Corrado Premuda (CP): Incontriamo Maurizio Bonora a Trieste per esporre allo “Studio Tommaseo” una serie di disegni e di piccole sculture che s’ispirano all’immagine delle sirene, infatti, il titolo della mostra è “L’occhio della sirena”. L’ispirazione per queste immagini le è venuta leggendo il romanzo Il marinaio di lungo corso di Bobi Bazlen da cui prende il nome la nuova iniziativa “Bobi Bazlen Lab”. Che cosa l’ha colpita principalmente di questo romanzo che ha letto?
Maurizio Bonora (MB): Ho letto il romanzo e mi sono diretto abbastanza rapidamente, quale scelta per il progetto figurativo, all’episodio delle sirene. Quindi non è un’illustrazione del libro, ma è un vero e proprio progetto che nasce dal libro, perché mi sembrava ingiusto illustrare Bazlen. Lui non l’avrebbe voluto, quindi ho pensato proprio ad un viaggio con le immagini in un mondo che è quello suggerito da Bazlen, che è il “femminile” in senso lato. Quindi, se lui descrive dei caratteri, io invece costruisco questo percorso attraverso delle immagini che non sono, appunto, l’illustrazione, ma che sono la visitazione del mito. Possiamo incontrare lungo questo percorso momenti diversi, “archetipi femminili” diversi, che sono la casa, la caverna, il tempio, la madre. E ho voluto, con questo, costruire un percorso che non sia cronaca, ma che si leghi ad una visione concettualmente più ampia dove il viaggio, inteso come passaggio da un mondo conosciuto — che può essere il quotidiano — verso qualcosa di sconosciuto. E quindi cosa troviamo in questo percorso? Troviamo il mondo di mezzo, che sta tra queste due situazioni, l’una possiamo definirla realtà, e l’altra è il mondo sconosciuto, che in quanto tale rimane sempre sconosciuto. Ed è forse per questo che continuiamo ad essere attratti dal percorso del viaggio: perché nonostante si riesca a percorrere tante strade e tanti mari, o tanti cieli, abbiamo sempre in una zona della mente un qualche cosa che rimane sconosciuto. Ecco che si ripresenta nei secoli il problema del viaggio, il problema dell’avventura e dei suoi rischi, le sorprese. Ho tentato figurativamente di ripercorrere queste situazioni, lasciando a volte anche alle mie immagini qualche cosa — se vogliamo — di indefinito, di paradossale, per consentire al visitatore di compiere un suo viaggio. Non descrivere tutto, non definire tutto, ma fare in modo che ci sia un piacere nel percorso, dove ciascuno può scoprire qualcosa.
CP: Nelle opere di questa mostra c’è molto simbolismo: dal mito si arriva quasi al santo, al genere mistico. Queste figure femminili che si trasformano di volta in volta in trono, in casa, in tendone da circo, in caverna, nascondono da una forte carica simbolica.
MB: Indubbiamente ciò è presente, proprio pensando anche al rapporto che la letteratura di Bazlen ha avuto con una cultura cinematografica, che nel suo periodo stava diffondendosi con grande concorrenza alla letteratura. E non è un accostamento che dobbiamo fare, ma indubbiamente, culturalmente, abbiamo vissuto quell’immaginario felliniano rispetto alla figura della donna. Ecco che allora tante cose possono sostanzialmente ritornare perché la nostra generazione ha fatto tesoro anche dell’esperienza cinematografica, che Bazlen con molto intento e con molta “ansia d’interpretazione” ha visto in questo mondo che si affacciava così importante nella comunicazione.
CP: Questa non è la prima volta che lei si occupa di illustrazioni ispirate in qualche modo alla letteratura, perché ha fatto anche qualcosa su Leopardi, sulle Operette Morali.
MB: Sì, Leopardi è un autore che apre la modernità, e nonostante ci separino da lui un paio di secoli, forse rimane il più moderno, in quanto ha avuto questo coraggio di indagare fino in fondo nell’animo umano e di restituire questa visione disincantata non conciliante, con tutto l’orgoglio intellettuale di rimanere in piedi di fronte alle difficoltà anche più dure dell’uomo, che possono apparire solo dopo un’indagine precisa e rigorosa. Senza ricerche di consolazione, ma avendo la capacità di gettare lo sguardo fino in fondo sulla realtà. Naturalmente la visione del poeta è anche quella poi di saper continuamente accettare la sfida della realtà e di “metabolizzarla” in qualche modo attraverso la fantasia. E forse è proprio il mondo di mezzo, che potrebbe essere l’area dell’arte, l’area della cultura, che di fronte al dato crudo, al dato faticoso, ci si ritaglia uno spazio di “ri-invenzione”, forse anche per poter mediare le situazioni difficili e aprire un po’ alla fantasia, un po’ al sogno e anche un po’ alla speranza.
CP: Quali sono state le illustrazioni che aveva fatto ispirandosi a Leopardi?
MB: Ho trattato tre operette: Il Copernico, I dialoghi di Torquato Tasso col suo genio familiare, e Il dialogo tra la Moda e la Morte. Tre situazioni che ci parlano della contemporaneità: la Moda e la Morte fanno a gara per cancellare più rapidamente possibile le cose della vita, come tuttora sta avvenendo. E per quanto riguarda I dialoghi di Torquato Tasso,lì c’è questa riflessione filosofica dove si prende consapevolezza che in fondo l’illusione è più dolce della realtà e ne Il Copernico c’è una perdita della centralità dell’uomo nell’universo, ma anche il fatto che l’uomo è qualcosa di piccolo, di relativo, e quindi questa sarcastica combutta tra il Sole e Copernico, in cui il Sole si rifiuta di girare attorno alla Terra e da quel momento in avanti dice: “No, siete voi che dovete girare attorno a me”. Tematiche estremamente puntuali anche per una coscienza di oggi.
CP: Lei è un artista che si occupa di diverse discipline: dalla scultura all’incisione, all’illustrazione, alla scenografia, alla grafica. C’è ancora qualche disciplina che non ha per il momento toccato e che vorrebbe invece approfondire?
MB: No, in questo momento, nonostante una lunga esperienza di momenti diversi, anche di atteggiamenti sperimentali, posso fare un bilancio: c’è una specie di ritorno alla consistenza dell’opera, ovviamente, quindi non si può troppo costruire sull’effimero. L’arte ha bisogno anche di qualche cosa che possa permanere. In altre parole, se in passato la sua funzione era proprio quella del permanere, e oggi non possiamo più avere questo atteggiamento, nonostante tutto l’opera per me rimane, ancora oggi, sostanzialmente il centro, quindi la rappresentazione è il centro dell’espressione artistica. Tutte le tendenze non rappresentative hanno esaurito la loro funzione. Non nego l’intelligenza di una qualsiasi altra sperimentazione, però per quanto mi riguarda, il mio lavoro e le mie energie sono indirizzate proprio a verificare l’ipotesi dell’opera, anche in relazione all’opera così come tradizionalmente l’abbiamo ereditata. Credo che le grandi opere d’arte siano l’unico riferimento per il quale noi dobbiamo misurare i nostri atti.
CP: Leggevo, fra l’altro, che lei è interessato anche ad una progettazione di giardini, a delle sculture da inserire all’interno di un percorso nella natura…
MB: Sì, ritengo che per quanto riguarda la scultura, che è una forma di espressione che coinvolge lo spazio, le esigenze del nostro quotidiano abbiano quasi escluso la possibilità di accoglierla. Quindi la scultura, se vuole riguadagnare uno spazio reale che ancora esiste oggi, può farlo nei giardini. Nei giardini, soprattutto privati, che possono diventare momenti di riflessione estetica, possono diventare piccole gallerie difese dal rumore, difese dal traffico, che consentono un rapporto ancora giusto e autentico con l’opera. Vediamo, per esempio, quanta scultura pubblica non è più fruibile per la realtà della città: piena di macchine, piena di rumori. Le opere d’arte nelle piazze sono diventate totalmente invisibili proprio perché c’è una realtà — che io non condanno — ma che è l’ultimo posto in cui vorrei mettere una scultura.
CP: Quindi lei aveva pensato ad un inserimento di qualche sua scultura all’interno di uno di questi giardini? Ha già avuto qualche idea?
MB: Io lavoro con persone, dei privati, che scelgono di rapportarsi con questo modo di identità, cioè danno un’identità alla loro vita, al loro modo di vivere anche costruendo un giardino che prevede una scultura.