
Il testo più spesso citato dai critici per illustrare questo suo “cambio di rotta” è quello di I’m a loser [10] (dal titolo già di per se eloquente: “sono un perdente”):
Of all the love I have won or have lost,
there’s one love I should never have crossed.
She was a girl in a million my friend,
I should have known she would win in the end. [11]
Dai versi di questa prima strofa emerge una tipica descrizione lennoniana delle storie d’amore, ovvero di quelle guerre di conquista e di inganni (all the love I have won or have lost) che lui ha periodicamente perso: ma sin dall’inizio aveva scritto liriche in cui il protagonista veniva dipinto come una persona abbandonata, e sotto questo aspetto I’m a loser non era affatto diversa dalle precedenti; ma è nel coro e nella strofa successiva che lascia trasparire qualcosa della sua nuova sensibilità:
I’m a loser and I lost someone who’s near to me,
I’m a loser and I’m not what I appear to be.
Although I laugh and I act like a clown,
beneath this mask I am wearing a frown.
My tears are falling like rain from the sky,
is it for her or myself that I cry? [12]
Una confessione, quella del ritornello, che corrispondeva pienamente alle inquietanti fotografie di copertina per “Beatles for sale”[13], e che presto avrebbe avuto un’eco in composizioni quali Help! o Nowhere man: Lennon ammette per la prima volta di non dire tutta la verità quando veste i panni del Beatle estroso (…I laugh and I act like a clown), e di indossare addirittura una maschera (beneath this mask) per coprire la smorfia (I am wearing a frown) di disappunto nei propri confronti che lo avrebbe comunque accompagnato per tutta la vita[14], un sospetto di essere in fondo perdente non soltanto in amore, ma anche nella vita in generale.
Allora era assolutamente insolito il fatto che una pop star[15] trattasse temi riguardanti la sconfitta (I’m a loser and I’m not what I appear to be) e l’insicurezza (help me if you can, I’m feeling down), e ad attutire l’impatto con il pubblico contribuì non poco l’immagine ancora “sbarazzina” del gruppo sostenuta dal secondo film da loro interpretato e diretto da Lester, “Help!”[16]: una volta digerito il film come poco più che uno scherzo (anche fin troppo disimpegnato), furono in molti a snobbare la profondità emotiva della sua title track; viene invece naturale leggere il testo autobiografico di Help! [17] come una inconscia espressione della profonda insoddisfazione che turbava Lennon durante il suo cosiddetto periodo “Elvis grasso”[18], un periodo compreso tra la fine del 1964 e l’inizio del 1966 in cui si ritrovò sia fisicamente che emotivamente molto instabile, come lo sarebbe stato l’ingrassato re del rock’n’roll dieci anni più tardi.
When I was younger, so much younger than today,
I never needed anybody’s help in any way.
But now these days are gone and I’m not so self assured,
now I find I’ve changed my mind I’ve opened up the doors.
Help me if you can I’m feeling down,
and I do appreciate you being round,
help me get my feet back on the ground,
won’t you please please help me?
And now my life has changed in oh so many ways,
my independence seems to vanish in the haze.
But every now and then I feel so insecure,
I know that I just need you like I’ve never done before. [19]
Le parole di Lennon qui sono piuttosto dirette: sono la più disarmante ammissione della sua mancanza di direzione, della sua sempre più insistente sensazione che la vita da idolo pop avrebbe anche potuto rivelarsi meno gradevole delle aspettative; mentalmente esaurito da due anni di continue tournèe ed ora isolato ed estraniato nella sua enorme villa in periferia ad ovest di Londra, incompreso da una moglie che non gli nascondeva di disapprovare la sua abitudine agli stupefacenti, e tagliato fuori tanto dalle ricerche spirituali di Harrison quanto dalle esplorazioni dello scapolo McCartney nell’underground britannico[20], Lennon si richiuse in se stesso, sia in senso letterale, lontano dalla famiglia, sia in senso artistico, alla ricerca di una verità interiore, di un appiglio cui aggrapparsi; e tutto questo non poteva non far crescere in lui un malessere emotivo ed aumentare il livello di ansia provocatagli dalle infinite assurdità della Beatlemania.
Ian Macdonald identifica il testo della canzone come uno spartiacque nello stile compositivo di Lennon: “Qui il guscio protettivo che si era costruito attorno alla sfera emotiva dopo la morte della madre[21] finalmente si spezza, ed egli riconosce di aver bisogno degli altri”[22], scopre che in fondo il successo così a lungo perseguito non era riuscito a colmare quel vuoto affettivo, anzi, semmai lo aveva ulteriormente ampliato; cosciente del fatto che si stava trasformando in una posa vuota e che più vecchio diventava, meno capiva, Lennon contrapponeva un passato lontano (so much younger than today) tutto sommato vissuto in modo equilibrato (I never needed anybody’s help in any way) ad un presente pieno di confusione (but now these days are gone and I’m not so self assured), in cui life has changed in oh so many ways ed ogni possibilità di rivalsa sembra svanire (my independence seems to vanish in the haze): solo che ora, smessi i panni del teddy boy scontroso e inavvicinabile, reagisce riconoscendo il bisogno di rapporti umani, la necessità di aprire le porte (I’ve opened up the doors) a qualcuno (quella tanto agognata donna-angelo che si concretizzerà nella figura di Yoko Ono, ovvero l’unica figura in grado di colmare il vuoto lasciato dalla perdita della madre) che lo faccia tornare con i piedi per terra (help me get my feet back on the ground) e lo possa rieducare ad una vita nuovamente autentica.
L’idealizzazione dell’infanzia e della fanciullezza era un tema che negli anni successivi (vedi Strawberry fields forever e Penny lane) avrebbe assunto nelle liriche dei Beatles un significato sempre maggiore, complice la “stagione psichedelica” e la risoluta aspirazione della controcultura allo stato d’innocenza tipico di quella età.
Ma il primo vero sintomo del cambio di rotta intrapreso dai Beatles nel loro metodo compositivo si avvertiva già nell’unico tema fino al 1965 ammesso nel testo di una canzone: l’amore.
In You’ve got to hide your love away [23] un Lennon tormentato dai dubbi riflette ancora su un amore vissuto in modo talmente travagliato da azzerare quasi la sua autostima (feeling two foot small — “mi sento come fossi basso due piedi”):
Here I stand with head in hand,
turn my face to the wall.
If she’s gone I can’t go on,
feeling two foot small.
Everywhere people stare,
each and everyday.
I can see them laugh at me,
and I hear them say…
“Hey, you’ve got to hide your love away”. [24]
In realtà la storia d’amore è qui un pretesto per un malessere più profondo e diffuso: l’immagine di Lennon che sta davanti ad un muro (turn my face to the wall) tenendosi la testa fra le mani (head in hand) descrive molto probabilmente la situazione (uno stato mentale turbato) che sarebbe diventata il punto di partenza per la composizione del testo; è sempre una donna (o meglio, il timore che se ne sia andata — if she’s gone) a mandarlo in depressione, eppure l’inesorabile paranoia nella seconda strofa (everywhere people stare […] I can see them laugh at me…) suona un po’ ambigua, per una questione che dopo tutto dovrebbe essere strettamente personale: Tom Robinson, cantante e difensore dei diritti dei gay, ha avanzato l’ipotesi che la canzone fosse stata scritta pensando a Brian Epstein, come una specie di avviso a mantenere la propria omosessualità, all’epoca ancora fuorilegge in Gran Bretagna, lontano dallo sguardo indiscreto ed accusatore del pubblico[25]; in effetti la voce narrante (nella persona dello stesso Epstein[26]) trasuda quel senso di paura, impotenza (I can never win) e vergogna che molti omosessuali come lo stesso manager dei Beatles devono aver provato di fronte alla disapprovazione del mondo circostante:
How can I even try,
I can never win.
Hearing them, seeing them,
in the state I’m in. [27]
Nel cuore degli anni sessanta le masse giovanili in fermento stavano dando l’assalto alla repressione sessuale nel tentativo di scardinare i luoghi comuni della sessualità istituzionale; stando all’interpretazione di Robinson, il testo della canzone, pur non schierandosi apertamente con i movimenti di liberazione omosessuale, rivelerebbe una sensibilità e una capacità d’introspezione capaci di articolare verità umane di ampia portata, verità che oltrepassano barriere di età, sesso, razza, classe e altre categorie, per parlare a quelle persone che altrimenti si sentono isolate.
La pubblicazione dell’album Rubber soul e, solo otto mesi più tardi, di Revolver, segnò un’importante svolta artistica, dal beat alle nuove sonorità psichedeliche, e fece raggiungere nuove vette alla qualità lirica delle canzoni: i Beatles parlavano ancora di amore, ma era un nuovo tipo di amore, “accessorio, timoroso e vitale in un modo che incoraggiava ambiguità e dubbi”[28], sensazioni incerte o maliziose allusioni che le prime canzoni avevano appena sfiorato se non ignorato; con The Word [29] i Beatles osavano per la prima volta spingersi lontano dalle convenzionali tematiche adolescenziali del primo periodo
Say the word and you’ll be free,
say the word and be like me,
say the word I’m thinking of,
have you heard the word is Love.
It’s so fine , it’s sunshine,
it’s the word Love. [30]
per avventurarsi in quel genere di dichiarazioni filosofiche che li fece diventare i portavoce della loro generazione; l’amore, profetizzato ora da Lennon come panacea dei mali della società, offriva libertà (…you’ll be free), luce (it’s sunshine) e anche la “via”: forse pensava anche alla “parola” nel significato evangelico del termine, inteso come “verbo” da predicare:
In the beginning I misunderstood,
but now I’ve got it, the word is good.
[…]
Now that I now what I feel must be right,
I mean to show everybody the light.
Give the word a chance to say,
that the word is just the way. [31]
In effetti, il tono quasi predicatorio del testo avrebbe potuto a tratti suonare anche irritante, se Lennon non avesse per primo ammesso le proprie colpe (In the beginning I misunderstood) prima di descrivere la sua illuminazione (but now I’ve got it, the word is good), e annunciare, con l’entusiasmo di chi è stato appena liberato, di voler diffondere il “verbo” (I mean to show everybody the light), chiamando a partecipare lo stesso ascoltatore alla divulgazione del messaggio (Give the word a chance to say, that the word is just the way).
Con The Word i Beatles cominciavano ad elaborare quella sensibilità raggiante e comprensiva che sarebbe diventata un elemento fondamentale dello spirito della seconda metà del decennio (e che con la contemporanea affermazione della controcultura Hippie[32] sarebbe stata incarnata dal ben più celebre inno All you need is love [33]): questa canzone segnava in particolare l’inizio di quel periodo in cui venne quasi imposto loro il ruolo di leader culturali, dai quali ci si aspettava venisse fornita la risposta ad ogni domanda riguardante questioni di ordine sociale o spirituale.
E Lennon prese naturalmente sul serio il proprio ruolo di portavoce: in There’s a place aveva espresso l’opinione secondo la quale a contare è il proprio universo mentale e non il mondo fisico; a distanza di anni rinforzò questo concetto in Rain [34], passando questa volta dal semplice descrivere al “prescrivere”:
If the rain comes they run and hide their heads,
they might as well be dead,
if the rain comes, if the rain comes.
When the sun shines they slip into the shade,
and sip their lemonade,
when the sun shines, when the sun shines.
Rain…I don’t mind.
Shine…the weather’s fine.
I can show you that when it starts to rain,
everything’s the same,
I can show you, I can show you.
[…]
Can you hear me, that when it rains and shines,
it’s just a state of mind,
can you hear me, can you hear me. [35]
A Lennon non importa (I don’t mind) che ci sia il sole o la pioggia (tanto per lui everything’s the same), convinto com’è che la realtà sia just a state of mind (solo uno stato mentale); e si rivolge personalmente al proprio pubblico, promettendo (I can show you) di aiutarlo a sviluppare un nuovo stato di coscienza privo di pregiudizi, che trascenda la rigida suddivisione di ciò che è bene e ciò che è male effettuata da chi ancora non è stato “illuminato” (l’obsoleta e materialista — morta — generazione prebellica: they might as well be dead): nello stesso modo in cui dovremmo restare indifferenti a com’è il tempo meteorologico, ci si dovrebbe anche elevare al di sopra delle circostanze; alla fine sembra addirittura impaziente (can you hear me) che l’ascoltatore segua le sue orme.
I Beatles, come generazioni di artisti e letterati (tra i quali Aldous Huxley[36]) prima di loro, stavano a questo punto stimolando la loro creatività con sostanze che provocavano una sensibile alterazione mentale: in particolare avevano fatto il loro primo incontro con l’Lsd, una sostanza chimica in grado di produrre esperienze di natura religiosa o di dare a chi l’assumeva l’idea che un amore di tipo fraterno o universale fosse plausibile tale da rappresentare per l’uomo la migliore, se non l’unica, speranza: fu anche per questa ragione che la parola “amore” divenne tanto diffusa nell’ambiente della cultura legata agli stupefacenti caratteristica della seconda metà degli anni sessanta; Tomorrow never knows ribadiva del resto che tra le varie cose che una persona poteva capire durante un viaggio con l’Lsd era love is all and love is everyone (l’amore è tutto, l’amore è tutti):
Turn off your mind relax and float down-stream,
it is not dying, it is not dying.
Lay down all thoughts, surrender to the void,
it is shining, it is shining.
That you may see the meaning of within,
it is being, it is being.
That love is all and love is everyone,
it is knowing, it is knowing. [37]
Dopo una prima strofa che riassume l’ideale processo di preparazione ad un trip con l’acido lisergico, il testo continua descrivendo la necessità di arrendersi all’inconscio, in modo da poter afferrare l’unicità dell’essere ed imparare the meaning of within (il significato dell’interiorità), per approdare infine al messaggio centrale che love is all and love is everyone, l’amore è “tutto”, e dunque anche luce (it is shining), l’esistenza stessa (it is being) e conoscenza (it is knowing); ma l’amore è anche “ognuno di noi” (love is everyone), è un fattore comunicativo e aggregante potenzialmente rivoluzionario, una sfida alla società chiusa e rigida in cui l’individuo, tanto alienato dal proprio corpo e dai propri sentimenti, vive l’amore e il sesso come una fonte di sensi di colpa[38]; le condizioni sono ormai mature per la nascita di un umanesimo ribelle basato sull’amore solidale: “è ora che l’amore venga inserito nel contesto del potere, è ora di essere forti nell’amore, come aveva scritto Wordsworth, forti di un’attiva forza morale che non potrà non informare di sé la nuova arte”[39].
Nelle composizioni di Rubber soul e Revolver, dunque, le prime avvisaglie di una coscienza alternativa: quello che era stato in ambito musicale un campo riservato solamente a qualche cantante folk o blues, veniva invaso dai nuovi autori della musica pop, con liriche che puntavano ora alla ricerca di una migliore esistenza/coesistenza.
Ma i Beatles, nello stesso tempo in cui cominciarono a rendersi conto della seria complessità dei rapporti umani, non rinunciarono affatto al senso dell’umorismo e alla baldanzosa impudenza degli anni spensierati: oltre che una certa serietà di propositi, nei testi iniziavano a fare capolino il surrealismo e lo humour ammiccante che fino ad allora erano stati confinati nei film di Lester[40] o negli scritti di Lennon; sia Drive my car, con il proprio rovesciamento dei ruoli, che Norwegian wood, con la propria ingenua scena di seduzione, rientravano in effetti nella categoria “canzoni umoristiche”.
Drive my car [41] è un arguto giudizio di McCartney sull’ambizione sfrenata, sull’opportunismo e la falsità che spesso accompagnano chi sogna “di farcela”, sulla spregiudicata manipolazione dell’amore (inteso come rapporto sessuale), degradato a mero stratagemma per raggiungere (o far raggiungere a qualcuno) un obiettivo prefissato:
Asked a girl what she wanted to be,
she said — baby, can’t you see?
I wanna be famous, a star of the screen,
but you can do something in between.
Baby you can drive my car,
yes I’m gonna be a star,
baby you can drive my car,
and maybe I’ll love you.
I told the girl that my prospects were good,
she said — baby, it’s understood –
Working for peanuts is all very fine,
but I can show you a better time.
[…] I told that girl I could start right awa ,
and she said — listen babe, I’ve got something to say,
got no car and it’s breaking my heart,
but I’ve found a driver, that’s a start. [42]
L’io narrante, di sesso maschile, apre la prima strofa con la vetusta frase “cosa vuoi essere?” (what she wanted to be) rivolta ad una ragazza, la quale fa subito capire le proprie intenzioni di diventare una diva del cinema (I wanna be famous, a star of the screen); nella seconda strofa si intuisce che la domanda iniziale cela in realtà una sottile richiesta di prestazioni erotiche in cambio della promessa di un avanzamento di carriera: l’uomo (un cantante o comunque un personaggio dell’industria dello spettacolo) perora la propria causa, e dopo aver argomentato che le prospettive a sua detta sono buone (my prospects were good), si dichiara sicuro di poterla portare al successo (I can show you a better time); ma è alla figura maschile che viene chiesto di “guidare”[43]: la donna ha infatti operato un rovesciamento dei ruoli dicendo che potrebbe anche concederglisi (and maybe I’ll love you) a patto che lui le faccia da autista; se si intende Car per “talento”, “predisposizione” o “qualità”, il termine Drive può assumere qui il significato di “valorizzare” o “indirizzare” (you can drive my car significherebbe allora: “tu puoi trovarmi un posto in base alle mie qualità…”).
Alla fine si scopre però che lei in realtà non ha la macchina: una svolta inattesa nell’intreccio della canzone che sfocia nella ridicola battuta but I’ve found a driver, that’s a start, come a dire “a che serve poi il talento, quando si ha comunque chi ti guida/raccomanda nei posti giusti?”
Frutto di una collaborazione tra Lennon e McCartney, il testo di Norwegian wood (this bird has flown) [44] descrive dettagliatamente una scena di seduzione in cui, ancora una volta, è la donna che sembra avere il controllo della situazione:
I once had a girl,
or should I say,
she once had me.
She showed me her room,
isn’t it good?
Norwegian wood.
She asked me to stay and she told me to sit anywhere,
so I looked around and I noticed there wasn’t a chair.
I sat on a rug,
biding my time,
drinking her wine.
We talked until two,
and then she said
“Its time for bed”.
She told me she worked in the morning and started to laugh.
I told her I didn’t, and crawled off to sleep in the bath.
And when I awoke,
I was alone,
this bird had flown.
So I lit a fire,
isn’t it good?
Norwegian wood. [45]
La canzone parla di una reciproca quanto fallimentare seduzione e in modo indiretto mette in luce alcuni dei cambiamenti nei rapporti tra uomo e donna che accompagnarono la liberazione sessuale negli anni sessanta; a renderla insolita sin dall’inizio è il fatto che il protagonista si rende perfettamente conto di non avere la situazione sotto controllo: il testo si apre con un luogo comune, il macho che si vanta di aver “avuto” una ragazza (I once had a girl); ma si corregge in tutta fretta e capovolge la situazione (or should I say), ammettendo di essere la vittima del gioco (she once had me [46]): è lei che lo porta nel proprio appartamento per fargli orgogliosamente ammirare (isn’t it good ?) il mobilio che lo arreda, fatto di pino norvegese (allora di moda a Londra a metà decennio); è sempre lei che gli chiede di restare (she asked me to stay), che decide “it’s time for bed” e che infine delude le sue aspettative: dopo tutto lei sembrava non dispiacersi della sua compagnia, avevano parlato fino alle due di notte (we talked until two) e fino a quel momento lui aveva aspettato pazientemente il momento “giusto” (biding my time, drinking her wine), che sembrava essere appunto arrivato con l’annuncio di lei: “è ora di andare a letto!”
A questo punto bisogna supporre un malinteso; per tutta la durata del racconto le immagini prevalgono sulle azioni, nel senso che il protagonista racconta la storia omettendo alcuni particolari dell’azione: possiamo visualizzare la stanza, il bagno, il letto, il fuoco ed altri dettagli che ci aiutano ad immaginare gli sviluppi della trama; non meno importante è l’elemento musicale, che partecipa intensamente all’incertezza del momento, mettendo in primo piano il sitar di Harrison in una breve pausa strumentale; una pausa breve quanto fatale, dal momento che la ragazza prende una improvvisa quanto spiazzante decisione: forse ha mal interpretato la passività dell’ospite, che se ne è stato seduto tutto il tempo per terra (sat on a rug) a parlare, sta di fatto che fa marcia indietro e con un sorriso irritante respinge l’uomo tirando fuori la poco giustificativa scusa che l’indomani mattina deve andare a lavorare (she told me she worked in the morning and started to laugh); dopo aver scomodamente trascorso la notte in bagno, il protagonista si sveglia e scopre che l’oggetto del desiderio se ne era già andato (this bird had flown [47]), lasciandolo dunque solo: l’occasione perduta lo fa infuriare, e si intuisce la decisione di incendiare l’appartamento (I lit a fire) per vendicarsi del torto subito (isn’t it good ? — commenta sarcastico l’uomo, facendo il verso alla compiaciuta esternazione della ragazza riguardo il suo “legno norvegese”).
2 . 2 . 1 – James Paul McCartney
Evidentemente nella seconda metà del 1965, scrive MacDonald, “Lennon e McCartney stavano esaurendo le loro capacità di variazione sul tema della semplice storia d’amore, e sapevano di non avere altra scelta: o allargavano le proprie tematiche, o la loro vena creativa si sarebbe inaridita”[48]; consapevoli di questo rischio, durante un’intervista rilasciata alla rivista “Melody Maker”, i due autori resero pubblica l’intenzione di muoversi in una nuova direzione e dedicarsi ad un tipo di composizione per loro nuovo, la comedy song: nelle “canzoni-commedia” vengono presentate delle brevissime storie, con personaggi (reali o inventati); si tratta quindi di canzoni narrative, contrapposte a quelle “di situazione” del primo periodo, cantate in prima persona e ambientate in modo molto generico: non abbiamo nessuna immagine della sala da ballo in I saw her standing there, quasi nulla che faccia trapelare indizi sull’aspetto o sulla personalità di chi vi balla; al contrario, in Norwegian wood siamo addirittura informati su numerosi dettagli dell’arredamento, compresi i materiali impiegati, mentre della ragazza sappiamo non solo i gusti (facile dedurre che sia stata lei ad occuparsi dell’appartamento), ma anche orari, abitudini e soprattutto l’inclinazione ad un ruolo tutt’altro che remissivo; si suppone anche che l’io narrante, il ragazzo frustrato e abbandonato (che alla fine darà fuoco al legno norvegese), non sia un qualunque adolescente, bensì Lennon in persona.
Mentre le precedenti composizioni tendevano a “mettere in scena” situazioni generiche, le comedy songs riformulano in terza persona o sviluppano in una narrazione (semi)autobiografica degli episodi in qualche modo legati alla vita personale dell’autore.
Con ogni probabilità McCartney attinse all’esperienza della propria burrascosa convivenza con Jane Asher quando scrisse For no one [49], una ballata che fotografa in modo distaccato un uomo e una donna nella loro quotidianità, un rapporto di coppia comunque in procinto di finire: sembra di trovarsi in presenza di un uomo che parli davanti allo specchio dei propri turbamenti:
Your day breaks, your mind aches,
you find that all her words of kindness linger on,
when she no longer needs you.
She wakes up, she makes up,
she takes her time and doesn’t feel she has to hurry,
she no longer needs you.
And in her eyes you see nothing,
no sign of love be’ind the tears cried for no one,
a love that should have lasted years.
You want her, you need her,
and yet you don’t believe her when she says her love is dead,
you think she needs you.
[…] You stay home, she goes out,
she says that long ago she knew someone but now he’s gone,
she doesn’t need him. [50]
Senz’altro più maturo rispetto al piagnucolante adolescente protagonista dei primi testi beatlesiani, l’amante è qui in grado di analizzare razionalmente la propria situazione affettiva e di cogliere l’inevitabile distacco venutosi a creare tra lui e la sua compagna: la sua giornata inizia con la crescente sensazione (your mind aches) di non essere più amato come un tempo, di non essere più al centro della sua attenzione (all her words of kindness linger on, when she no longer needs you); d’altronde lei sembra non degnarsi più di tanto della sua presenza (she wakes up, she makes up, she takes her time…, she goes out), impersonifica probabilmente la tipica donna che antepone la propria carriera a tutto (molto simile, dunque, alle figure femminili che “guidano” gli incontri amorosi in Drive my car e Norwegian wood), anche agli uomini (long ago she knew someone, but now he’s gone, she doesn’t need him); l’uomo è però esitante e vuole prendere in considerazione ogni possibilità (and yet you don’t believe her, when she says her love is dead, you think she needs you) prima di arrivare ad accettare, questa volta rassegnato, che negli occhi di lei non vi è più traccia (in her eyes you see nothing, no sign of love…) di quell’amore che nelle sue vane aspettative should have lasted years.
L’imminente fine di una storia d’amore di cui si prende atto in For no one, viene riportata in modo tanto realistico quanto la triste e solitaria morte della zitella in Eleanor Rigby [51]: nella sua atmosfera surreale, la voce fredda e l’asciutto occhio cinematografico di McCartney raccontano ancora una volta per immagini la sbrigativa indifferenza, ora non più di una donna nei confronti del suo uomo, ma del mondo di fronte alla sterile esistenza delle persone sole:
Eleanor Rigby
picks up the rice in the church where a wedding has been,
lives in a dream.
Waits at the window
wearing the face that she keeps in a jar by the door,
who is it for?
All the lonely people, where do they all come from?
All the lonely peopl , where do they all belong?
Father McKenzie
writing the words of a sermon that no one will hear,
no one comes near.
Look at him working
darning his socks in the night when there’s nobody there,
what does he care? [52]
In un primo momento, il personaggio di fantasia che all’inizio del brano raccoglie il riso in chiesa, avrebbe dovuto chiamarsi Miss Daisy Hawkins: del tutto casuale la scelta del nome, che rispondeva alla necessità di fissare momentaneamente la ritmicità del testo che McCartney aveva in mente; fu in un secondo momento, ripensando all’immagine descritta nel secondo verso (picks up the rice in the church where a wedding has been), che decise di darle una identità più credibile, l’identità di una persona che avrebbe anche potuto risiedere nel mondo “reale”: ecco dunque l’accostamento (forse non del tutto casuale[53]) di Eleanor, dal nome dell’attrice protagonista femminile che aveva recitato nel film “Help!” (Eleanor Bron), con Rigby, un cognome (preso dall’insegna di un negozio di abbigliamento) abbastanza diffuso nel territorio di Liverpool e che consolidava la dimensione verosimile della canzone[54].
McCartney immaginò la donna che fa le pulizie in una chiesa dopo i festeggiamenti come una persona di una certa età, una donna che con ogni probabilità si era persa non solo il matrimonio del quale sta ora spazzando via i ricordi materiali, ma anche il proprio: una zitella sola dunque, così estromessa dalla vita e dai contatti umani che le sembra di vivere in un sogno/incubo (lives in a dream), reso ancor più amaro dal lavoro che fa; alla condanna a vivere da disadattata nella società, Eleanor contribuisce personalmente, accontentandosi di raccogliere le briciole (il riso) dalla vita; vi contribuisce poi il rigido galateo della middle class inglese, che fa pagare l’integrazione dell’individuo nella società borghese con l’imposizione di una maschera (o volto — the face) di rispettabilità che non ne faccia trapelare i sentimenti e le emozioni (compreso il dolore): Eleanor obbedisce a questo dovere morale (wearing the face that she keeps in a jar by the door), indossando quella maschera di dignità gelosamente conservata in un vaso accanto alla porta, come fosse un ombrello da portarsi dietro ogniqualvolta s’intende lasciare le mura domestiche per affrontare le intemperie del mondo esteriore: soluzione del tutto inutile (who is it for?), dato che Eleanor, incapace di comunicare con l’esterno, guarda da semplice spettatore (waits at the window) la vita stessa che scorre, mentre passivamente aspetta che qualcosa possa cambiare.
Anche il mondo religioso sembra prestare una generale indifferenza nei confronti di queste tragedie quotidiane: l’istituzione ecclesiastica infatti, personificata nella figura di Padre McKenzie[55], è ormai incapace di proporre un alternativo e valido sostegno spirituale alla comunità di fedeli; non solo, lo stesso McKenzie, depositario in teoria di quei valori che la Chiesa vorrebbe mantenere in vita, viene meno al suo ruolo attivo di guida spirituale per lasciarsi andare ad una esistenza indolente, scandita da azioni abituali, ripetute con meccanica noncuranza (what does he care?) e in completa solitudine, tipo rammendarsi i calzini (darning his socks in the night when there’s nobody there), o scrivere l’ennesimo sermone domenicale che nessuno ascolterà (writing the words of a sermon that no one will hear) dato che nessuno sarà presente alla funzione religiosa (no one comes near).
Eleanor Rigby
died in the church and was buried along with her name,
nobody came.
Father McKenzie
wiping the dirt from his hands as he walks from the grave,
no one was saved. [56]
Le due persone solitarie vengono finalmente riunite nella strofa finale della canzone, in occasione del funerale di Eleanor, officiato appunto da Padre McKenzie: Eleanor muore ovviamente nella chiesa, luogo che per brevi attimi le aveva almeno dato l’illusione di vivere in un sogno; Eleanor aveva condotto una esistenza ai margini della vita reale, e dunque risulta naturale che nessuno abbia partecipato alla funzione funebre (nobody came): non c’è nessuno a ricordarla, di conseguenza Eleanor viene seppellita insieme al suo nome (was buried along with her name), come se non fosse mai esistita, e come se non bastasse, lo stesso Padre McKenzie sembra non dare troppa importanza alla sua morte, marcando, mentre si sta allontanando dal luogo della sepoltura, la futilità del suo gesto (wiping the dirt from his hands) con la rassegnata e disillusa consapevolezza che tanto no one was saved, un’osservazione che mina un pilastro della dottrina cristiana, ovvero la speranza di una salvezza dopo la fine della vita terrena.
“Con la promessa individuale dell’immortalità, il Cristianesimo aveva indirizzato per secoli l’interesse dei fedeli alla ricompensa futura piuttosto che all’ingiustizia presente. Negli anni Cinquanta, mentre i Beatles e il loro pubblico andavano maturando, apparve chiaro che la religione non aveva più complementi soprannaturali cui ricorrere per sostenere la propria autorità. I giovani si accorsero che le certezze dei genitori erano obsolete e che, se questo era l’unico mondo conoscibile, non c’era ragione di rimandare il piacere a più tardi”.[57]
Se ne rese conto di sicuro Melanie Coe, l’involontaria protagonista di She’s leaving home [58]: nel febbraio del 1967 McCartney lesse un articolo sul Daily Mirror che riportava la notizia della fuga di questa giovane studentessa londinese dalla propria casa, nello sconforto più totale dei genitori; in quel periodo la questione dei ragazzi che scappavano di casa era di grande attualità: lo stesso guru della controcultura Timothy Leary stava sollecitando i propri seguaci (come parte del processo di creazione di una società alternativa) a mollare tutto (drop out), compresi lo studio, il lavoro e la propria famiglia, a rifiutare insomma di venire “inquadrati” in quel sistema di regole ed interdizioni che nella precedente lirica di McCartney aveva contribuito a trasformare Eleanor Rigby in “un essere umano senza volto, un niente”.[59]
Melanie desiderava una libertà della quale aveva sentito parlare ma che non riusciva a trovare a casa propria: il suo caso diede a McCartney lo spunto[60] per scrivere un racconto di attualità lucido e drammatico, un racconto in cui il nome della ragazza venne omesso in favore del pronome personale She, al fine di riconoscervi sentimenti e comportamenti universali:
Wednesday morning at five o’clock as the day begins,
silently closing her bedroom door,
leaving the note that she hoped would say more,
she goes downstairs to the kitchen clutching her handkerchief,
quietly turning the backdoor key,
stepping outside she is free.
She (We gave her most of our lives)
is leaving (Sacrificed most of our lives)
home (We gave her everything money could buy)
She’s leaving home after living alone for so many years (Bye bye).
Father snores as his wife gets into her dressing gown,
picks up the letter that’s lying there,
standing alone at the top of the stairs,
she breaks down and cries to her husband — Daddy, our baby’s gone,
why would she treat us so thoughtlessly,
how could she do this to me?
She (We never thought of ourselves)
is leaving (Never a thought for ourselves)
home (We struggled hard all our lives to get by)
She’s leaving home after living alone for so many years (Bye bye).
Friday morning at nine o’clock she is far away,
waiting to keep the appointment she made
meeting a man from the motor trade.
She (What did we do that was wrong?)
is having (We didn’t know it was wrong)
fun (Fun is the one thing that money can’t buy)
Something inside that was always denied for so many years (Bye bye)
She’s leaving home (Bye bye). [61]
La prima strofa introduce già al momento del distacco, che viene descritto in modo molto dettagliato, proseguendo nello stile cinematografico (qui sensibilmente marcato) delle due liriche precedenti: una volta stabilite le coordinate temporali (Wednesday morning at five o’clock), l’obiettivo di McCartney comincia ad inquadrare lo scenario della vicenda, indugiando in alcuni particolari che ne accrescono il realismo visivo/emotivo (la chiusura/apertura delle porte in assoluto silenzio — silenlty closing her bedroom door […] quietly turning the backdoor key), in un “climax di tensione che si conclude con la tanto attesa libertà”[62] (stepping outside she is free).
Prima ancora di considerare i motivi che hanno spinto la ragazza a prendere la decisione (comunque sofferta — clutching her handkerchief) di fuggire di casa, una nuova voce narrante (ora di Lennon) irrompe nel ritornello e riporta la reazione dei genitori, increduli di fronte ad un simile gesto, sicuri di averle sacrificato tutta la vita (sacrificed most of our lives) nella convinzione tutta piccolo-borghese che le cose più importanti al mondo siano la rispettabilità, la pulizia morale e il potere del denaro (we gave her everything money could buy) finalmente acquisito, dopo anni di stenti (we struggled hard all our lives to get by); la seconda strofa continua con la madre che, dopo aver letto la lettera d’addio, scoppia in lacrime (breaks down), ma il suo disperato lamento (our baby’s gone! […] how could she do this to me?) esprime già di per sé quell’eccesso di protezione che ha causato la fuga della figlia.
Nel terzo atto la narrazione fa un salto di due giorni (Friday morning at nine o’clock) e la ragazza, ormai lontana da casa (she is far away), si appresta ad entrare nel mondo degli adulti, ad incontrare un commerciante d’auto (a man from the motor trade) con il quale aveva già stabilito contatti (waiting to keep the appointment she made): l’uomo, tipo losco o amante della ragazza che sia, non a caso lavora per una concessionaria d’auto: agli occhi di McCartney, l’automobile (considerata già la sua valenza trasgressiva in Drive my car) da status symbol della borghesia in ascesa “si è trasformata in fattore di liberazione”[63]; la ragazza è finalmente libera di abbandonarsi ai piaceri, all’affetto e ai divertimenti (she is having fun), ovvero a qualcosa che avrebbe dovuto superare ogni bene materiale quanto a importanza, ma di cui era sempre stata privata mentre viveva con la sua famiglia (something inside that was always denied for so many years), nella totale assenza di comunicazione (she’s leaving home after living alone for so many years).
Se non fosse scappata di casa, Melanie sarebbe andata incontro ad un destino simile a quello di Eleanor Rigby: la sua tragedia non è dunque assoluta, tanto meno definitiva; non solo, l’incapacità di comprensione dei genitori nei confronti del suo gesto sembra alla fine addirittura recuperabile: si rendono quanto meno conto di aver definito la loro devozione per lei in termini quasi esclusivamente monetari, mentre invece fun is the one thing that money can’t buy; l’ultimo commento loro sembra un appello a riflettere prima di giudicare, perché i genitori non sono malvagi, piuttosto sono ciechi (what did we do that was wrong? we didn’t know it was wrong), ma non in malafede, di fronte alle reali esigenze dei figli: un ammonimento che, se non proprio un’apertura al dialogo, sembra voler almeno includere lo spiraglio per una riconciliazione a distanza, come la lettera lasciata a casa (leaving the note) che Melanie hoped would say more.
Non si scorge nelle liriche dei Beatles, per quel che riguarda la polemica generazionale quanto le questioni di politica[63], la lapidaria inflessibilità di Bob Dylan:
Come mothers and fathers throughout the land
and don’t criticize what you can’t understand,
your sons and your daughters are beyond your command,
your old road is rapidly aging,
please get out of the new one if you can’t lend your hand,
for the times they are a-changin’. [65]
Qui le parole del cantautore lasciano ben poche possibilità di scelta, e risuonano come un cuneo che allarga il divario fra la generazione dei figli e quella dei genitori: l’entrata in scena della prima esige asservimento dalla seconda, pena l’esclusione di quest’ultima dal corso della storia.
Rispetto alla sentenziosità ringhiosa di Dylan e, come vedremo, alla maniacale intolleranza delle invettive di Lennon, la canzone-racconto di McCartney rivela invece unasensibilità molto più umana ed accessibile, che lo fa piuttosto accostare alla contemporanea esperienza dei poeti di Liverpool: nella poesia di Mrs. Albion you’ve got a lovely daughter, le teenager inglesi che si preparano a passare una serata fuori di casa all’insegna del divertimento e di ogni tipo di trasgressione
The daughters of Albion
[…] putting on nylon panties ready for the night
[…] powder their delicate nipples wondering if tonight will be
the night [66]
non sembrano affatto insensibili alle ansie dei genitori che li aspettano a casa, sono perlomeno coscienti che dovranno trovare una conciliante giustificazione per aver infranto un divieto:
wondering how to explain why they didn’t go home [67]
Nell’uso narrativo delle singole immagini, anche McCartney, come Henri, dimostra una congenita inclinazione a “cantare la vita nei suoi aspetti reali e quotidiani, facendosi portavoce dei sentimenti che accomunano ogni essere umano”[68] è soprattutto alla vita e ai problemi delle persone normali che le comedy songs di Paul dedicano maggiore attenzione, e alle donne, come abbiamo già notato, scrive i versi più particolari della sua carriera: in Lady Madonna [69] rende ancora in considerazione la donna qualunque, in questo caso una ragazza madre, alla cui esistenza tormentata ed economicamente pesante il testo vuole essere un affettuoso omaggio:
Lady Madonna
children at your feet,
wonder how you manage to make ends meet.
Who finds the money when you pay the rent?
Did you think that money was heaven sent?
Friday night arrives without a suitcase…
[…]
Lady Madonna
baby at your breast
wonder how you manage to feed the rest.
[…]
Lady Madonna
lying on the bed,
listen to the music playing in your head.
Tuesday afternoon is never ending,
Wednesday morning papers didn’t come,
Thursday night your stockings needed mending. [70]
Solo quando si corica per riposarsi un minuto (lying on the bed) ed ascoltare la musica che le ronza in testa (listen to the music playing in your head), Lady Madonna riesce veramente a trovare uno spazio tutto per sé, a dimenticare anche se per un breve lasso di tempo i problemi che puntualmente si ripetono ogni giorno della settimana e stupiscono la voce narrante che non a caso si chiede come faccia a sbarcare il lunario (wonder how you manage to make ends meet) con tutti quei figli a carico da crescere da sola (wonder how you manage to feed the rest) e un affitto da pagare (who finds the money when you pay the rent?); per far quadrare i bilanci, la ragazza, ovviamente consapevole che i soldi non piovono dall’alto (heaven sent), si trova necessariamente costretta ad operare qualche taglio alle spese: non ci saranno weekend romantici da trascorrere fuori casa (Friday night arrives without a suitcase), potrebbe affidarsi alla pubblica assistenza, ma in caso di mancato recapito degli assegni famigliari dovrà rinunciare anche all’acquisto dei giornali (morning papers) e rattoppare personalmente le smagliature nelle calze (your stockings needed mending) perché non può proprio permettersi di uscire fuori a comprarne un altro paio.
Le idee di McCartney sull’amore, il matrimonio e il ruolo della donna si erano formate principalmente negli anni Cinquanta, prima che riprendesse vigore il movimento femminista negli anni Sessanta, e riflettevano gli atteggiamenti della classe operaia settentrionale dell’epoca: lo stesso McCartney considerò Lady Madonna come un tributo alla figura materna, l’immagine della Madonna applicata ad una normale operaia[71]; eppure, al contrario della maggior parte delle composizioni di star maschili di quel periodo, le sue non erano misogine e tanto meno sfruttavano apertamente l’immagine della donna, piuttosto erano intenzionalmente meditate.
Per figure femminili scriverà i versi più profondi della sua carriera anche dopo i Beatles: in Another day [72] Paul tratteggia una donna che trascina stancamente un’esistenza priva di momenti di gioia o di svago; non è difficile scorgere almeno per un attimo in questi quadretti di ordinaria solitudine il profilo di Eleanor Rigby:
Everyday she takes a morning bath, she wets her hair,
wraps a towel around her as she’s heading for the bedroom chair,
it’s just another day.
[…] So sad, so sad,
sometimes she feels so sad.
Alone in her apartment she’d dwell
till the man of her dreams comes to break the spell. [73]
Le preoccupazioni “umanitarie” che nel “profeta” Lennon trovavano spazio in slogan quali The Word, Tomorrow never knows,ed All you need is love, stavano anche all’origine dell’interessamento di McCartney per i disagi quotidiani delle sue verosimili eroine.
Lo stesso vale per Blackbird [74], anche se in questo caso la donna, nella figura di un uccello (come già in Norwegian wood), viene allegoricamente situata in un contesto più ampio e meno “domestico”:
Blackbird singing in the dead of night
take these broken wings and learn to fly
all your life
you were only waiting for this moment to arise.
Blackbird singing in the dead of night
take these sunken eyes and learn to see
all your life
you were only waiting for this moment to be free.
Blackbird fly, blackbird fly
into the light of the dark black night. [75]
McCartney fu realmente ispirato da un merlo che iniziò a cantare prima dell’aurora, il che ben si accorda con il senso di risveglio e con la straordinaria tensione positiva della sua musica, eppure il suo testo trasforma tale esperienza “in una concisa metafora di risveglio a un livello più profondo”[76]: un incoraggiamento rivolto ad una donna nera (black-bird) affinché acquisti coscienza e fiducia nelle proprie capacità (learn to fly — learn to see), nonostante ogni tipo di avversità (le ali spezzate — broken wings [77]).
La contemporanea morte di Martin Luther King, avvenuta nell’Aprile del 1968, suscitò un profondo cordoglio in tutto il mondo, ma lasciò soprattutto negli Stati Uniti un lungo strascico di tensioni e gravi disordini; e forse è rivolto proprio a King[78] il doloroso canto notturno del merlo, una invocazione a poter partecipare della sua buona luce (fly into the light), mentre l’immagine del merlo ferito che viene incoraggiato a volare potrebbe essere una metafora delle minoranze razziali oppresse che cominciavano ad alzare la voce (you were only waiting for this moment to arise/be free) e, per così dire, a flettere i propri muscoli.
I sentimenti dell’autore nei confronti della donna/merlo non affondano le radici nella distaccata analisi di Eleanor Rigby: trabocca piuttosto un messaggio più positivo, non tanto incarnato nella condizione e nello stato d’animo del personaggio alato, quanto rivolto allo stesso dalla voce narrante; McCartney dimostra di “conoscere bene il valore delle parole, di sapere come possono aiutarci a godere la vita e l’amore”[79]; sa anche come possono operare le parole nei momenti drammatici, come ad esempio la perdita (e successivamente il ricordo) di una persona amata: perché sa convertire rimpianto e rammarico in affettuosa commemorazione e sostegno morale.
Scritta nello stile di un moderno inno religioso, Let it be [80] dimostra tutta la versatilità del suo songwriter, per il quale era inusuale scrivere di questioni così intime:
When I find myself in times of trouble
Mother Mary comes to me
speaking words of wisdom — Let it be.
And in my hour of darkness
she is standing right in front of me
speaking words of wisdom — Let it be. [81]
Il feeling religioso del testo, ispirato dal senso di abbattimento che provava McCartney all’inizio del 1969 nel vedere i Beatles cominciare ad andare in pezzi (in times of trouble/in my hour of darkness), viene esaltato dall’invocazione a Mother Mary: il nome tuttavia non si riferisce alla Vergine Maria, bensì alla propria madre, Mary Mohin (morta di tumore nell’ottobre del 1956 ed ora apparsagli in sogno) che l’autore immagina essergli vicina (standing right in front of me), pronta ad offrirgli il proprio sostegno e ad esorcizzare con la sue confortanti parole (words of wisdom, l’esortazione ad accettare il naturale proseguimento degli eventi) gli spettri che ne tormentavano lo stato d’animo.
And when the broken hearted people
living in the world agree
there will be an answer — Let it be.
For though they may be parted
there is still a chance that they will see
there will be an answer — Let it be. [82]
Nel secondo verso McCartney condivide con il più solipsistico Lennon l’inclinazione a far congiungere la propria situazione personale con una realtà comune più ampia (cfr anche Things we said today, cap. 2.1), allargando la speranza e la positività del messaggio di Mother Mary a tutte le broken hearted people del mondo.
Già qualche anno prima, scrivendo Yesterday [83] (nonostante la vaghezza del testo la renda anche interpretabile come un sincero ricordo di una storia d’amore che per qualche ragione non ha funzionato), McCartney aveva riportato indietro le lancette dell’orologio per fare ritorno al periodo antecedente al tragico evento della scomparsa della madre (why she had to go, I don’t know), un periodo felice in cui ogni preoccupazione pareva lontana (all my troubles seemed so far away); eppure il superamento di una situazione difficile passava già attraverso il ricordo di quel passato (oh I believe in Yesterday) e il riconoscimento dei valori e del patrimonio morale di cui la madre era depositaria.
A differenza di Lennon, McCartney ebbe un’infanzia ricca di affetti, un “patrimonio prezioso” come lui stesso ricorda[84]; lo stimolo all’ambizione e il suo indubbio equilibrio emotivo fondano in gran parte le radici nella consapevolezza di aver vissuto in un clima famigliare ricreativo e rasserenante, di cui la madre costituiva il punto cardine: “sapeva come tenere unita la famiglia, […] come altre donne, era il capo silenzioso della casa”[85]; Paul affrontò il dolore della sua perdita concentrandosi soprattutto sulla musica, dalle cui liriche sarebbero riemerse col tempo alcune componenti essenziali del ruolo di pacificatore ricoperto dalla figura materna, quali il suo temperamento accomodante e la dedizione all’unità intesa come “riconciliazione degli opposti”.
L’invito alla moderazione, a tentare la strada del riavvicinamento ed evitare se possibile lo scontro, a preferire la quotidiana serenità ad ogni atteggiamento estremista, affiora in molta della sua produzione e troverà in Waterfalls [86] un efficace manifesto
Don’t go jumping waterfalls,
please keep to the lake.
People who jump waterfalls
sometimes can make mistakes. [87]
che ad una prima lettura rivela semplicemente una premurosa raccomandazione impartita da un genitore al proprio figlio, ma che in realtà nasconde una esortazione a vivere le certezze della quotidianità (keep to the lake) non come motivo di monotonia ma come fonte di sicurezza[88].
Il richiamo al tempo felice dell’infanzia non si esaurisce nella commemorazione della centralità della figura materna, ma comprende anche la rievocazione di quell’ambiente, sia naturale che urbano.
Le visioni mistiche di Mother nature’s son [89] possono anche essere state influenzate da una lezione, tenuta in India dal Maharishi Mahesh Yogi, sull’unità dell’uomo con la natura; ma il forte spirito di ritorno alla natura che ne costituisce il nocciolo, trae origine dal potere distensivo che aveva Madre Natura (così come Mother Mary) agli occhi del fanciullo McCartney:
Born a poor young country boy
Mother Nature’s sonall day long I’m sitting singing songs for everyone.
Sit beside a mountain stream,
see her waters rise,
listen to the pretty sound of music as she flies.
Find me in my field of grass
Mother Nature’s son
swaying daisies sing a lazy song beneath the sun. [90]
Il giovane e povero ragazzo di campagna opera una totale immersione nella compiuta armonia di Madre Natura, fino a conformare il proprio canto ai suoi stessi ritmi lenti e dolcemente pigri (a lazy song): anzi, come per il bambino Wordsworth nella poesia Tintern Abbey, è dei suoi stessi sensi che il creato si impadronisce, ammaliandolo con le sue invitanti bellezze (sit beside a mountain stream… see her waters rise… swaying daisies…), mentre lui assiste passivamente (listen to the pretty sound of music) alla fusione della propria musica con l’eterea presenza di Madre Natura.
La “celebrazione di un culto dell’innocenza che affonda le sue radici arcaiche e primordiali nella concezione della natura quale sede di felicità e di purezza”[91], ben radicata nei valori della controcultura, è presente anche nella poetica beatlesiana del periodo psichedelico; ma i richiami ai modelli culturali del Romanticismo inglese, laddove appaiono evidenti nelle contemporanee poetiche di Brian Patten o del cantautore folk Donovan, si presentano più sfumati nella produzione di McCartney: la tipica contrapposizione tra i ritmi asfissianti della vita cittadina e il clima distensivo dell’ambiente rurale, ad esempio, raramente è presente come oggetto di discussione in una sua lirica; forse viene implicitamente supposta in The fool on the hill [92], dal momento che “l’uomo con la smorfia da scemo” (the man with the foolish grin) si sottrae alle costrizioni della comunità in favore di una solitaria (alone on a hill) partecipazione alla ciclica animazione del mondo naturale:
The fool on the hill sees the sun going down,
and the eyes in his head see the world spinning round . [93]
Tuttavia risulta un po’ troppo forzato identificare il conflitto tra il fool e gli altri con la secolare antinomia tra campagna (simbolo di innocenza) e città (simbolo di corruzione); McCartney d’altro canto non indugia in spiegazioni: in cosa è diverso il protagonista dalle persone che lo denigrano?
Forse per il fatto di starsene in disparte a guardare i tramonti (sees the sun going down) o forse perché ha perennemente la testa fra le nuvole (head in a cloud), resta il fatto che la sua posizione è quella di un emarginato; la sua presenza è sicuramente sgradita alla società:
But nobody wants to know him,
they can see that he’s just a fool
[…]
and nobody seems to like him… [94]
L’esclusione fa di lui una persona sola; ma la solitudine dello scemo sulla collina diverge dalla segregata esistenza di Eleanor Rigby, dal momento che lui, ignorandoli (he never listens to them), scopre di poter almeno mantenere uno stato di serenità mentale, nella consapevolezza che tanto sono gli “altri” ad essere i veri pazzi:
He never listens to them,
he knows that they are the fools… [95]
Come proposto da Zavagno[96], la lyric potrebbe anche rappresentare in chiave allegorica la tematica attuale dello scontro generazionale, o meglio, dell’incomprensione tra il giovane (nei panni del fool) e la generazione precedente (il they della canzone), e dunque dell’attrito che si stava creando tra una nuova cultura emergente dall’underground e quella dominante e repressiva dei padri: nel contesto poi di una Summer of Love vibrante di energia positiva votata a mondare le sterili consuetudini della vecchia generazione, la pazzia/non conformismo del fool diventa addirittura indice di saggezza.
Anche un ambiente urbano, se visto attraverso gli occhi sognatori di un bambino e per di più identificato con la propria città natale, può simboleggiare un’entità materna, un approdo felice e per di più ideale dove anche gli elementi più contrastanti convivono simultaneamente.
Con il suo ritmo disinvolto e spensierato, Penny Lane [97] riassume nella commistione di parole e musica la concezione essenzialmente solare della vita di Paul McCartney: in essa sintetizza l’ottimistica esuberanza dei Swinging Sixties con la nostalgia dei primi anni Cinquanta: la sua infanzia ad Allerton infatti, un quartiere non molto distante da Penny Lane, è nel complesso un periodo che viene rievocato con affetto, nonostante i momenti cupi e i presumibili disagi del dopoguerra:
In Penny Lane there is a barber showing photographs
of every head he’s had the pleasure to know,
and all the people that come and go
stop and say “Hello”.
On the corner there’s a banker with a motorcar,
the little children laugh at him be’ind his back,
and the banker never wears a mac
in the pouring rain — very strange.
Penny Lane is in my ears and in my eyes,
there beneath the blue suburban skies I sit
and meanwhile back…
In Penny Lane there is a fireman with an hourglass
and in his pocket is a portrait of the Queen,
he likes to keep his fire engine clean,
it’s a clean machine.
Penny Lane is in my ears and in my eyes,
a four of fish and finger pies in summer
meanwhile back…
Be’ind the shelter in the middle of the roundabout
the pretty nurse is selling poppies from a tray,
and though she feels as if she’s in a play,
she is anyway.
In Penny Lane the barber shaves another customer,
we see the banker sitting waiting for a trim,
and then the fireman rushes in
from the pouring rain — very strange. [98]
La Penny Lane qui tanto decantata da McCartney non è in realtà una strada precisa, quanto una sorta di microcosmo[99], ovvero quella parte di mondo (il vicino quartiere di Wavertree) in cui erano cresciuti i Fab Four, consapevolmente scelta quale simbolo di radiosa innocenza infantile; in particolare i lunghi tragitti effettuati sugli autobus a due piani erano stati una parte integrante della sua giovinezza, veri e propri momenti di introspezione quasi obbligatoria nei quali assumeva il ruolo dell’osservatore distaccato che contempla luoghi e avvenimenti da una visuale particolarmente alta; e qualunque fosse la sua destinazione, la scuola o la casa di un amico, inevitabilmente l’autobus lo avrebbe portato prima in Penny Lane.
Con pochi tocchi l’autore crea un acquerello di Liverpool che avrebbe potuto essere tratto da un libro illustrato per bambini, e destinato a modellare, secondo il poeta Roger McGough[100], una vera e propria “mitologia” della città portuale inglese (la toponomastica di Liverpool è in ogni caso particolarmente presente nella Mersey Poetry).
E la mitologizzazione di un luogo non può prescindere dalla composizione di un pantheon di personaggi che lo popolano, siano essi immaginari o realmente recuperati dalla memoria dell’autore: ad ognuno di loro McCartney dedica una sola e breve strofa che riesce tuttavia a tratteggiarne l’intera personalità: i soggetti sono infatti abbozzati “in modo così preciso da prendere istantaneamente vita davanti ai nostri occhi […] eppure sono archetipi che evocano tutta una realtà sociale”[101].
McCartney rende omaggio alla gente di questo quartiere pur sorridendo di tanto in tanto dei loro comportamenti (very strange): si va da un barbiere orgoglioso nell’esporre le foto (showing photographs) dei suoi clienti come fossero le proprie opere d’arte, ad un eccentrico impiegato di banca, troppo preoccupato delle apparenze per indossare un impermeabile (the bunker never wears a mac), persino durante un acquazzone (in the pouring rain), e per questo schernito dai ragazzini che lo vedono passare (the little children laugh at him be’ind his back); la terza strofa prende poi in considerazione un vigile del fuoco, le cui devozioni patriottiche (in his pocket is a portrait of the Queen) e manie per la puntualità (with an hourglass) e la pulizia (he likes to keep his fire engine clean) alludono ad un aspetto fondamentale dell’identità inglese durante gli anni del declino imperiale; e poco prima di passare all’ultima strofa che, come già in Eleanor Rigby, riunisce assieme i personaggi appena citati, si scorge appena dietro la pensilina situata al centro della rotonda una graziosa crocerossina vendere papaveri (selling poppies from a tray) per beneficenza, e quindi con uno scopo concreto, nonostante abbia il sospetto di vivere una realtà fittizia (she feels as if she’s in a play).
Penny Lane è soltanto apparentemente una semplicistica descrizione, in realtà è “al tempo stesso ingenua e furba”[102], caleidoscopica nella misura in cui riesce a far coesistere “dimensioni e stati d’animo opposti, spesso antitetici”[103]: illuminato dai lampi di ricordo (meanwhile back) di una giovinezza tanto ingenua quanto consapevole, il suo testo oscilla tra una dimensione reale (quella delle mansioni e dei luoghi citati[104]) ed una dimensione onirica-surreale (il mondo e i singolari personaggi che lo popolano, così come possono essere percepiti attraverso gli occhi di un bambino), il che dunque giustifica la compresenza di situazioni atmosferiche discordanti (in the pouring rain — beneath the blue suburban skies) e stagioni diverse quali l’estate (in summer) e il tardo autunno (la crocerossina vende papaveri secondo un’usanza britannica che si ripete ogni anno l’11 Novembre, in occasione della commemorazione dei caduti nella prima guerra mondiale); allo stesso modo affiorano nei ritornelli due distinte disposizioni della voce narrante, una votata alla malinconica contemplazione di quel mondo ormai lontano (is in my ears and in my eyes, there…), l’altra maliziosa ed impertinente legata al doppio senso sessuale di fish and finger pie, una battuta volgare del dialetto locale che allude al sesso femminile[105].
Coesione, armonia e riavvicinamento trovano concrete possibilità di realizzazione nella dimensione del ricordo nostalgico, del sogno, nel desiderio di fusione con il mondo naturale, nel recupero di quei valori di cui la madre era stata depositaria; ma nella vita reale non sempre è possibile riavvicinare i poli opposti.
Nelle ultime liriche di McCartney scritte per i Beatles non sono pochi i richiami metaforici alla situazione della band e alla sua inevitabile quanto imminente implosione; dietro gli ultimi testi c’è spesso un uomo ferito ed inquieto che cerca con tutte le forze di tenere in vita il gruppo e di risanare un rapporto, quello con Lennon, a quel punto ormai irrimediabilmente deteriorato.
L’ambiguità di Two of us [106] deriva dall’ammissione del suo autore, che ha sempre identificato la moglie Linda nel secondo dei protagonisti della storia[107]; con ogni probabilità McCartney, la cui esistenza veniva di giorno in giorno sempre più costretta entro i limiti imposti dai programmi e dagli obblighi contrattuali, provava reale piacere nel ritrovarsi in compagnia di una donna capace di farlo rilassare, che lo portava fuori città in auto senza avere alcuna destinazione (riding nowhere), permettendogli di essere un uomo qualunque e non un Beatle:
Two of us riding nowhere…
[…] you and me Sunday driving,
not arriving on our way back home. [108]
Eppure il tono generale della canzone evoca più un’amicizia fraterna e di lunga data che non una storia d’amore; in particolare i ricordi e le immagini istantanee contenuti in alcuni versi
You and me burning matches,
lifting latches, on our way back home. [109]
riportano alla mente due ragazzi che marinano la scuola per andarsi a divertire, cosa che Lennon e McCartney avevano fatto spesso e assieme da adolescenti, oppure i versi
Spending someone’s hard earned pay.
[…] You and me chasing paper,
getting nowhere, on our way back home. [110]
che si riferiscono al loro iniziale e comune entusiasmo per i Beatles in quanto entità creativa/commerciale (quando realizzarono entrambi che lo scrivere canzoni li avrebbe fatti diventare ricchi con i soldi di altra gente), soppiantato più tardi dalla deludente esperienza della Apple, a causa della quale si erano tristemente trovati sommersi da un mare di burocrazia, di “scartoffie” che non avrebbero portato da nessuna parte (chasing paper, getting nowhere); e infine l’accorato appello dell’autore
You and I have memories
longer than the road that stretches out ahead. [111]
rivolto inconsciamente al proprio compagno, a non spezzare una relazione così lunga e significativa e a non interrompere il magico e misterioso viaggio percorso assieme con il progetto Beatles (our way back home – la nostra strada di casa).
Come suggerito da MacDonald, la band costituiva per McCartney “un mondo di fantasia nel quale sarebbe rimasto per sempre giovane”[112]: chiaramente dei quattro fu quello che più soffrì dell’inquinante intrusione, in quel mondo incontaminato, dei litigi per cause di denaro e delle aspre beghe legali condizionate dal tentativo compiuto dall’aggressivo Allen Klein[110] di sanare la disastrosa situazione finanziaria della Apple.
Le stesse battute d’apertura di You never give me your money [114] erano una chiara allusione alle questioni finanziarie e alle tensioni di un periodo in cui tutto quello che sembravano ottenere invece dei soldi era un sacco di funny paper, ridicoli cartamenti:
You never give me your money
you only give me your funny paper
and in the middle of negotiations you break down. [115]
La lirica però non si limita a fotografare il gruppo nel suo momento più critico, ma sembra addirittura presagire il crepuscolo dei Beatles e, con loro, di una intera epoca: il sogno degli ingenui e idealistici swinging sixties sembra volgere a termine, fuggire via:
One sweet dream,
pick up the bags and get in the limousine.
Soon we’ll be away from here,
step on the gas and wipe that tear away.
One sweet dream came true today. [116]
Ma se qui l’eterno e tenace Peter Pan che è nell’autore non vuole ancora ammettere che “il sogno è finito”[117] (one sweet dream came true today), nelle ultime pagine dell’avventura beatlesiana sembra definitivamente arrendersi all’evidenza dei fatti: nella realtà una conciliazione degli opposti non è più realizzabile; diversamente che in passato, è ora obbligato ad accettare il fatto che nella vita reale non sempre le cose si mettono per il meglio.
A questa consapevolezza rispondono pur intrecciandosi due diversi stati d’animo: in primo luogo un fondato timore di doversi in futuro continuamente relazionare con l’ingombrante eredità del fenomeno Beatles[118]:
Boy, you’re gonna carry that weight,
carry that weight a long time. [119]
In secondo luogo la percezione di dover ribadire e sintetizzare, in uno shakespeariano couplet di fine atto, l’essenza del rapporto instaurato lungo il decennio con il proprio pubblico:
And in the end the love you take
is equal to the love you make. [120]
fine seconda parte