“Lights Out” è il secondo full lenght album degli Antimatter: un mix originale e personale di sonorità elettriche, digitali e acustiche.
Questa è un’intervista con Duncan Patterson (songwriter degli Antimatter insieme a Mick Moss).

Fabrizio Garau (FG): Dopo due album (e un live acustico), quali sono i tuoi sentimenti nei confronti della tua esperienza col progetto Antimatter?

Duncan Patterson (DP): Sono felice di trovarmi nuovamente nella posizione di poter far uscire regolarmente album. In questi pochi anni abbiamo lavorato duramente e adesso il tutto sembra dare i suoi frutti. Il mio problema principale ora è la mancanza di distribuzione, e lo dovrò risolvere con le realtà commerciali con le quali collaboro.

Duncan Patterson

FG: Gli Antimatter siete tu e Mick Moss. Come descriveresti il vostro rapporto artistico?

DP: I nostri stili di scrittura sono differenti, ma stanno bene insieme. I pezzi di Mick sono più “canzoni”, mentre le mie cose scorrono verso altri lidi. Comunque i nostri stili sono compatibili.

FG: Come hai sviluppato le tua tecnica musicale nel corso degli anni? Te lo chiedo perché in “Lights Out” troviamo diverse soluzioni strumentali (acustiche, elettriche, digitali).

DP: Non ci sono regole nella nostra musica, così scegliamo semplicemente gli strumenti più appropriati, dipende da ciò che sentiamo più giusto. Non c’è sviluppo di abilità tecniche, sta tutto nella mente.

FG: Da un lato vi servite di elettronica e sample, dall’altro sembra che voi abbiate un forte interesse per le sonorità acustiche (in “Lights Out” proponete una versione acustica di “Everything you know is wrong”). Secondo te, quali sono i sentimenti che solo la chitarra acustica permette di esprimere?

DP: Le chitarre acustiche suonano fantasticamente, questo è quanto. Scrivo la maggior parte dei miei pezzi con la chitarra acustica, così come Mick. Mi piace creare più versioni semplificate di una stessa canzone ed è bello renderle disponibili per la gente. Quando suoniamo dal vivo lo facciamo solo con chitarra acustica, basso e piano, e si crea un’atmosfera rilassata che preferisco allo stare suun palco con un sacco di persone che — urlando — ti guardano dal basso verso l’alto.

Duncan Patterson e Mick Moss

FG: I Portishead sono uno dei miei gruppi preferiti. Ho percepito alcune somiglianze tra “Lights Out” e questa band, in particolare nell’uso delle percussioni. Cosa hai “imparato” (scusa per il termine) dal trip hop?

DP: Non sono un grande fan dei Portishead, né lo è Mick. Dev’essere la cosa più facile associarci con loro o con qualcosa di loro, come le voci femminili, il piano elettrico… Io veramente non vedo questo legame.

FG: Questo album ha una forte unità lirica: personalmente lo percepisco come un lavoro sull’assenza di verità, in particolare nei rapporti umani. Che ne pensi?

DP: Io ovviamente so di che parlano i testi. Sono lì in bianco e nero, e non sono così criptici da non poter ricavare un’idea su ciò di cui parlano. Sono costruiti intorno alla delusione nelle persone.

FG: Associo il tuo gruppo a parole come “intimità” e “introspezione”. In “The art of a soft landing”, Hayley Windsor dice: “I’m building a cage to chew things over”. Questo tipo di comportamento proviene più dalla vostra interiorità o è causato dalle circostanze storico/sociali che vivete?

DP: Entrambe le cose, non è un’autocommiserazione costruita a tavolino o qualcosa del genere (se una cosa del genere esiste), i testi sono basati sulle nostre esperienze di vita e su ciò che osserviamo.

FG: Una sedia vuota nel buio è il tema principale dell’artwork dell’album. Che cosa simboleggia?

DP: Simboleggia che qualcuno non è più sulla sedia, e la lampadina sta oscillando.

Duncan PattersonFG: Una piccola curiosità: perché hai deciso di apparire come vocalist sul pezzo che dà il titolo all’album? Sei particolarmente legato a questa canzone?

DP: Sono legato a tutte le cose che faccio, ma non mi piace cantare. Mi è piaciuta la maniera in cui tutte le voci della title track sono venute fuori e allora abbiamo mantenuto la mia voce nel mix.

FG: A giudicare dalla sua toccante interpretazione, Mick Moss sembra molto coinvolto in “In Stone”. Hai parlato con lui di questa canzone?

DP: Sarebbe meglio che fosse Mick a spiegare le sue canzoni. è molto coinvolto in tutto ciò che scrive, altrimenti non lo scriverebbe. Inoltre capisce bene come scrivo io.

FG: Non ti ho mai incontrato, ma, se dovessi presentarti a un mio amico, ti descriverei come una persona indipendente e dalla mentalità aperta. Che importanza hanno questi due aggettivi nella tua vita (musicale)?

DP: Sarebbe una descrizione accurata.