Immagine articolo Fucine MuteChristian Sinicco (CS): Fucine Mute intervista Gianmaria Giannetti, poeta, pittore e scultore. Ha pubblicato per le edizioni “Il Filo”, con prefazione di Pinketts, la raccolta Escatologia (di una piuma). Cosa a che fare l’escatologia con la “piuma che ondeggia e affonda” nel mistero dell’uomo?

Gianmaria Giannetti (GG): Tu mi stai chiedendo il perché del titolo della raccolta. Mi è sempre interessata la religione: l’escatologia è una branca della teologia che studia il destino dell’uomo dopo la morte. La poesia secondo me deve indagare le possibilità dell’uomo di fronte al proprio mistero. Ho cercato di riflettere su questo mistero creando un concetto nuovo, ed “Escatologia (di una piuma)” si propone di indagare partendo da questo concetto e da questa nuova possibilità di indagine: siccome non sappiamo cosa accadrà dopo, non sappiamo nemmeno cosa può accadere ad una piuma dopo il suo presunto oscillare nella realtà. Noi potremmo essere la piuma o anche l’aria che circonda la piuma. Oltre la socialità delle cose, oltre ciò che sento e ascolto, nel mistero di ciò sento e ascolto, si situa questo tentativo di indagine. L’obiettivo è creare della probabilità di cognizione delle cause, anche se probabilmente le cause in poesia non ci sono, poiché bisogna solamente decodificare una parola, un linguaggio.

CS: Nella tua poesia c’è un uso intenzionale della ripetizione. Qual è il senso di questo utilizzo? È possibile si tratti di un modo di procedere sonoro per poi spedire veri e propri “spot” o messaggi, spesso sociali?

GG: La ripetizione è costruita per rendere l’oralità del verso. La maggior parte di questi versi li ho scritti molti anni fa e le ripetizioni non erano altro che parte dell’eco della contemporaneità. E c’era proprio un’altra persona (e non solamente l’alter ego di ognuno di noi) che ripeteva ciò che dicevo per sottolinearne la banalità. Così, all’interno di questa banalità del quotidiano, la banalità stessa si approfondiva specie quando usavo gli “stacchi pubblicitari”, o gli “spot sociali”, ma bisogna comprendere il significato di socialità. Quando dico “posizionati lì vicino a tua sorella che ti scatto una bella foto in bianco e nero” più che uno spot sociale e un flash di ricordo dentro di me. Sono quelle cose che ho usato talmente tanto e che sono diventate parte della mia poesia. Un altro aspetto per l’utilizzo di questi “spot” è nel fatto che la realtà irrompe. Ad esempio nella poesia “Vomito d’io”, la situazione era la seguente: una sera avevo bevuto tre bicchieri di cuba libre e fumato qualche sigaretta; non avevo bevuto tanto, ma ritornato a casa ho cominciato a stare male. Mentre ero in quella condizione tentavo anche di dimenticare il fatto della morte di mia madre. Vomitai tutta la notte e al mattino mia sorella mi disse “perché non vai a comprare il balsamo?”, ed è questa la cosa tragica: la condizione in cui viviamo la nostra esistenza viene interrotta quasi sempre; il pensiero elaborato nel tempo viene interrotto, nel presente, dalla banalità del quotidiano. Oppure altre volte lo “spot” è un po’ come il concetto di Gino de Dominicis sull’immortalità: forse credendo a delle cose impossibili, queste hanno la possibilità di accadere. Ad esempio, quando dico “Alla mia morte vorrei non esserci”. O quando scrivo del “balsamo al mandarino” che credo non sia mai stato creato; o quando vado a prendere il “supersapone” da Pons… Pons è un negozio di profumi di Savona, ma il supersapone non credo che esista.

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CS: Nella poesia “Cactacee” cosa significa “sprofondando siamo il falso, fondali, dati”?

GG: “Cactacee” l’ho scritta perché il cactus ha circa milleottocento sfumature e vive per la maggior parte del suo tempo in una condizione limite, come il poeta, cioè nel deserto della comunicazione. “Sprofondando siamo il falso” vuol dire “morendo giorno per giorno, per arrivare ad un dialogo con gli altri, dobbiamo falsificarci di continuo nel tentativo di comunicare”. Questo è perché la comunicazione della poesia è difficile, ed è difficile incontrare una persona e parlare di poesia, se non gli addetti ai lavori. È un po’ quello che diceva Novalis, cioè siamo segni senza significato: nel momento in cui noi ci corrompiamo e diventiamo attori della realtà ci trasformiamo in dati, in coordinate quasi matematiche. Così abbiamo una dimensione nello spazio, ci muoviamo, ma dobbiamo essere falsi, corromperci alla banalità del quotidiano.

CS: Ginsberg, Sanguineti, Zanzotto, Ungaretti, Pound… Chi di questi autori ti ha influenzato e per quale aspetto della tua scrittura?

GG: Ti influenza qualsiasi cosa. Sicuramente Pound dei “Cantos”: mi piaceva leggerlo con un mio amico, Benedetto Vicini, a dei reading. Una notte leggendo tutti i “Cantos” siamo riusciti ad entrare nel mondo di questo autore. Oppure Zanzotto: lo leggo in continuazione perché è un territorio da analizzare. Sanguineti l’ho letto quand’ero più piccolo, ma ora non lo leggo più perché credo che il suo messaggio si ripeta. Ungaretti l’han letto tutti.