“Quest’ordine universale […] sempre era, è e sarà fuoco perenne e vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura”
Eraclito
“Igneo”, uscito in cd su Wide Records e in vinile per la Wallace, è l’ultimo album realizzato dagli Zu, se si esclude il live di Helsinki e il loro ultimissimo disco, nato negli studi del famoso Steve Albini a Boston, e non ancora distribuito.
Il genere di questa band è stato etichettato in vari modi: free jazz, jazz-core, math rock; definizioni che rimandano a musicisti come John Zorn, Cheval de Frise e Don Caballero (realtà musicali che a grandi linee possiamo dire vicine). In ogni caso, tentare queste classificazioni non è più di tanto utile né interessante; direi invece che ascoltando i pezzi strumentali di questo trio (sax, batteria e basso), ci si rende conto che si tratta di qualcosa d’indefinibile, dove si combinano elementi come jazz estremo e improvvisato, indie rock intricato e dissonante, potenza e velocità hardcore.
“Igneo” è un’opera di grande intensità e fantasia, che emana sensazioni di alterazione, inquietudine, viaggio psiconautico e delirio. Si tratta di musica che, specie nelle fasi più assurde (improvvisate o meno), dà l’impressione di sgorgare dall’inconscio.
Molto espressive e spontanee, e al tempo stesso decisamente elaborate, le canzoni di questo disco sorprendono continuamente per l’originalità e l’energia che le contraddistinguono. Bisogna comunque dire che le elevate capacità tecniche non vengono mai sfoggiate banalmente, ma sono invece sfruttate per creare un groove complesso e coinvolgente.
Le nove tracce di questo album si susseguono contorte e mutevoli, alternando parti esaltate e adrenaliniche con altre più lente, trascinate e oniriche, mescolando melodie bizzarre, cupe o rumorose con scatti improvvisi, stacchi netti, stop and go imprevedibili, legando passaggi pestati e più morbidi; il tutto è anche confuso dalla sovrapposizione di ritmi sfasati da uno strumento all’altro e strambi tempi dispari.
Molto forte e ricca di stile è la sezione ritmica: una batteria tentacolare, coloratissima e scattante, che spesso si incastra con i nervosi e vorticosi giri del basso, soprattutto nei pezzi più insistenti e ossessivi e nelle parti con andamento più singhiozzante; a fianco di questa potente combinazione, il sassofono improvvisa, crea melodie jazzose e spesso segna uno stacco con i toni più scuri e rockeggianti del basso. Nel quadro d’insieme non mancano i momenti dove tutti e tre gli strumenti vanno di pari passo, seguendosi nelle scansioni ritmiche e nella melodia, né occasioni in cui ognuno dei tre prende una direzione completamente sganciata dal resto, inventando un caos folle e in continuo movimento. Un pregio di questo album è che l’elemento rumore, dato dai lamenti illogici del sax e dai fischi casuali del basso, non risulta mai invadente o fastidioso, ma è ben misurato e in posizioni azzeccate.
Il sound che avvolge “Igneo” è nitido, con le singole linee strumentali bene in evidenza, ma con un’aura di grezzo che amalgama bene l’impasto e lo rende più genuino e aggressivo.
Sicuramente di grande impatto è il primo pezzo, “The elusive character of victory”: si apre con il delirio di tom, piatti e campane della batteria e con il basso che vibra note inquietanti, di seguito irrompe il sax con suoni striduli simil a un pianto; il fuoco divampa, poi improvvisamente diventa sempre più fioco fino a spegnersi.
Comunque tutti i brani presenti hanno una loro personalità e bellezza, e secondo me spiccano tra gli altri “Arbol de la speranza mantente firme”, “Muro torto” e “Monte Zu”, nei quali questi ragazzi riescono a creare una miscela particolarmente emozionante di ritmi coinvolgenti e ballerini, totale libertà e irrazionalità, foga, ossessione e toni più rilassati.
Confermando la loro tendenza all’incrocio, all’apertura e alle collaborazioni con altri artisti, gli Zu hanno ospitato su “Igneo” tre musicisti che lo hanno arricchito di ulteriori note di colore e di inventiva: Ken Vandermark al sax, Jeb Bishop al trombone e Fred Lomberg-Holm al violoncello, tre personaggi noti nella scena dell’avanguardia free jazz di Chicago.
Non è detto che leggendo quello che ho scritto abbiate anche lontanamente capito a che cosa andate incontro ascoltando questo disco (come gli altri firmati Zu). Provate ad ascoltarlo, capirete ancora meno.