Immagine articolo Fucine MuteSi sa che i Festival sono l’occasione di incontri, visioni, scoperte, conferme, turbamenti, innamoramenti e delusioni. Molto dipende dal nostro desiderio di conoscenza, dal piacere di fare scoperte e dalla voglia di esplorare territori sconosciuti. Alpe Adria Cinema 2004 ha festeggiato la quindicesima edizione con un ricco e variegato programma che ha confermato la sua vocazione ad osservatorio privilegiato degli avvenimenti, spesso tragicamente dolorosi, che hanno contraddistinto le realtà storiche e politiche dell’Est europeo.
Emblematica, a questo proposito la presenza a Trieste di due personaggi che hanno vissuto sulla loro pelle le lacerazioni che hanno dilaniato i loro Paesi.

Jan Nĕmec

Il primo Jan Nĕmec, nato a Praga il 12 luglio 1936, ha pagato con l’esilio il fatto di aver ripreso clandestinamente l’invasione dei carri armati sovietici nell’agosto del 1968 e di aver diffuso le immagini all’estero. In ogni caso i tre film realizzati in patria,“I diamanti della notte” (1964), “Sulla festa e gli invitati” (1966), “I martiri dell’amore” (1966) e prima del forzato distacco, sono la testimonianza di un indiscutibile talento che non si è più espresso in seguito a quei livelli.

Le sue peregrinazioni fuori dalla patria lo hanno portato da prima in Germania, poi in Svezia e successivamente in Gran Bretagna. Il suo esilio prosegue quindi negli Stati Uniti dove insegna cinema in varie università. Quando nel 1989 cambia il clima politico in Cecoslovacchia (ricordate la rivoluzione di velluto?) Nĕmec ritorna a casa ma gli anni della lontananza e le tante amarezze accumulate ne fanno un uomo, e di conseguenza, un artista, “disilluso”. E così l’immagine più forte della permanenza triestina di Jan Nĕmec è paradossalmente un fuori campo. è successo dopo la presentazione di alcuni video musicali del periodo 1968-69 ed altri dello stesso genere del 1993 filmati dal celebre regista ed interpretati dalla cantante Marta Kubišová. Sopraffatto dalla commozione per quelle immagini Jan Nĕmec è uscito dalla sala al riaccendersi delle luci ed il curatore della retrospettiva ha spiegato le ragioni di quel turbamento. Marta Kubišová è stata la moglie di Nĕmec e, dopo la primavera praghese la sua ben avviata carriera musicale si è brutalmente interrotta, per ragioni politiche. Ed è ripresa, in forma marginale, solamente quindici anni più tardi.

Immagine articolo Fucine Mute

Rade Šerbedžija

L’altro illustre protagonista dell’ultima edizione di Alpe Adria Cinema è stato Rade Šerbedžija, la cui storia è esemplare degli steccati che improvvisamente sono stati eretti tra popolazioni confinanti. Rade è nato a Bunič in Croazia nel 1946 ma ha trascorso gli anni della giovinezza a Vinkovci, in prossimità della Serbia. La sua carriera è iniziata negli anni sessanta indirizzandosi sia verso il cinema che il teatro potendo contare sulla direzione dei più prestigiosi registi del Paese. Quando nel 1991 scoppia la guerra dei Balcani il fatto di aver sposato la regista serba Lenka Udovički lo mette in una condizione di grande difficoltà che lo spinge prima a rifugiarsi a Lubiana e poi ad emigrare a Londra e successivamente negli Stati Uniti. A livello di conoscenza da parte della critica internazionale il nome di Rade balza all’attenzione dopo l’interpretazione di “Prima della pioggia” (1994) di Milcho Manchewski, premiato con il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia. Seguono poi significative pellicole come “La tregua” (1997) di Francesco Rosi e ”Il dolce rumore della vita” (1999) di Giuseppe Bertolucci. Ma è con la gustosissima caratterizzazione sostenuta in “Eyes wide shut” (1999) di Stanley Kubrick che le sue quotazioni sul mercato internazionale salgono vertiginosamente. Ecco allora il suo nome comparire nel cast di film di successo come “Mission impossible 2” (2000) di John Woo, “Space cowboys” (2000) di Clint Eastwood e “The quiet american” (2002) di Phillip Noyce. Recentemente Rade Šerbedžija ha interpretato “Ilaria Alpi — il più crudele dei giorni” di Ferdinando Vicentini Orniani (2003) ed “Hermano” di Giovanni Robbiano, proposto in anteprima proprio a Trieste e di prossima uscita nei cinema italiani. Ma al di là della programmazione di quattro film, scelti da lui stesso e inseriti come sentito tributo all’artista balcanico da Alpe Adria Cinema, la sua presenza a Trieste si è caratterizzata per due performance extracinematografiche. Nella prima esibizione ha raccontato qualcosa di sé e declamato alcuni versi tratti da un componimento poetico tradotto in italiano per l’occasione, nella seconda si è esibito come cantante di una numerosa band guidata dall’istriano Livio Morosin. L’impressione che ha dato entrambe le volte è di una personalità carismatica, un po’ incantatore di serpenti, un po’ domatore di tigri, insomma un grande comunicatore.

Samir

Se Jan Nĕmec e Rade Šerbedžija sono stati i testimoni delle infinite contraddizioni dell’est europeo, una scoperta davvero insolita è venuta dalla Svizzera. Si tratta di Samir, nato a Baghdad nel 1955 da padre iracheno e madre svizzero-tedesca, ma trasferitosi all’età di sette anni a Zurigo. Nella sua doppia veste di regista e produttore Samir è autore di film molto diversificati che ne fanno, come scrive Frédéric Maire, “uno dei cineasti più integri ed importanti della Svizzera d’oggi”.

Immagine articolo Fucine Mute

Da segnalare ancora la nutrita retrospettiva dedicata alle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e Turkmenistan) e la presenza, ormai tradizionale e sempre gradita, di Corso Salani con il suo ultimo, intenso, film “Palabras” interpretato dallo stesso Corso Salani assieme a Paloma Calle, Alessandro Mizzi e Monica Rametta.

Verdetti e opinioni

Come dato di cronaca, questo è stato il responso della giuria. Il film “Uzak”, del regista turco Nuri Bilge Ceylan, vince il Premio Trieste 2004 al miglior film, per la 15^ edizione di Alpe Adria Cinema — Trieste Film Festival — menzione speciale per il film “Rezervni Deli” (pezzi di ricambio) del regista sloveno Damjan Kozole. Per il concorso dei cortometraggi vince la pellicola tedesca “Am See”, di Ulrike von Ribbeck. menzioni speciali alla produzione croata “Susa”, di Dalibor Matanic, e a “Ramad”, produzione franco — libanese di Khalil Joreige e Joana Hadjithomas.

Come pettegolezzo personale l’estensore di queste note, tra i film visionati, ha amato, in modo particolare, “Gesù Du weiss” dell’austriaco Ulrich Seidl, sei storie di forte ricerca di contatto con Dio, e “On Hitler’s Highway” dell’inglese Lech Kowalski, carrellata tragica e straziante su una umanità derelitta lungo le strade, ieri tedesche oggi polacche, della Slesia.