Nell’enorme calderone in cui ribolle tutta quell’eterogenea mistura che si può definire “musica indipendente”, si possono trovare, oltre a ingredienti basilari come ad esempio l’hardcore o il punk, anche schegge di elementi che potrebbero a prima vista apparire estranei, come il pop o il jazz; gli Zu sono un esempio di questo, essendo un gruppo che si muove in un contesto indie e propone una sorta di jazz malato e aggressivo. Che abbiate o meno familiarità con le sonorità jazzistiche, secondo me questa frangia estrema merita di essere esplorata, quantomeno con una prova d’ascolto degli mp3 a disposizione sul loro sito; difficilmente questa musica, così originale e personale, lascia indifferente un ascoltatore.

Immagine articolo Fucine Mute

La prima volta che ho ascoltato gli Zu (il cd che girava nello stereo era il loro primo album, “Bromio”) sono rimasto sorpreso e affascinato; nonostante la musica non fosse di ascolto semplicissimo o immediato, sono subito rimasto attratto da quel sound così particolare e da quelle note che a tratti sembravano nascere per caso in quello stesso momento. Quando poi ho saputo che venivano a suonare in un centro sociale milanese, ho colto al volo l’occasione di vederli esibirsi, assistendo ad uno show pirotecnico; lì ho avuto modo di vedere quanto le loro invenzioni ritmiche e melodiche riuscissero a coinvolgere me e il pubblico presente.
Il viaggio musicale di questo trio romano, formato da sax, basso e batteria, comincia nel ’97, anno in cui compongono musiche per spettacoli teatrali della capitale, come “Vladimir Majakovskj” e “Il funambolo” di Genet; la loro intensa attività è continuata fino ad oggi con quattro dischi realizzati e uno di prossima uscita, una miriade di esibizioni live in Italia, Europa e Stati Uniti, varie collaborazioni in studio e dal vivo con musicisti di spessore come il trombettista siciliano Roy Paci, il chitarrista newyorkese Eugene Chadbourne e la polistrumentista americana Amy Denio.
Il bassista Massimo Pupillo dà inoltre vita, insieme al dj Okapi e al compositore Maurizio Martusciello, al progetto Dogon, dedito a sperimentazioni elettroniche e parajazzistiche.
Comunque, per farsi un’idea di che tipo di musicisti e di persone siano gli Zu, consiglio di leggere le risposte che Jacopo, il batterista, ha dato alle mie domande; nel caso voleste leggere qualcosa di più specifico e approfondito riguardo la loro musica, in questo numero è presente anche una recensione di “Igneo”, il loro ultimo album vero e proprio, uscito nel 2002.

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Giuliano Cottone (GC): Il nome Zu ha qualche particolare significato?

Jacopo Battaglia (JB): “Zu” in lingua tedesca sta per chiuso. L’avevamo scelto perché, ironicamente, rispecchiava la nostra condizione quando abbiamo iniziato questo progetto… sempre chiusi in sala prove a suonare/improvvisare e cercare la nostra voce.
Poi, quando abbiamo iniziato a girare all’estero, abbiamo scoperto con piacere che Zu, in realtà, è una parola che ha moltissimi significati in moltissime lingue e dialetti diversi, dal cinese al dialetto ragusano… non sto qui ad elencarteli. Zu non è affatto chiuso…

GC: Ascoltando i vostri dischi, a tratti mi sfugge il limite tra ciò che è calcolato e scritto e le parti frutto di improvvisazione; anche in occasione del vostro concerto al centro sociale Cox 18 di Milano mi domandavo come poteste, in quel vortice di follia musicale, sincronizzare i vostri cervelli tra stacchi improvvisi, pause, accenti netti su certe note… in definitiva: come ottenete, dal vivo e in studio, l’effetto “caos organizzato”?

JB: In definitiva non c’è nessuna formula magica. I pezzi nascono da soli, noi siamo lì, in sala, ad aspettare che arrivano. Poi quando arrivano li facciamo nostri e li lavoriamo con una batteria, un basso e un sax. Cerchiamo di coltivare la pratica dell’apertura. Il punto di partenza, fino ad ora, è sempre stato l’improvvisazione, poi quello che viene dopo, il modo di arrangiare, è sempre diverso. è la naturale conseguenza del fatto che cambia il tuo approccio allo strumento, cambiano i tuoi parametri, cambia il modo in cui filtri la musica.
E questo vale anche per i concerti, sono sempre diversi.

GC: Se doveste pescare in ogni decennio dai ’70 ai ’90 un gruppo che vi influenza o vi affascina in particolare, quali indichereste?

JB: Dai ’70 ai ’90?Sarebbero troppi nomi, difficile individuarne uno per ogni decennio.
C’è una quantità enorme di musica che ci affascina e ci influenza e ci auguriamo di scoprirne ancora tanta.

GC: In chiusura di quel concerto dell’anno scorso cui ho accennato prima, dopo più di un’ora di intricato delirio sonoro, avete sorpreso il pubblico coverizzando “Beat on the brat” dei Ramones; c’è anche del punk rock nel vostro DNA musicale (al di là della passione e dei progetti jazZUsi)?

JB: Direi proprio di sì, il punk rock e l’hard core sono una grossa fetta della torta Zu. Chi più chi meno, siamo passati tutti per di là. Basta guardare le magliette di Luca (il sassofonista) ed i vinili che abbiamo a casa.

Immagine articolo Fucine MuteGC: All’interno del vostro sito web sono disseminate varie immagini di dipinti medievali, (serpenti che si mordono la coda a comporre un cerchio, un inquietante scheletro umano fuso con parti animali e mostruose, che suona un pesce a mo’ di violino…). Personalmente le ho associate a ciò che definirei un’anima mistica della vostra musica, legata ad un’idea di caos, di “oltre”, di sconvolgimento fantasioso della realtà e navigazione nei meandri della mente. Ho detto qualcosa di sensato o quei dipinti vi piacevano e basta (ergo sto scrivendo delle cazzate)?

JB: Hai detto qualcosa di sensato. Quelle sul sito sono immagini che abbiamo preso da vari libri di alchimia. Per noi la musica è un’arte alchimistica.

GC: Tra i molti musicisti con i quali avete condiviso il palco mi è parso di capire che con gli olandesi “The Ex” avete stretto un gemellaggio particolare, tanto è vero che il vostro ultimo album è dedicato a loro e un vostro brano porta nel titolo il nome della loro batterista (“untitled samba for Kat Ex”). è stata solo la loro musica violenta e ipnotica ad attrarvi o c’è qualche altra ragione?

JB: La loro musica l’abbiamo sempre amata. C’è un’amicizia davvero forte che ci lega e, umanamente, credo sia qualcosa di veramente speciale che difficilmente capita tra due band. Avendo suonato insieme un po’ ovunque, abbiamo avuto modo di conoscerci bene. Sono persone stupende che ci hanno aiutato molto, era il minimo dedicargli il disco.

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GC: Ho saputo che avete avuto la fortuna di suonare insieme allo storico gruppo canadese NoMeansNo. Ti chiedo un parere su questa band che da vent’anni è sicuramente tra le più originali del panorama indie mondiale.

JB: Grandiosi!!! I fratelli Wright sono i miei eroi… Io ho cominciato a suonare la batteria ascoltando i loro dischi (uno su tutti “Wrong”) quindi puoi facilmente immaginare quanto rispetto nutro per questo gruppo… è stato emozionante aprire per loro, anche se solo per un paio di concerti… comunque ci rifaremo presto: saremo in tour con i NoMeansNo ad aprile in Italia e Grecia.

GC: Tornando a voi: con l’intersecarsi di basso, batteria e sax riuscite a dar vita ad una musica infuocata che è “una” e in continuo mutamento. Nasce da qui il titolo “Igneo”?

JB: In parte sì, credo che renda l’idea di quello che c’è inciso sul disco.

GC: Continuerete a escludere la possibilità di una voce che canti, parli o “suoni” (alla Demetrio Stratos, per esempio) sulle vostre note?

JB: Assolutamente no. Abbiamo in cantiere il progetto di registrare un intero album con varie voci, italiane e straniere…voci sicuramente molto diverse tra di loro.
Stiamo cercando di organizzare le session in modo da far coincidere i nostri impegni con quelli dei vari ospiti. Ci vorrà un po’ di tempo per realizzare questa cosa, spero uscirà entro la fine del 2004.

GC: Secondo te, la vostra musica coinvolge (e sconvolge) di più dal vivo nell’intimità di una stanza? Quale dei due ambiti pensate sia più adatto a Zu?

JB: Penso che la nostra musica presuppone un livello d’attenzione molto alto che è più facile raggiungere nella dimensione live. Il concerto è sicuramente il contesto più adatto per approcciare il nostro sound, anche perché nel live ci sono tante sfumature che non puoi cogliere su disco. Questo non significa che, al mondo, non esista qualche pazzo che possa apprezzare la nostra musica chiuso in cameretta.

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GC: Che tipo di rapporto economico avete con le vostre etichette? Vi sentireste di indicarlo come modello (anche utopisticamente) per qualsiasi musicista o band?

JB: Abbiamo fatto dischi con sette etichette diverse e il rapporto, almeno in termini economici, è sempre stato lo stesso. Ovvero: Noi registriamo il disco a nostre spese, l’etichetta poi lo stampa e lo promuove e noi siamo pagati in copie. Questo processo è cambiato solo con l’ultimo disco, quello che uscirà a Maggio. In questo caso l’etichetta, la Atavistic/Touch ’n’ Go ha pagato tutte le spese di registrazione ed economicamente è stato un bel passo in avanti. Il lato umano comunque resta quello fondamentale, lavoriamo sulla fiducia. Tra noi e l’etichetta ci deve essere un rapporto non basato sui numeri… con qualcuno funziona con altri no.

GC: Per chiudere: progetti a breve e/o lungo termine per gli Zu?

JB: Abbiamo appena registrato il nuovo disco che uscirà a Maggio su Atavistic e siamo appena tornati da un mese di tour negli states. Adesso ci prendiamo una piccola pausa per buttare giù il materiale per il nuovo album (quello con le voci). A fine Novembre/Dicembre saremo in tour in Francia e Spagna. La nuova ZuFest quest’anno si svolge a Bruxelles, presso il Recyclart. All’inizio del 2004 saremo in studio a registrare il nuovo album, marzo/aprile in tour in Italia e Grecia, e maggio/giugno nuovo tour europeo, poi… palme e noci di cocco.