Lino Miccichè è stato, è e sarà la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Questo perentorio assioma non sembri troppo condizionato dall’unanime cordoglio della cultura cinematografica alla morte dell’illustre critico avvenuta a Roma il 30 giugno, mentre la cittadina marchigiana stava celebrando la quarantesima edizione. Destino crudele dunque quello che ha impedito a Miccichè, che nel 1965 assieme a Bruno Torri l’aveva inventata e fondata, di festeggiare quella ricorrenza assieme a coloro che nel corso degli anni l’avevano diretta. E quella tavola rotonda che domenica 27 giugno aveva radunato a Pesaro i protagonisti (critici ed autori) di un segmento di storia cinematografica si è resa partecipe della commozione e del dolore per un’assenza che si sapeva, purtroppo, essere definitiva.

Lino Miccichè nasce a Caltanissetta il 31 luglio del 1934 e, poco più che ventenne, viene nominato responsabile nazionale dei Centri Universitari Cinematografici. Tra la fine degli anni ’50 e la metà del decennio successivo gira diversi documentari e cortometraggi a soggetto d’impronta neorealista e, assieme a Lino Del Frà e Cecilia Mangini, il documentario storico sulla genesi, sul consolidamento e sulla caduta del regime fascista intitolato “All’armi siam fascisti” (1962). Curiosamente l’abbandono dell’uso della macchina da presa coincide con il grande sogno di veder germogliare in Italia una rassegna cinematografica in grado di testimoniare e far conoscere i fermenti più innovativi dell’epoca. Ecco allora il menù di quella prima edizione del 1965 dedicata alla Nuova Scuola Cecoslovacca e ad un convegno sulla Critica e il Nuovo Cinema a cui farà seguito, nei due anni seguenti, l’attenzione al Nuovo Cinema Tedesco e al New American Cinema. La contestazione studentesca del 1968, che pochi giorni prima aveva colpito il Festival di Cannes, si manifesta anche a Pesaro, creando momenti di tensione, qualche carica di polizia e alcuni arresti, tra cui quello del regista Valentino Orsini. Ma, alla fine, tutto si risolve per il meglio. La “giovane” Pesaro supera lo shock rapidamente, mentre l’“anziana” Venezia tarda a riperdersi. Superato, per così dire, quel battesimo del fuoco e di lacrimogeni, Pesaro ha coerentemente percorso la strada dell’impegno e della ricerca, facendo spesso conoscere autori e cinematografie che, successivamente, avrebbero sfondato la barriera della censura del mercato. E di tutto questo bisogna dar merito a Lino Miccichè che con grande perspicacia critica ha saputo intercettare, mostrare e valorizzare quanto di nuovo si stava facendo nel mondo. Ma il suo impegno si è propagato anche in altre direzioni come l’insegnamento universitario che lo portò nel lontano 1973 alla facoltà di Lettere e Filosofia di Trieste presieduta da Giuseppe Petronio. E seppur il suo soggiorno giuliano durò solo un anno e mezzo, la sua forte personalità contagiò una pattuglia di neofiti, tra cui l’estensore di queste note, a guardare il cinema con occhi diversi.
Complice anche questa fortunata conoscenza e la sua forte attitudine ad incoraggiare le vocazioni, Pesaro è diventata per me fin da allora un appuntamento abbastanza frequentato e foriero di tante scoperte. Con Miccichè gli incontri si sono succeduti negli anni. L’ho ritrovato ai congressi del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, di cui per lungo tempo è stato presidente, e al Festival di Venezia. Ma Pesaro restava indubbiamente la sua “creatura” prediletta anche successivamente alla sua abdicazione dalla direzione avvenuta nel 1989. In seguito il suo nome compare come presidente e poi nel ristretto novero del comitato scientifico, ma la sua impronta è quella che si incide più profondamente. Già debilitato nel fisico dalla malattia, Miccichè negli anni del nuovo secolo compariva nella città marchigiana sul finire della manifestazione a presiedere l’Evento speciale dedicato al cinema italiano. Nelle lucide analisi che distillava a commento di autori come Monicelli, Scola ed Olmi si leggeva in controluce la nostalgia per quel cinema, ormai lontano, che tante speranze aveva suscitato in tanti critici della sua generazione e che Miccichè aveva puntualmente registrato pubblicando nel 1972 “Il nuovo cinema degli anni ‘60”.
In occasione di quell’incontro del 2003 con Olmi ho visto e salutato per l’ultima volta quel generoso signore che, trent’anni prima, aveva mostrato un po’ di benevolenza per una certa passione che nutrivo per un film di Antonio Pietrangeli “Io la conoscevo bene”.

La storia umana di Lino Miccichè si è conclusa in un letto d’ospedale del Fatebenefratelli di Roma, ma il lascito di scritti, di iniziative e di idee è talmente vasto e significativo da poter coprire il prossimo decennio di Pesaro. Ancorandosi ad un pensiero utopico verrebbe voglia di coltivare un sogno. Come per Jonas che avrà vent’anni nel 2000, Lino avrà, per chi riuscirà a tenerne viva la memoria, ottant’anni nel 2014.