Esattamente come si conviene per i correnti prodotti farmaceutici, premetto all’intervista che segue delle speciali precauzioni d’uso che mi sono state fornite direttamente dal poeta Tomaso Kemeny: «Un paziente del Dr. Sigmund Freud si lamentava di avere tutte le risposte e nessuno che mai gli facesse una domanda. Ora sono nella felice condizione di dovere rispondere. Seguono risposte che vi prego di masticare lentamente prima di inghiottire ».
Tiziana Carpinelli: In un confronto sul tema epistolare e Internet, lei afferma di aver “sempre avuto il culto leibniziano della lentezza, suprema forma di perfettibilità dell’esistenza ” e che “il nostro è il migliore dei mondi possibili, a patto di darsi il tempo per saperlo vivere ”.
Come conciliare questa sua posizione nell’attuale società che ha fatto della velocità un presupposto essenziale se non addirittura un mito?
Tomaso Kemeny: La velocità futurista è ben custodita su tele appese sui muri di musei preclari. Chi ha fretta di corrispondere alle vertiginose proposte della società passa in fretta come la moda (non nel senso di morire, ma di mutare e trasformarsi insensatamente).
L’arte di vivere al rallentatore è richiesta da chi sa amare, scrivere e percepire l’euforia di respirare l’aria pura della libertà. Essere fedeli a sé stessi significa non avere fretta di cambiare al primo soffio del deretano sociale.
TC: Ho letto un suo scritto sull’azione poetica di Lord Byron: l’arte di non morire è quella “che ci insegna a non lasciare morire la nostra vita interiore, a non lasciare avvizzire la nostra anima, a non lasciarsi inghiottire dalla massa dei morti-viventi che affliggono tutte le società cosiddette civili ”. Ma come si può essere quando tutta la nostra crescita e cultura è imperniata oggi sull’ agire?
TK: Per essere è meglio non adeguarsi alle demagogie del presente. È necessario essere qualcuno (e non lasciarsi massificare) prima di potere agire secondo una necessità individuale.
TC: Spesso nella cultura occidentale il poeta incarna il folle veggente che indica le vie esistenziali invisibili agli occhi del filosofo o del religioso: in questo senso come si colloca la sua poesia? La follia è l’unica possibile saggezza?
TK: Dal punto di vista della mia poesia, la follia non è che il lato più profondo della saggezza; la poesia implica una visione filosofica e religiosa allo stesso tempo, una visione al di là delle chiese e delle scuole di pensiero.
Il filosofo rumina, il religioso prostituisce l’assoluto, al poeta è fatale tradire il segreto della vita di cui è custode. Per questo il poeta vive esiliato nella metafora. Così come il mistico.
TC: Ha affermato che “La bellezza femminile è il sogno dell’unità del cosmo ”. È perseguendo questa finalità che la donna diviene Musa ispiratrice nelle sue opere?
TK: Il corpo della donna è l’unica misura che contiene il giorno e la notte, il verso libero e quello metricamente puro.
TC: Ne La Transilvania liberata lei recupera la dimensione epica: da cosa è stato originato questo riscatto?
TK: La Transilvania Liberata è il respiro della mia vita. Aspetta ancora di venire pubblicato e ne sono stati resi pubblici solo alcuni passi.
Ho sognato Torquato Tasso, mi ha stretto la mano e mi ha stretto al suo petto.
È stato uno dei momenti più belli della mia vita.
TC: Where is the LIFE we have lost in living?
Where is the WISDOM we have lost in knowledge?
Where is the KNOWDLEGE we have lost in information? T.S. Eliot
Che risposte ci può fornire il poeta Tomaso Kemeny?
TK: Le domande di Eliot mi fanno venire in mente quella famosa di Villon “Dove sono le nevi d’una volta?” e una sua variante surreale “Dove sono le nevi di domani?”.
La vita, la saggezza e il sapere di cui domanda Eliot, hanno destini diversi. L’unica cosa che non ci possono togliere e ciò che sappiamo. Forse sapere troppo ci fa perdere la saggezza. La saggezza vera è colta ma non iperdotta, né iperdotata. È anche lievemente folle e pronta al sorriso. Chi non sa ridere è colui che inamida l’istante, portando alla paralisi della creatività, dilapidando saggezza e sapere. La vita vivendo si consuma. Tutto ciò che vale la pena di vivere è indimenticabile e la sua memoria ci accompagna fino alla fine, che è inevitabile.
TC: Quali sono i suoi progetti futuri? Può darci qualche anticipazione?
TK: Sto componendo un libro di versi: Se il mondo non finisce. Nulla che vale la pena di conoscere lo si conosce in anticipo.
La mia speranza è che la vita riesca a stupirmi al punto da farmi scrivere e vivere un capolavoro che non merito (ciò che merito ho la pretesa di esigerlo).
Concludo con un’ osservazione: Il mondo è radicalmente cambiato negli ultimi anni. Come adeguarsi rimanendo fedeli a se stessi? In questa domanda si nasconde la speranza del servo o del padrone? Pensateci e sappiatemi dire.
A presto e su questa terra.