Sulla mia pelle del regista e sceneggiatore Valerio Jalongo, racconta la storia di Tony (Ivan Franeck), un semi-libero che lavora in un caseificio di giorno e di notte torna tra le sbarre. Presente a Torino Film Festival in concorso, il film è un dramma a sfondo malavitoso dalle atmosfere cupe e passionali, in cui la fotografia (diretta da Alessandro Pesci) richiama appunto il contrasto tra la notte ed il giorno, prigionia e libertà. In questo modo la condizione esistenziale ambigua e schizofrenica, inizialmente prerogativa soltanto del protagonista, gradualmente si allarga alle persone apparentemente “libere” che lo circondano, compresa la donna di cui è innamorato.
Sara Gherbitz (SG): Quali sono state le tue esperienze formative?
Valerio Jalongo (VJ): Ho incominciato realizzando dei cortometraggi alla Scuola Gaumont di Roma fondata da Renzo Rossellini. Da questa scuola sono usciti anche altri registi come Giuseppe Piccioni e Daniele Luchetti e il produttore Domenico Procacci.
Poi sono andato in America per conseguire un master alla Southern california University, e ne sono uscito con Dream City, che vinse il premio Vittorio De Sica per il giovane cinema italiano.
SG: Oltre alla regia di Sulla mia pelle, hai firmato anche la sceneggiatura. Com’è nata l’idea di raccontare la storia di un semi-libero?
VJ: La sceneggiatura è nata da una mia idea, che si è formata durante i miei due anni di insegnamento presso il carcere romano di Rebibbia, un’esperienza di scambio ed aiuto reciproco.
Poi è subentrato un lavoro di gruppo con Gualtiero Rosella, che è stato lo sceneggiatore di Fuori dal mondo, con Enzo Civitareale, e a cui si è aggiunto anche lo scrittore Diego De Silva. Dato che il film è ambientato a Salerno e lui è salernitano, ci ha aiutato a rendere i dialoghi più autentici.
SG: Com’è avvenuto il passaggio dalla realtà alla finzione?
VJ: Più che raccontare la storia dei semiliberi, che saranno poche centinaia in tutta Italia, volevamo, attraverso un racconto preciso, dettagliato e documentato della loro vita parlare di tutti noi, di quelli che sono liberi e credono di esserlo e che poi alla fine, giorno dopo giorno, accettano tutta una serie di condizionamenti e di limitazioni alla loro dignità, oltre che alla loro libertà.
SG: Come hai operato la scelta degli attori principali?
VJ: Per il ruolo del protagonista, l’attore doveva avere una qualità particolare, cioè un senso di estraneità alla situazione. Ivan Franeck, nel ruolo del protagonista Tony, è un attore ungherese che credo piaccia al cinema italiano proprio per questa sua aria spaesata. Nel mio film si trova nel Sud ma viene dal Nord, è qualcuno che in fondo non trova un suo posto, non trova una sua via per la normalità. Inoltre ha questa strana sintesi di tenerezza e forza che caratterizza sia lui che l’attrice Donatella Finocchiaro, che compare nel ruolo femminile di una donna forte, decisa e battagliera, ma solo all’apparenza.
Tutti e due gli attori hanno in comune una fortissima umanità e sensibilità e durante la lavorazione hanno dato prova di estrema disponibilità. Con loro si è parlato a fondo delle motivazioni dietro a ciascun personaggio, del perché il personaggio compie certe azioni piuttosto che altre, in che modo si trova costretto dalle circostanze determinate scelte.
SG: Molti hanno paragonato Sulla mia pelle al film Angela di Roberta Torre per il modo in cui mescola realtà e finzione.
VJ: Angela è senz’altro uno dei film italiani della passata stagione che mi è piaciuto di più, ma in realtà mi piacciono anche film che possono sembrare lontani dal mio stile, come ad esempio L’ultimo bacio di Muccino per come utilizza gli schemi da soap-opera.
SG: Hai già in cantiere un prossimo progetto?
VJ: Sì, s’intitola Laria, che ha ricevuto una menzione speciale alla scorsa edizione del Premio Solinas per la sceneggiatura.