Anomiche e poesie del limbo
I
I nomi dei morti persistono sul quotidiano.
Io batto le mani intirizzite sul vetro
di un bus che si ostina nel groviglio
di queste vie
dove non sono segni che
siringhe usate infilzate nel selciato
l’insulto della pioggia
il gelo che sfrega le ossa
a comprova di esistenza.
II
Pellegrino del mondo
Nella pelle screziata dai ghiacci
dal fondo del cuore corroso
dal caos flebilmente ti vedo.
Di te non so nulla del tuo stesso
tepore ignaro: sempre combatto
avanzo sempre piangendo nel sonno
perché non so amarti.
Tu mi ami, non
chiedi.
III
Stato d’anomia
L’ora del sigaro, il tran tran, gli studi,
gli umilianti feticci di chi sa che annaspiamo
in un viaggio senza binari.
Fermarsi a capire un’onda di fumo
salverebbe dal deserto
delle cave case.
Ma già si dissolve la scia
sfuggono gli anni
non trovo i maestri, né l’oblio
ebbro di bandiere scarlatte.
IX
Anomia balcanica
Non da storico ma da poeta
ti parlo.
In quel rosso tempo lontano eravamo
compagni di fronte a quel nulla.
Ti sparavano
se dicevi qualcosa.
Ma eravamo tutti fratelli nel
temere un indifferente nemico.
Ora puoi pure imprecare — solo
al forte vento.
XI
Paesaggio
Il palazzo è alto, grigio, di cemento.
Ci sono case, a decine, insegne
non vedo. Intorno altri palazzi e strade.
Rumori d’auto rimbombano.
Da qualche parte ragazze e ragazzi camminano.
Dietro le porte chiuse qualcuno
va, torna, riposa.
Su questo selciato una ragazza
è caduta, una volta, dall’alto.
Alcuni litigano in un corridoio.
Voci di saluti nei muri si perdono.
Il baratro
XXI
Il verme
Ho visto un verme informe
senza capo né coda, spezzato
in due imbrattare secche
zolle con vischiosi umori.
Vi ho visto il carnefice, martire
sommo, avventarsi sulla preda
e l’altare divino che gli erigono
i nostri cuori di assassini.
L’uomo e il nostro mondo che non tiene
l’apparente norma i bui universi
che crediamo chiaroscuri.
XXIV
Il superstite (I)
Fu in sogno a trascinarmi l’abisso
al fondo.
Nell’aria bianca di morte andavo
in bicicletta bambino un giorno;
il sole d’improvviso s’eclissò.
Un raggio si ruppe nella ruota
tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic
tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic tic-tic…
E l’oscena ruota informe rimaciulla
le mie membra pur sempre ricomposte
– in percepiti eterni istanti.
… … … … … … …
… … … … … … …
Fu la pace del sonno a salvarmi
il risveglio delle brezze all’aurora.
XXX
Più di me sei vero, se nudo ti mostri
alla bambina che per dolciumi e moine
carezza il tuo fallo: sputa sulla viltà
mia che trascendo i fisici piani e risceso
mento d’ira a mia madre, bestia
ipocrita scrivo poesia tra sordi ignavo mento
civilmente, una vita di compromesso farsesco.
XXXVII
Pure nel mondo scorre il veleno
che mi snerva.
L’immondo abisso,
anche se orribilmente diverso
sembiante ci inganna,
è il comune.
Dolce è la bruma delle colline
immense le acque
ma per superare l’informe
dovremo scavare.
Distanze e miraggi
XLI
Non so cos’è rimasto di me
nella tua lontana Milano;
di te ben poco:
dieci lettere e la parvenza bruna
del tuo sguardo quando a messa
ti tolsi il fermacapelli,
in quell’unico giorno
che il destino ci offrì.
Quanto basta all’amarezza
della mia donna oggi;
lei non sa quel che cerco
il suo sguardo non ha quel segreto bagliore lei
che tanto l’ho avuta.
E anche tu chimera non sei
che il riflesso
di un tutto.
XLII
Poiché sappiamo l’inganno
non inseguiamo l’arcobaleno
dietro a un colle.
In un giorno fuori dai dettami dell’uomo
si avvera il mio sogno:
nel verde dei campi nuda
l’adolescente è distesa sull’erba
e all’incerto sguardo di carne e luce
piango.
E vorrei carezzarla come s’assapora
un frutto;
ma basterebbe allungare una mano
per farla svanire.
LI
Tremavo al vederti, finché
la parola venne
il resto seguì.
Tu non m’ami né io
se non me amai negandomi
sempre. In tanta menzogna
non i nostri sputi, ma
i tuoi occhi infiniti
che ignara trascini come vetri
mi consumano il cuore.
LXI
Concetti, parole. Quanto ancora schiavi saremo
delle nostre parole? E dei disegni
i sublimi progetti i castelli di sabbia
di tutta la nostra sapienza.
La luce alta splende
ovunque, e nelle orme dei passi.
Non la guardiamo, non vogliamo
guardarla.
E qualcuno ne parla, ne spiega il perché.
LXII
Avrei voluto amarti, eri bella.
Ma nella penombra della notte stellata
pure gli occhi chiusi
e le orecchie serrai
per non sentire parola.
Poiché nulla tu sei di quello che cerco.
Avrei voluto amarti, credimi
ma esausto delle mie troppe illusioni
quella notte finsi con te,
amai una dea.
I sentieri della terra
LXXXI
Passeranno i miei giorni
tramonterà il mio dolore
profumerai ancora
querceto sulla collina.
XCV
Informe m’investe l’orrore nella sterpaglia:
ma affiggo lo sguardo al ramo di un pruno, lo fendo;
la spada disegna un arco perfetto
che raffredda la mente.
Di ramo in ramo
assorto nella mia danza
si apre un sentiero sorrido
a ciò che è solo fantasma.
XCVII
La madre
Stretto dalla sua morte cade
nell’abbraccio del boia l’assassino
in ginocchio piangendo l’amaro
sorriso, che giungeva una madre
senza padre né figli: morti
in battaglia. “Non so
che sia giusto, ma se
il sangue può sciogliere il gelo no,
non siamo perduti”: cantando rideva.
E risero entrambi, perché il boia
s’era scordato il pugnale.
XCVIII
Nella donna è dio che saltella
l’Assoluto gioca dona all’uomo la ricchezza
di carne e terra cosce rosee
gambe bianche come steli.
Va la mia donna senza veli
tra pianti risa e gioia
tra la gente che muore rinasce
uccide cantando.
Va la mia donna per vasti cimiteri
la morte sogghignando nel bacio dei fiori
riposa all’ombra dove eterna scorre
l’acqua nei ruscelli
nel pube assorto si dilata
il silenzio dei templi dove l’uomo invoca canta
l’eterno che diviene nuova luce sempre
splende rinascendo.
XCIX
Oh digiunatori penitenti d’astinenza
lussuriosi: alle vostre prediche
rido. Oggi con la mia spocchia e tutte
le ombre a te donna mi do: sia tu
il giudice d’amore. Donna, con te
si schiude il cosmo.
CIV
Verità di Bellezza
Non amo i preti e le chiese;
la mia donna è la vita miei figli
le nubi, e mentre
mi perdo e ritrovo in sublimi
distese
sola mi basta
quella serena certezza
sottile
che è tutto.
CXVII
Anch’io mi sbagliai; fui nero
più della notte. E se nelle mani
ho il nostro sangue e se mio carnefice
oggi ti amo…
noi siamo fratelli il medesimo
tutto
nella luce del sole.
CXXII
Nell’aria tiepida estiva che lo sguardo
è nel sole e tutto si era fermato
mi fulminò l’Idea.
E’.
Azione Somma Una compirsi
senza tempo
tutti i tempi comprende
senza luogo
in Essa ogni luogo possibile.
E’.
… … … … … … … … …
… … … … … … … … …
Svenni. E rinato
so che non io ma la menzogna che accolsi
brutalmente morì. E liberati
dai veli gli occhi contemplano
pure nel sasso il Sommo disegno.
La perfezione è ovunque.
Ressurrezione
CXXV
La tua carne è Dio, acceca
Luce dai tuoi seni.
Ci amiamo qui
è l’universo in questo
Coito.
CXXIX
Lode alle stelle
Che il tuo cuore ami anzitutto
il corpo le mani ed i piedi
i tuoi occhi chi ti circonda
la penna può amare tutto
il pianeta se sei solo sul dorso
di una collina ben ancorato
alla Terra: e prima sii in pace in te
stesso. Ama pure le stelle se cerchi
la via in mezzo al deserto, e
ama anche i briganti se il loro cuore
ti offre un bicchiere di vino ma
siano ancorate nel deserto alla sabbia
le suole e vigili gli occhi e le mani
nel covo. A che ti servono i piedi
se ti risucchia ancor vivo dell’oasi
il fango, e i piedi e le mani sul falò
dei briganti? Comunque ama e sii
saggio; altrimenti i granchietti più
gracili si sfameranno dei piedi
e intero brucerai nella selva in fiamme
se t’allontani dal corso del fiume.
CXXXVI
Anno 2000
In un’ora ordinaria o grigia più del
passo o dell’inganno delle faccende
che la schiena non regge l’aria più che
dal peso schiacciata, che il piede
non crede alla terra di questa
città; t’accendo.
Questo fumo è Buono: o Luce
d’infinita risposta
Assoluta, la morte questa
mia nostra crisi è
il tuo dono.
CXXXVII
Non in futuro risorgerai: già
ora risorgi ogni istante che passa.
È così semplice se t’avvedi
che la vita è
indistruttibile che
la morte è un’illusione
percettiva così
semplice.
CXXXVIII
Scrivo versi e amo stare in pace
con tutti; non pensiate che sia
un ignavo, non lo sono se
scrivo versi; amo l’Uomo, anche
se (oggi) non mi va
d’essere un martire, amo
la Verità amo
Dio amo.
Non crediate dai miei versi
di capire chi sono. Lo capirete
se in fondo
capirete
voi stessi. I versi non sono
che versi: non siamo
i nostri linguaggi sebbene usiamo
linguaggi. Non affannatevi a capire
chi sono guardandomi o leggendomi: così facendo
dalla vostra menzogna approdate
alla mia: serve passare
da una sponda all’altra del fiume ma
non siamo le sponde siamo
l’Acqua del fiume. Una
donna fondendosi i nostri
oceani in uno, comprende
chi sono.