Il 9 luglio 2003 Suzanne Vega si è fermata a Parma per la prima delle uniche due date italiane del suo tour mondiale, tenendo un’emozionante reading-concerto nella suggestiva ambientazione dello storico Piazzale della Pilotta.
Con la collaborazione di Ègrandestate, il concerto è stato organizzato all’interno della prima rassegna musicale estiva della Casa della Musica di Parma, Notte Tempo, che ha visto alternarsi nel suggestivo chiostro della Casa della Musica artisti quali Peppe Servillo, Andrea Dulbecco, Beppe Consolomagno, Nada Trio e Nicola Arigliano.
La conferenza stampa si è tenuta presso la Libreria Fiaccadori di Parma poche ore prima del concerto. Le domande poste dalla nostra intervistatrice, Ilaria Cecchini, sono precedute dalla sigla “IC”, quelle degli altri giornalisti dalla lettera “D”.
Potete leggere qui il diario di viaggio della stessa Suzanne Vega relativo a questa data.
D: Cosa è cambiato nella vita culturale di New York dopo l’11 settembre e gli ultimi avvenimenti politici?
Suzanne Vega (SV): Dalla prospettiva della comunità culturale che circola attorno al Village nulla è cambiato dopo Bush figlio. Voglio dire, i problemi politici sono solo più visibili e c’è una crescente tensione all’interno e contro i movimenti culturali. Ognuno trova dei modi diversi per farsi ascoltare (dopo l’11 settembre). Comunque, New York non è rappresentativa dell’intero paese, anche se l’opinione pubblica sta cominciando ad avere sospetti su questa guerra e sulle sue ragioni. Cominciano ad avere sospettisulle armi di distruzione di massa e sulle giustificazioni adottate per questo conflitto…
D: Assieme al Greenwich Village Songwriter’s Exchange lei ha prodotto un album di nome “Vigil” (‘Veglia’, o ‘Vigilia’). Di cosa trattava? Era una vigilia di festa?
SV: Non posso sicuramente viverlo come una festa. L’album era sull’11 settembre, un evento che ha toccato direttamente la mia famiglia, un amico di mio fratello essendo morto quel giorno, ed essendo anche il compleanno di un mio fratello morto recentemente… perciò, di sicuro non una festa.
Ilaria Arianna Cecchini (IC): Lei ha scritto molte canzoni in vita sua, e di alta qualità. C’è mai stato un periodo della sua vita nel quale questo flusso creativo si è interrotto e non riusciva più a scrivere nulla?
SV: Sì. Nel periodo fra il 1996 e il 2000 sono riuscita a scrivere solo due canzoni. È stato probabilmente il periodo più lungo che abbia mai passato senza scrivere. Non dipende sempre dalle cose, sai, che ti accadono nella vita. A volte smette e basta. Per quanto possa sembrare sconvolgente, non c’è granché che tu possa fare, se non aspettare. Cercare di concentrarti sulla famiglia.
IC: Cosa ha voluto dire per lei ricominciare a scrivere?
SV: Be’, io ho sempre scritto, da quando avevo sei o sette anni, perciò è stata una gran bella cosa ricominciare a scrivere, ritrovare nella mia vita questa possibilità di espressione.
IC: La religione ha avuto un’influenza sul modo in cui guarda alle cose, o è stato il modo in cui le guarda alle cose che ha influenzato il suo credo religioso?
SV: Decisamente, la seconda possibilità. Perché la mia famiglia ha praticato il Buddismo da quando ero adolescente, l’ho praticato anch’io — tuttora lo pratico — a mi ricordo che avevo una peculiare visione del mondo anche prima di ciò, un modo di guardare in profondità alle cose, per cui è stato piuttosto naturale per me aderire a quel tipo di religione. Ma è anche vero il reciproco: penso che più che come ispirazione di vita, la propria scelta religiosa, la propria religione, doni una prospettiva più profonda sulle cose, un modo di analizzarle. E le proprie opinioni sulle cose si adattano al proprio credo. Ma penso decisamente la seconda.
D: Cosa ci puoi dire dei tuoi processi creativi?
SV: Non c’è una regola con cui scrivo: ma nella maggior parte dei casi scrivo la musica, prima delle parole. I testi si accordano alla musica spontaneamente. Ma, ripeto, questa non è una regola. Molte canzoni sono state scritte interamente, testo e musica, più o meno nello stesso momento.
Porto sempre con me un blocco per appunti o un computer portatile per prendere note, ma poi ho bisogno di tornare a casa e lavorarci su tranquillamente. Cerco di non scrivere in studio di registrazione… perché costa troppo!
D: Qual è la differenza principale fra lo scrivere una poesia e il testo di una canzone? Ci sono differenze nel tuo stile?
SV: Principalmente nel ritmo. Voglio dire, una poesia non è scritta per essere suonata. È più libera dal punto di vista metrico: non è necessario che abbia rime, per esempio. Penso che la differenza sia strettamente strutturale, nel modo in cui metti assieme le parole. Il processo artistico e fondamentalmente lo stesso.
Credo di avere lo stesso stile. Non ci trovo molte differenze. Forse, perché i temi sono ricorrenti, e i modi in cui li esprimo sono personali, e in questo modo si riflettono nel mio stile.
D: Come è nata l’idea di questo suo libro (Solitude Standing, traduzione parziale di The Passionate Eye), pubblicato da Minimum Fax?
SV: C’erano alcuni miei vecchi racconti che venivano ritenuti interessanti. Ho cominciato a rileggerli su vecchi taccuini, assieme a cose che avevo scritto da ragazzina. Non pensavo che potessero essere di alcun interesse, ma alcune erano strane, altre erano intense. Meritevoli di essere lette, comunque. Poi le persone alla ‘Minimum Fax’ hanno deciso di raccogliere parte di questo materiale e pubblicarlo con la traduzione di Valerio (Valerio Piccolo, suo traduttore italiano anche al concerto e alla conferenza stampa, ndr).
IC: Il suo tour europeo finirà presto. Le è piaciuto? È stanca? E c’è qualche differenza fra il pubblico europeo e quello americano?
SV: Sì sono stanca! Credo che la differenza principale sia nelle dimensioni. Quando suono per il pubblico americano ho sempre a disposizione dei posti piccoli, come club o teatri, e per non più di poche centinaia di persone, duecento o trecento. Qui in Europa ho la possibilità di esibirmi in posti più grandi, per tremila o cinquemila persone a serata. E il pubblico è sempre caloroso ed interessato. È un’esperienza molto intensa per un artista. Totalmente diversa da ciò che capita di solito negli Stati Uniti.
Non ho avvertito alcun sentimento anti-americano qui in Europa, nonostante mi avessero messo in guardia a questo proposito. La gente sembra sempre aperta all’arte in Europa. Negli Stati Uniti le cose non sono così facili, specialmente dal punto di vista dell’impegno politico. C’è una strana atmosfera al momento negli Stati Uniti. È un momento difficile per l’arte in America.
Mi sarebbe piaciuto fare una tournée più lunga. Stiamo cercando di programmare più date per l’anno prossimo.
D: Canterà Language stasera?
SV: No, mi dispiace, non suoneremo Language stasera, perché non la suoniamo dal 1990, ed è una canzone molto difficile, sebbene possa sembrare semplice… ci sono un sacco di campionamenti, e così via…
D: La mia generazione è cresciuta ascoltando le canzoni di Bob Dylan. Scriverebbe mai una canzone sull’undici settembre o sulla guerra, come farebbe lui?
SV: Veramente, sarebbe piaciuto a tutti noi sapere che cosa Dylan avesse da dire sull’argomento, ma non ha detto parola da allora… Perciò, non scriverei mai una canzone sull’undici settembre adesso, perché troppe banalità sono state scritte sull’argomento, la sento come una cosa troppo importante per me, non solo dal punto di vista politico, avendo toccato la mia famiglia, quindi non vorrei scrivere delle canzoni deprimenti, o essere banale o retorica. In un certo senso viviamo ancora nello shock di ciò che è successo, e io ho bisogno di tempo, perché tutto questo si depositi dentro di me e io possa scriverne.
È un momento difficile in America per gli artisti… Non ci sono soldi per le arti, e i tempi stanno cambiando anche in relazione a Internet…
D: C’è questo cambiamento di atteggiamento da parte degli Americani sulla guerra in Iraq o no?
SV: Per quanto riguarda la stampa americana certe cose stanno venendo fuori qua e là, è venuta fuori anche nel momento della guerra, ad esempio dal New York Times. È stata espressa chiaramente un’opposizione alla guerra, non è un movimento organizzato ma c’è sicuramente una presa di coscienza a riguardo.
D: Sente la mancanza degli anni ’80?
SV: No, per niente. Decisamente, per niente! (Ride, ndr)
Sebbene sia stato un periodo così speciale e di successo per la mia vita, con gli stili e la musica e tutto… sono contenta di vivere adesso!
Un grazie speciale a Rosanna Conte per l’indispensabile collaborazione a questa intervista.