Una parte importante nel rinnovamento della cultura e della letteratura austriache della seconda metà del novecento è legata alla rivista Manuskripte di Graz e all’opera infaticabile di Alfred Kolleritsch , direttore della rivista ma anche romanziere e poeta, a torto forse ancora conosciuto in Italia solo da un pubblico ristretto. Kolleritisch, che è nato nel 1931 a Brunnsee in Stiria, è stato uno dei protagonisti dell’avanguardia artistica austriaca, in particolare con il suo primo romanzo, tradotto anche in Italia, Die Pfirsichtoter. Sesimographischer Roman. (Gli ammazzapeschi. Romanzo sismografico. Marsilio, 1995), satira pungente contro l’immobilismo di una società ancora quasi feudale come quella austriaca degli anni sessanta, ma sulle pagine di Manuskripte si è anche rivelata una generazione di scrittori come Peter Handke, Barbara Frischmuth, Wolfang Bauer e la stessa Elfriede Jelinek, di cui molti ricorderanno la trasposizione cinematografica de La pianista. Recentissima, infine, la pubblicazione da parte di Anterem dell’ultima raccolta di liriche La somma dei giorni (Die Somme des Tages), tradotta splendidamente da Riccarda Novello, e presentata a Milano nei giorni scorsi. Di passaggio a Trieste prima di raggiungere Milano abbiamo potuto incontrare lo scrittore austriaco, e fargli qualche domanda innanzitutto su Manuskripte, una rivista, fra l’altro, che nel 2000 ha raggiunto i quarant’anni di vita.
Roberto Dedenaro (RD): Com’è nata Muniskripte quali erano i suoi obiettivi, all’inizio?
Alfred Kolleritsch (AK): Nel 1960, a Graz, si era progettata la ristrutturazione di un caffè nel parco cittadino, si creò allora un movimento di artisti per salvare quel caffè. Si riprodussero delle poesie, in quell’occasione e si distribuirono e così il primo quaderno di quella che sarà la futura rivista, che è nato come un’emanazione del Forum del parco cittadino, oggi non è più così. Sin dall’inizio ci fu una grossa attenzione per quello che facevamo, qualcuno parlò del miracolo di Graz, non c’era, infatti, nessuna tradizione letteraria a Graz che accogliesse l’avanguardia e noi volevamo crearne una fondamentalmente, senza intenzioni né politiche, né ideologiche, ma contro la tradizione della letteratura dell’Heimat. C’erano autori non solo di Graz, ma anche viennesi e tedeschi, le case editrici hanno cominciato a prestare molta attenzione a quello che si scriveva su Manuskripte. Voglio ricordare anche autori italiani come Gianni Celati e Giorgio Agamben, che vollero farsi pubblicare. Le nostre intenzioni erano di far incontrare gli autori fra di loro e creare dei punti di confronto, furono organizzati degli importanti convegni internazionali, a cui partecipò, fra gli altri Susan Sontag.
RD: Più tardi, nel corso degli anni lei ha abbandonato gli accenti più sperimentali per una scrittura più tradizionale, per quale motivo?
AK: All’inizio la poesia sperimentale è una provocazione, in un secondo momento capimmo, non solo io, che non era più necessario provocare, la reazione era stata ottenuta. Comunque ripensando a certi autori, come Handke, Jelinek e Peter Turrini ad esempio, possiamo notare come la provocazione sia una necessità che si pone di continuo.
RD: Qual è allora, il rapporto fra poesia e realtà, quali i riferimenti della sua poesia?
AK: La mia poesia la definirei ispirata da un’apertura al molteplice e dalla volontà di comprendere gli altri, una poesia più interiore che fa propria una riflessione presocratica: amo molto Eraclito, poi c’è anche Heidegger. Attualmente, direi, è importante che la realtà non distrugga la letteratura, c’è bisogno non necessariamente di cambiare ma di scegliere una ricezione diversa delle identità, spiegare la realtà, leggere fra le tracce, una concezione più flessibile della realtà e della letteratura. Nella mia poesia la cosa più importante è il ritmo, la mia è una poesia fenomenologica; la poesia tutta è d’altronde un modo di percepire la realtà, che ha un’esistenza autonoma.
RD: E per ultimo, quali sono i nuovi autori?
AK: Così sul momento, farei i nomi di Peter Waterhause, Marcel Bayer, Michael Donhauser, ma le cose sono in rapida evoluzione.