I fratelli GuiducciRiccardo Visentin (RV): Abbiamo il piacere di incontrare un giovane regista, Alberto Guiducci il quale presenta al Trieste Film Festival l’anteprima di un corto molto interessante intitolato L’assassinio di via Belpoggio, tratto da un racconto di Svevo. Mi è sembrato un lavoro affascinante, particolare, gotico: diamo modo ad Alberto di raccontarci un po’ la genesi del suo lavoro.

Alberto Guiducci (AG): Tutto è partito dal racconto di Svevo che ho avuto occasione di leggere più volte. Avevo tentato di girarlo già anni fa con mezzi molto poveri e poi, cogliendo l’occasione del ritorno dall’America di mio fratello, che è il direttore della fotografia, abbiamo cercato di realizzare un lavoro in pellicola girato in maniera solida, con una troupe di professionisti, cercando di sfruttare la città di Trieste, e le sue “location”. Abbiamo girato un po’ ovunque e per questo lo chiamiamo un “corto kolossal”: abbiamo avuto altre quindici “location”, fatto piuttosto anomalo per un corto, che solitamente è girato in un appartamento. Quindi, abbiamo deciso di usare il primo e per questo poco conosciuto racconto di uno scrittore prestigioso, e di costruire determinate atmosfere dark, adatte al cinema noir. È stato un lavoro molto duro, girato in due riprese perché nella prima parte, durante i primi dieci giorni abbiamo avuto innumerevoli problemi: dal clima, ai problemi umani. È difficile mettere d’accordo trentacinque persone, così è stato praticamente come fare due film invece che uno, però adesso, a conti fatti, siamo soddisfatti, siamo riusciti a costruire un buon lavoro, soprattutto delle belle atmosfere, com’era nell’idea originale.

RV: Infatti Alberto, volevo chiederti questo: in questi giorni ho visto la preview, chiamiamola così, e in effetti il tuo lavoro è molto affascinante. Cogliendo, come spesso ci capita di fare, i pareri del pubblico, forse ti farà piacere sapere che qualcuno vedendo i pochi minuti del film ha detto: “C’è qualcosa di Ombra e nebbia di Woody Allen dietro”. Allora io ho colto questa suggestione cinefila e te la rimando, intanto per sapere se ti piace, e poi per capire quali sono le tue passioni cinematografiche, e se questa persona ha visto giusto nel trovare questo trait d’union.

AG: Ma in un certo senso, credo che abbia proprio visto giusto. Il punto è che Ombra e nebbia intanto è un gran film in cui penso che Woody Allen abbia un po’ giocato servendosi di queste particolari atmosfere anche in maniera ironica. Noi, essendo una narrazione psicologica, abbiamo cercato di aiutarci con delle atmosfere cupe. Inoltre, il testo di Svevo è giocato molto sui pensieri dell’assassino, ma io non volevo usare la voce narrante, e quindi avevamo bisogno, al di là dei dialoghi, dell’espressività degli attori che venivano dal mondo del teatro. Cercavamo anche un’atmosfera particolare che può essere legata ai film degli anni ’40 e ’50, che poi sono i film dai quali è nata la mia passione per il cinema: un certo cinema psicologico che può essere quello di Fritz Lang o un certo tipo di modo di girare quale quello di Orson Welles. È da lì che è partito tutto. La scelta di un determinato linguaggio, fatto più di piani sequenza rispetto al montaggio moderno stile videoclip.

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RV: Tra l’altro, Alberto, credo che si colga anche un ceto rigore formale, il lavoro è molto asciutto. Come hai già detto tu, il film, corale e anche impegnativo, crea in qualche modo, una sorta di connubio tra il teatro e il cinema, innanzi tutto perché molti protagonisti provengono da un teatro classico direi, dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, da André Orel, Fabio Musco, Daniela Giovannetti, e Lorenzo Acquaviva. Tu mi accennavi che è stato complicato lavorare con questa compagine, allora io ti chiedo delle difficoltà di far combaciare questi due mezzi artistici, il teatro e il cinema, e anche le persone fisiche che questi mezzi artistici coniugano, in altre parole avendo anche interpreti che provengono dal teatro, si è creata un’atmosfera e una recitazione anche teatrale?

AG: Si, non è stato facile. Nel senso che da subito avevo deciso di trovare gli attori nel panorama teatrale, poi i primi giorni di prove sono stati un po’ duri nel senso che ho pensato di aver sbagliato tutto, perché li ho visti veramente molto impostati e allora dicevo: “togli, adesso meno, non accentuare così il gesto…”. Sono stati attimi di smarrimento ma loro sono stati molto ricettivi — sai ci sono attori a cui dici di fare una cosa e la fanno subito, altri no — ma questo lo si era visto già nel casting, nel quale si tenta di provare strade interpretative diverse per vedere se gli attori rispondono alle indicazioni. Siamo stati fortunati a trovare degli attori così preparati e così disponibili a lavorare. Proprio questa mattina ho parlato con Claudio Tombini, il nostro protagonista, che mi ha detto “Mi dicevi, togli, togli, togli… però riguardandomi forse avrei potuto togliere ancora di più”. Io penso che alla fine abbiamo trovato un buon equilibrio.

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RV: Quest’estate Alberto, non so se tu eri a Trieste, si è svolta, purtroppo un po’ sotto silenzio, una manifestazione che ti sarebbe molto piaciuta che si chiamava Trieste tra giallo e noir ed era essenzialmente dedicata al genere giallo letterario. C’erano molti ospiti stranieri, e mi ricordo che qualcuno aveva anche avanzato un’ipotesi sul rendere Trieste la protagonista di un lavoro gotico. Alberto Guiducci l’ha fatto e in qualche modo ha colto il suggerimento. Avendo parlato del lato artistico, dei momenti belli, ti chiedo anche del lato economico dell’operazione, delle difficoltà di ottenere dei soldi per un lavoro di questo tipo, che di solito sono sempre troppo pochi rispetto a quanti ce ne vorrebbero. Come hai affrontato le dificoltà? Ci sono state anche qui delle battute d’arresto? È stato difficile per un giovane come te trovare le risorse economiche necessarie alla realizzazione del film?

AG: È stata un’impresa epica e a tratti anche pesante, nel senso che mi sono sentito a volte schiacciato, ci sono stati dei momenti in cui avevo la casella della posta oberata da fatture da pagare, e non avevo i soldi per il caffè. È stato veramente un grande sforzo, però abbiamo ricevuto anche dei contributi, ultimamente stiamo raccogliendo ancora dei soldi e anche se rientrare completamente non sarà possibile, siamo riusciti a recuperare oltre metà del budget. Un risultato importante e poi si spera sempre di aver stabilito dei buoni contatti per eventuali altri lavori. Poi, sai, è veramente difficile, ne parlavo anche con registi importanti presenti all’Alpe Adria, e hanno tutti gli stessi problemi. Da un certo punto di vista, in questo modo abbiamo avuto anche maggiori libertà, perché penso che un produttore non avrebbe mai dato i soldi per un lavoro in bianco e nero, non avrebbe scommesso su un certo tipo di recitazione, ed un certo tipo di stile. In realtà, il film aveva tutte le caratteristiche per non essere finanziato però alla fine ci siamo riusciti, forse un po’ per Trieste, un po’ per Svevo, un po’ perché ci siamo dati veramente da fare, in sei mesi siamo andati a bussare un po’ a tutte le porte.

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RV: Stiamo facendo quest’intervista alla luce, quella che ne è rimasta, del sole morente, e quindi anche questo è un po’ crepuscolare. Dobbiamo sbrigarci perché quando il sole scende, scende anche il sipario. Intanto ti ringraziamo Alberto per la tua generosità e ci sarà senz’altro occasione di rincontrarti. Solo la classica domanda finale, ti dicevo che Dracula, secondo la leggenda, assaggiato il primo sorso di sangue, non era più in grado di farne a meno. La passione per il cinema ormai ti ha contagiato e dunque credo che ci siano già dei progetti nel cassetto. Scaramanticamente non ne parliamo nello specifico, ma tu cosa vorresti fare se avessi carta bianca? Cos’è che ti senti di affrontare in questo momento?

AG: Sto lavorando contemporaneamente ad un paio di sceneggiature che sono ancora in fase embrionale. Spero di poterle girare, ma con mezzi un po’ più poveri rispetto all’ultimo lavoro. Se poi i finanziamenti dovessero arrivare, tanto meglio. Però non è più il caso, nella condizione in cui sono adesso, di cominciare un nuovo lavoro e di preoccuparmi solo in un secondo momento di ragranellare i soldi, perché sarebbe veramente impossibile. Sai, prima di questo film, avevamo molto poco materiale girato in pellicola, da far vedere qui a Trieste. Adesso abbiamo qualche carta in più per andare a chiedere un po’ di soldi. La sindrome di Dracula c’è tutta, non vedo l’ora di tornare sul set, di scoprire altri attori, e di utilizzare ancora quelli che ho conosciuto, di rimettere in piedi la squadra. Con le persone con cui mi sono trovato bene vorrei lavorare ancora e, avendo dei finanziamenti, poter dare loro dei piccoli compensi, cosa che per questo film non ho potuto fare.