Passato ad Alpe Adria Cinema 2004, Palabras del regista Corso Salani è un film girato in Cile, tra la città di Santiago e la piccola Antuco. Qui Adela, geologa spagnola interpretata dall’attrice Paloma Calle Alberdi incontra Alberto (lo stesso Salani), ingegnere italiano con cui avvia una relazione destinata a consumarsi in fretta. Sempre in fuga attraverso qualche festival, Corso Salani prende immediatamente le distanze da qualsiasi presunto “maestro” o “corrente” e si conferma così come un cineasta che preferisce “correre da solo”.

Immagine articolo Fucine Mute

Sarah Gherbitz (SG): Come è nata l’idea di girare il film in Cile?

Corso Salani (CS): Avevo bisogno di una grande città e di un posto particolarmente desolato e lontano per ambientare la storia e allora mi è venuto subito in mente Santiago, perché c’ero stato, la conoscevo e mi piaceva molto, soprattutto la parte forse più inaspettata della città, quella che meno ci si può aspettare che ci sia in Sud America oppure come questo posto assolutamente pietroso e ventoso, Antuco. La scelta è stata abbastanza automatica anche se sulla carta poteva apparire difficilissima, poi però nei fatti si è rivelata più semplice di come ci si aspettava. Poi perché volevo anche provare a girare un film parlato in spagnolo, non essendo un problema l’uso di un’altra lingua o la presentazione del film con i sottotitoli.

SG: Hai detto che Palabras ha avuto una lunga gestazione: ti riferivi al processo di scrittura?

CS: Mi riferivo al fatto che una volta finita la sceneggiatura, poi c’è stata la lunga attesa per mettere insieme in realtà un budget molto limitato per poter partire e fare le riprese. In realtà la sceneggiatura ha avuto un tempo abbastanza normale di realizzazione di circa qualche mese. Poi ci sono stati sopralluoghi, poi i provini, non partiva mai. A posteriori è anche un bene che ci sia un’attesa perché il film così ha modo di maturare, però mentre sei lì che aspetti, è molto meno piacevole!

SG: Il film è co-prodotto con Gianluca Arcopinto (noto produttore del cinema indipendente italiano, nda). Come ti sei trovato?

CS: Avevo già lavorato con lui per il mio film precedente, Occidente e quando ci siamo rivisti gli ho chiesto di poter fare una cosa minore rispetto a Occidente, proprio nei costi e nella struttura. Ci siamo presi una comune responsabilità perché l’abbiamo prodotto insieme; il grandissimo, enorme vantaggio di lavorare con lui è che lascia assoluta libertà, poi anche se non fossi stato produttore sarebbe stato lo stesso, non interviene mai, se non positivamente, nel progetto: una collaborazione per me ideale. Forse è anche l’unico che in realtà rischia anche in proprio per progetti a cui crede, magari progetti più difficili, rischiosi sulla carta.

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SG: Con quale criterio hai effettuato la scelta dell’attrice protagonista?

CS: Ho fatto una lunga serie di provini sia a Santiago del Cile che a Madrid e avevo anche trovato molte buone attrici. Poi, una volta conosciuta Paloma Calle, m’aveva molto colpito, non tanto il provino in sé che poi non era bellissimo per sua stessa ammissione. Solo mi era piaciuto, m’aveva colpito il fatto che si fosse concentrata sul provino come se fosse fine a se stesso, senza l’idea che il provino portasse al film. Era diventato un provino su quel testo che doveva leggere, mi aveva colpito questo impegno, appunto dimenticandosi a che cosa serviva quell’incontro. Quando abbiamo iniziato a lavorare sono stato subito molto contento, si è impadronita bene del personaggio e ha fatto molto anche da sola, ha aggiunto molto.

SG: Al contrario dello straniamento che caratterizza alcune delle tue protagoniste, come succedeva ad esempio ne Gli occhi stanchi, Palabras si sviluppa anche come un racconto di amicizia e di solidarietà al femminile.

CS: Sì, forse è un po’ diverso rispetto agli altri film. Ci sono almeno due gruppi, in un caso di amiche e un altro gruppo di amici, c’è quindi anche un rivolgersi agli altri, con una solidarietà e un affetto che probabilmente negli altri film non c’erano. Io lo straniamento l’ho sempre sentito dopo, in realtà i personaggi nascono scrivendo e non ho mai considerato questo aspetto coscientemente. Forse rispetto agli altri film lo trovo più ottimista nel senso che è un film, più che d’amore, sul distacco, sulla nostalgia, sui sentimenti che sono stati vissuti, ma che poi in qualche modo si sono chiusi. Ecco, è la prima volta che un mio personaggio riesce a parlare delle sue esperienze, riesce a trasmetterle e a dividerle con qualcuno anche con abbastanza leggerezza, a parte alcuni momenti. Questo, forse, è il passo diverso rispetto agli altri film.

SG: Che cosa ci puoi dire sull’uso del digitale? Hai manifestato un certo distacco da alcuni confronti, forse che le correnti ti stanno un po’ strette?

CS: Non voglio contestare, semplicemente mi sembrano molto limitanti, purtroppo però avviene spesso questo catalogare sempre su… Io sinceramente non mi sento legato a nessuno e neanche pretendo io di fare scuola. All’uso del digitale in realtà spesso viene data un’aria molto filosofica… ma in realtà in questo caso è stata una comodità più che altro logistica perché la pellicola in Cile era difficile sia da trovare sia poi da spedire in Italia e, di conseguenza, il video ci ha permesso di spendere meno. Quanto al discorso sull’immagine, io ne sono un po’ lontano e mi dispiace appunto che non si riconosca il modo d’affrontare le riprese senza dover far riferimento ad altri: non capisco il meccanismo per cui bisogna sempre andare a cercare la fonte d’ispirazione, secondo chi lo pensa o chi lo scrive. Sinceramente non mi sono ispirato a nessuno, ecco, senza per questo considerarmi un maestro del cinema, il film viene da solo, in modo spontaneo, ed anche il formato dipende da tanti altri elementi.

SG: Hai qualche prossimo progetto?

CS: Sì, che non annuncio perché l’ultima volta che l’ho fatto, mi pare proprio a Trieste, poi sono stato fermo per anni! Sto prendendo una serie di appunti per sopportare meglio la separazione dal film, che comunque è sempre un lavoro che prende anni, che ti riempie la vita, e dopo bisogna sempre mettersi in movimento su altre cose per non sentire il vuoto spaventoso.

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SG: Anche i tuoi personaggi sembrano sempre in bilico tra il bisogno di radici, di sicurezze e il vivere situazioni decisamente provvisorie.

CS: Mah…provvisorietà sicuramente, tutti i personaggi, in un modo o nell’altro, a parte forse le due amiche di Adela, le due di Santiago… Io faccio di tutto per non sentire radici, anche nella vita quotidiana, però poi alla fine vado sempre a battere lì, su questo fatto, su questa mancanza di radici. Credo siano personaggi che poi, è vero, sono sempre caratterizzati in un luogo abbastanza particolare come il Cile o come la ragazza rumena ad Aviano o la ragazza polacca che è vissuta in Occidente e torna a casa, però credo che siano sempre personaggi in cui ci si può ritrovare o a cui ci si può sentire vicino. In questo caso questo spaesamento che possono provare forse serve anche a renderli più aperti, a renderli più… è il modo più possibile per sentirli vicini.