Gli Act Noir sono un progetto musicale che in questi mesi ha diffuso una sua autoproduzione — dal titolo “Cosmo Minimized” — a varie webzine e a varie etichette, con l’intenzione di instaurare una collaborazione con qualcuna di queste ultime. Avevo letto alcune recensioni positive e ascoltato alcuni file “mp3”, soprattutto avevo sentito il loro remix degli inarrivabili MonumentuM sulla compilation “k:goth“, così ho pensato fosse doveroso contattarli per poter ascoltare il disco in questione ed eventualmente offrire loro un po’ di spazio su Fucine Mute. è andata proprio così. “Cosmo Minimized” merita l’attenzione di chi si appassiona alla musica elettronica, perché si tratta di una riuscita sintesi di svariati generi: il dark e la new wave degli anni Ottanta, ambient e frammenti trip hop. La chitarra di Stefano Nieri talvolta rappresenta la sfumatura rock dell’album, mentre nel caso di “Swerved Rooms” il basso di Michele Gozzi vira il pezzo verso il funk. Io ho apprezzato soprattutto la capacità di Sergio Calzoni di assemblare tutto questo (grazie al software “ProTools”), filtrandolo attraverso la sua sensibilità posta a cavallo tra Depeche Mode e Recoil (il progetto solista di Alan Wilder): a questo proposito bisognerebbe ascoltare “This Something”, la straniante “Drag Me Away”, inframmezzata da una “fuga” (quasi) techno che successivamente si infrange contro beats meno incalzanti, ma più abrasivi e malati, per poi lentamente spegnersi, e — last but not least — la sognante “Lithium Flowers”. Quest’ultima è la traccia che ho chiesto di poter mettere in streaming audio su Fucine Mute, colpito dalle sue atmosfere (talvolta “etniche”) che si fondono perfettamente con una chitarra liquida e malinconica. Inoltre “Lithium Flowers” è permeata da una sorta di speranza per un futuro “artistico” che rispecchia l’idea di fondo presente nei testi di “Cosmo Minimized”, incentrati sul disagio causato da una realtà monotona e piatta e il desiderio, opposto a tale realtà, di potersi esprimere creativamente.
Menzione particolare, senza nulla togliere agli altri musicisti, per la voce di Nicholas Hill, un po’ il David Sylvian della situazione, per intenderci: la sua presenza potrebbe essere quel decisivo elemento di persuasione per qualche discografico.
In sintesi, “Cosmo Minimized” è un disco poetico e melanconico, talvolta cupo, quasi sempre avvincente, non fosse per alcuni momenti nei quali forse c’è troppa carne al fuoco. In ogni caso, con i dovuti scongiuri, si tratta di un eccellente biglietto da visita.
La breve intervista pubblicata qui sotto serve a conoscere la storia e le ambizioni del gruppo, nelle parole di Sergio Calzoni.
Fabrizio Garau (FG): Gli Act Noir nascono dal progetto “Alma Mater”. Non ho potuto ascoltare il gruppo originario, quindi ti chiedo quali ragioni umane e artistiche hanno generato questo cambiamento e in cosa è consistito musicalmente tale cambiamento.
Sergio Calzoni (SC): La decisione d’adottare il nuovo moniker “Act Noir” fu voluta soprattutto per il decisivo cambiamento di formazione avvenuto nel 1999 con l’entrata di Stefano Nieri (chitarre) e l’uscita di Valerio Biagi (voce). Alma Mater era un progetto orientato più verso elettronica orchestral-sinfonica a metà strada tra In The Nursery, Clan Of Xymox ma anche Dead Can Dance, con un bel cantato in italiano di Valerio in stile Garbo. Il nuovo input creativo di Stefano orientò le nuove composizioni su generi diversi: dal prog-rock, psichedelia fino ad arrivare a contaminazioni funky. Allo stesso tempo anche il mio modo di comporre ed arrangiare subì l’influenza di stili musicali fra I più disparati: ambient, industrial, techno ed ethnic-music…
FG: Nelle vostre intenzioni l’ottimo “Cosmo Minimized” dovrebbe servire instaurare una collaborazione con un’etichetta discografica.
Quale potrebbe essere, secondo te, il salto di qualità a livello musicale — oltre all’ovvio salto di qualità promozionale e distributivo — che una dimensione professionale vi garantirebbe?
SC: Non credo che il fatto d’instaurare un rapporto con un’indie-label possa mutare sostanzialmente l’aspetto musicale di una band: molte indie-labels infatti vogliono ricevere dai gruppi musicali il master finito di tutte le tracce per poi occuparsi unicamente dell’aspetto promozionale e distributivo dell’album. Altro discorso quello di una major che spesso tramite i produttori artistici arriva totalmente a snaturare quelle che erano le intenzioni musicali originarie della band.
FG: Sono rimasto molto colpito da “Lithium Flowers”, sia per il suo essere così sognante e malinconica sia per l’alchimia creatasi tra le parti di chitarra e le parti elettroniche.
Cosa puoi raccontare a proposito di questa canzone?
SC: Lithium Flowers è la più vecchia canzone (inverno 1998) che sarà inserita nel nostro CD di futura pubblicazione, e una delle prime composizioni di Stefano. Ricordo che la prima stesura del brano suonava vagamente Radiohead, poi dopo qualche rimaneggiamento nella struttura della song più l’aggiunta delle mie parti elettroniche hanno trasformato il brano in uno strano ibrido fra pop, ambient, new-age e psichedelia.
FG: Se si leggono le recensioni, si nota come tutti siano rimasti colpiti dal vostro cantante Nicolas Hill. Come è nato il vostro sodalizio artistico? Qual è il suo background musicale?
SC: Ho conosciuto Nicholas in seguito al mio trasferimento a Copenaghen tramite il classico annuncio su un giornale locale. La cosa che maggiormente mi colpì di Nicholas, oltre al caratteristico timbro di voce, fu il fatto che egli é soprattutto un polistrumentista e portavoce di una delle band più eclettiche sul suolo danese: “Nicholas Hill & the Universals“, capaci di passare tranquillamente da atmosfere fusion/jazz a ritmi serrati in stile punk-rock. Nicholas rimane all’interno della band il personaggio decisamente più singolare: profondamente interessato alla pratica dello yoga tantrico, fan sfegatato d’Iggy Pop e reduce di un passato assai burrascoso trascorso in una comunità hippie in seguito alla fuga dalla sua famiglia adottiva!
FG: A vostro credito va il remix di “Distance” dei MonumentuM. In comune con questo gruppo avete l’amore dichiarato per l’avventura solista (denominata “Recoil”) dell’ex Depeche Mode Alan Wilder.
Considerato tra l’altro che stiamo parlando sempre di sonorità legate all’utilizzo dell’elettronica e del digitale, cosa ti piacerebbe portare all’interno del tuo sound di questi due progetti musicali?
SC: Mi piacerebbe che Act Noir fossero sempre maggiormente influenzati dalla rottura di confini e generi musicali di cui Recoil e MonumentuM si fanno portavoce. Trovo geniale ad esempio che Alan Wilder abbia inserito il contributo dei Golden Gate Jubilee Quartet (famosi in tutto il mondo per il motivetto “Oh when the saints go marchin’ in”) in “Jezebel”, una delle canzoni più azzeccate del suo ultimo album.
FG: L’impressione che ho ricevuto dai testi è che in essi sia presente una sorta di dialettica tra una realtà quotidiana piuttosto grigia e opprimente e il sogno di una vita meno banale e in certo modo più “artistica”.
C’è qualcosa di vero in quest’interpretazione?
SC: Alcune delle liriche da me composte concordano con limpressione da te avuta: in effetti, trattano proprio del rapporto dell’artista nei confronti della propria arte. Altre invece sono decisamente ispirate ai molteplici aspetti contraddittori che quotidianamente un grande centro urbano come Copenaghen mostra a chi riesce a soffermarcisi per qualche minuto.
Immagini © Michela Zucchini