Bagagli pesanti e pratiche di violenza che si fissano all’inconscio di una collettività assonnata, governata e regolata dai piani perfetti di abili funzionari di regimi di cui si conosce l’esistenza, ma di cui non ci si cura; un Leviatano carnefice che scandendo le ore con le ingiustizie crea l’alveo ideale per l’alba di una nuova era; i portacenere di giudici khmer che inceneriscono i sogni di tutti quei giovani che si issano su la mattina e che non pensano minimamente alla possibilità che qualcosa possa sfiduciarli in vita; il domino della persecuzione strisciante che si porta dentro la gente che vive in Cina o in Indocina, attraverso persecuzioni ed esecuzioni sommarie che riportano all’oscurità, che riportano al regno non ipotetico di una notte a Phnom Penh, è il ritratto di una certa società orientale, sorta dai regimi che vogliono affamare il pensiero e alimentare gli aguzzini.
Questo pare dire nella poesia “Bagaglio appresso” Luciano Troisio, indovinando — anche se basterebbe osservare le vicende recenti dell’umanità per capire le realtà in cui l’uomo si ritrova a vivere — per addizione di immagini dolorose i paradossi della civiltà “globale” e l’illusoria speranza per il nuovo mondo che scenderà sulla terra da qui a poco, proiezione del pensiero di molti esperti di marketing.
Infatti gli eventi politici del lontano oriente si collegano alla realtà politica italiana già nella poesia “Ciù l’insonne”, che non è altro che il Primo Ministro cinese Zhou Enlai, morto nel 1976 — anno che vide la scomparsa di altre grandi personalità cinesi, come Mao e come Zhute, il condottiero della lunga marcia rivoluzionaria. Siamo informati di questo collegamento grazie alle imprese del democristiano Vittorino Colombo, presidente di un comitato amicale italo-cinese. Il politico nostrano presenziava spesso con una schiera di commerciati italiani alla corte del re rosso, recando in dono miliardi a fondo perduto per la cooperazione e lo sviluppo delle relazioni tra i due paesi, attività la sua che proseguì fino al 1992. Si fa solo un po’ di ironia su un fatto realmente accaduto, l’incontro fortemente voluto e atteso spasmodicamente dal nostro “italo ministro” e il Primo Ministro cinese alle tre di mattina, a Pechino, per discutere di chissà quale importante scambio commerciale.
Per capire invece alcune annunciate tragedie dovremmo interrogarci sulla stato della diffusione della cultura in Cina attraverso il caso della poetessa Xi Mu Rong, scrittrice di origine mongola e residente a Taiwan perché sfuggita alla rivoluzione: gli studenti cinesi pubblicavano artigianalmente le sue poesie fino a dieci anni fa, studenti che immaginiamo simili alla snella studentessa Tin Lin che cerca di mettere in salvo la cultura, attraverso il fascino e la perfezione di un Haiku che forse è più di una stucchevole metafora. Secondo le informazioni ricevute da Troisio, docente all’epoca di Tien an men al dipartimento di Italianistica di Shang Hai, gli studenti facevano girare ciclostilati rischiando, come altri intellettuali del passato, la rieducazione, cioè l’essere spediti a fare i contadini in qualche villaggio sperduto della Cina — questo accadde, tra l’altro, ad una altra personalità della Cina poetica, Su Ting, anche se alla morte dei suoi detrattori nel 1976 venne riesumata da qualche risaia e poté iscriversi all’associazione degli scrittori cinesi.
Fuggendo dall‘ambiente cinese e da chi nutre legittimi interessi commerciali, troviamo a Bali un turismo culturale di qualità, soprattutto presso il tempio di Tanah Lot, fondato dal sacerdote Dewi Nirartha: è un posto mitico, eretto su uno scoglio raggiungibile a piedi dalla terraferma durante la bassa marea, distrutto in passato dalla violenza del mare e ricostruito in cemento per condurre gli incantati ed estasiati paganti, i visitatori occidentali.
Le fotografie spaiate di questo nostro mondo attraverso le poesie di Luciano Troisio continuano, fissando la nostra mente sul terrore o sulla confusione mentale grazie ad un linguaggio complicato, entro cui si possono intravedere le esperienze neoavaguardistiche dell‘autore. C’è comunque da osservare che pur cogliendo il disastro di una vita che si fa timer a dimostrazione del grandissimo disagio in cui vive, bomba pronta a scoppiare restituendoci granelli di verità, l’inutilità e la mancanza di senso attraverso i segni linguistici a volte possono essere di ostacolo alla comprensione del testo.
Nelle poesie di Troisio ciò avviene quando la scrittura di un accadimento si ferma troppo sull’oggetto che si vuole analizzare, mentre una serie di versi che portino nuovi contenuti o ulteriori sviluppi al contesto sembrano essere la soluzione migliore, poiché permettono di cogliere elementi, anche astrusi, del linguaggio che l’autore usa grazie l’intervento di altri punti di vista — una serie di spie che ci indicano il percorso da seguire per l’interpretazione, rifornendo e caricando di ulteriori sensi la forma, aumentando l’evocazione. Il linguaggio può risultare confuso ma chiaro nell’intento come nella poesia “Cornucopia”, perché le immagini espresse vanno a convergere sul concetto della “riflessione su forza invisibile” che genera un mondo poetico, o comunque in situazioni dove il contesto, in cui il lettore si muove, è ben espresso come in “Bagaglio appresso”.
Bagaglio Appresso
C’è un regno nella notte
si anima un reale del buio
già di per sé impaura
rende l’attesa non sopportabile
negli ululati di chi veglia e teme
si raggiungerà mai
quella prima striscia d’alba,
l’azzima comunicazione di grilli e galli
quasi albe e tramonti
non fossero una schifosa routine.
Negli ospedali si rinnova il turno,
vengono svegliati nei gulag
gli addetti all’interrogatorio
al liceo S 21 di Phnom Penh
si riattiva il tremolio da uno stato
di algica incoscienza
quando immondi giudici khmer
con blusa e sciarpetta ordinano
di legare ai letti di violenza
di riaprire le gabbiette dei vermi velenosi.
L’obesa cuciniera
dalle gambacce spaiate all’alba
issa a fatica il pentolone
dalle sale operatorie
linde infermiere staccano
altre hanno appena ultimato
di molestare l’estatico chirurgo
un lucore artificiale nei truci corridoi
percorsi da spazzoloni ricoperti
non aiuta a riflettere
sul mite fotogramma del carcerato
il cui messaggio
non è affatto narrato.
Ogni diritto sembra presupporre
posacenere colmi
vomita il pazzo
comunica la sua capriciosa verità.
Hanno aperto fiale orali
funzionano anche all’alba macchinari
a ruota, a volàno uncinato
hanno guardiani fissi a pensare.
Spurio che un lavoro ripetitivo
impedisca la speculazione.
Piani perfetti
sono stati messi a punto
durante algenti turni,
sbadigli sopraffatti
dal fischio di battelli notturni.
Tace improvviso dopo ore ininterrotte
lascia un vuoto neorealistico
il cessato aculeo di fondo
quando si placa pioggia a notte alta
il pianto ha seccato gli occhi
a donne sciatte macchiando federe
nell’ascosa notte condominiale
stellata d’occhi spalancati
dopo brusio infinito
all’improvviso un motorino tace.
Rosea l’aurora.
Giovinetti di dolce torace
posati al dominus in equilibrio
intravedono una nuova era.
Ciù l’insonne
Tertia hora terribilis matutina
occhi del fumatore cerchiati a Pechino
disorientato un pochino
(a quest’ora i Parlamenti decidono)
vuote le tazzone
i portacenere traboccano
in tutta l’astanteria
(della livida Pechino)
Signore infaticabile
il primo ministro Ciù
dall’affilato viso aristocratico
finalmente libero riceve
(nel suo silente studio di Pechino)
un leggero insistente
italo ministro
(dal buffo cappellino).
Tous les livres nell’unità di luogo
alla poetessa Xi Mu Rong
*
Apparizione ridente.
Quinte fatate mutavano
stupore levitava illimitato il mondo
le aulenti montagne.
**
-Nell’intermezzo tutti i libri
ho letto ormai-
aveva detto in illustre francese
doppiando il fascino
del Tonchino cortese.
-J’ai lu tous les livres-
a bordo di arcani veicoli
machine griffate.
Per carsico destino pantomime
di eleganza indocinese
quel pomeriggio
non vennero comprese.
***
Olim noi fummo
nello stesso pacato paesaggio,
rami bassi sferzarono
la corsa dei nostri puledri
sebbenenullarimanga
dei fiori annusati
del bassorilievo alabastrino
aggiudicato a lord Mountbatten.
-Nulla mi resta
se non la tua assenza.-
****
Nello spazio collinare a cavea
alfine per noi urbanizzato
la dovizia di celebri arbusti
ora cede valore
giunge allo zefiro
allo zero.
Forse un diabolico dettaglio
rese centrale
Il tuo essere illimite.
Quasi graffio su riquadri
d’intonaco fresco
ciò che altri ritennero banale
si rivelò scellerata perdita,
alba mai più risarcita.
L’acqua di tutti i fiumi,
infiniti sciolti minerali
mai più blandirono il meccano,
l’orizzonte negato.
La stella di Tin Lin
Allo spartano Dipartimento 7
di Bao Shan Lu
s’allungava un virgulto
di pruno fiammante
nella piovosa primavera di Shang Hai.
Nell’entrare impediva
di chiudere la finestra dello studio.
Prima di partire mi ero ripromesso
di ignorare soggetti vegetali,
per vari giorni ho riflettuto.
Già un vilucchio
si era avvolto alla carrucola del pozzo.
Tin Lin per proteggere quel segno
era andata a chiedere
acqua alla vicina.
Perché dunque evitare
terse occasioni “Haiku”,
non cimentarsi
in classiche
fulminee
“Ci”?
Fu complesso rinunciare
contattare il bolso personale
disporre di troncare
lo splendido ramoscello
vermiglio ma
snella inattesa
interprete Tin Lin
disobbedendo si oppose
alla potatura.
Con questa imprevista fermezza
tradì Tin Lin un segnale gentile
fino a quel giorno inavvertito.
Ovale del sosia
*
Nulla più trito
di una ruota di preghiera tibetana
una foresta di giovani capelli
della fisionomia quotidiana
eppure come scrisse
millenni fa il mandarino
dopo migliaia di mantra
identici nel delirio
ecco tutto l’essere d’un tratto
può avvampare,
pericoloso acuto prillare
un episodio fuori copione
nell’istante della mutazione
che non considera affatto
la centralità d’un tecnologico ritratto
l’effetto virtuoso speciale.
**
Un fumettone strampalato
inadatto al gusto europeo
in diretta da indico passato
ove perfino scene di tortura
possono sortire eleganti
per una pergola di glicine liberty
un superfluo cachepot di peonie.
In realtà il fedele mancante
l’odiata assenza comitante
solo corrobora il malessere costante
la certezza di svernare
in un mondo riluttante.
“Ti auguro di vivere
In un’epoca interessante ”
proverbiale l’aizzata imprecazione.
***
Tutti gli altri sono dandy
il soggetto è a disagio
nulla è davvero mutabile
neppure il tempo
come pretesa unità
di abbellimento del campo.
Al destinatario ignaro
non resta che trasalire
a documentazione di furti inauditi,
di massacri.
****
Eppure è impossibile dedurre
se esploda senza preavviso
comunicazione di bellezza insolita
venga trasmesso soggiacente un trillo.
Una gabbietta
sulla finestra del solitario
farebbe gentilire il cuore
del mandarino se non fosse
controllato da betabloccanti.
Spade, spilli, ascialìa
e il celato affanno contiene
l’immagine delicata
l’esistenza accettabile rinviata
da specchio terribile lontano.
Preghiera d’addio a Tanah Lot
-Iripetible, iripetible-
a Bali ripeteva un periodista ispano
americano, sciatto nell’incivile gruppo
della “delegazia uficial”
sul mare al tramonto divino
del sacro tempietto
dei commoventi dorati ombrellini.
Voi che avete conosciuto
il celeste romitaggio di Dewi Nirartha
non tornate a Tanah Lot
i demoni marini l’hanno erosa
(ora è finzione in marrone cemento).
A chi davvero ha intravisto
le ultime scintille di Dewi
tremante una preghiera:
al tramonto non tornate a Tanah Lot.
A una teen-ager kamikaze
Non ti molceva il core
*
Non ti cal d’allegria
non ami i cubi
le straripanti discoteche
ove coetanee russe
stoppose giudee immigrate
a Jerusalem vennero sbranate.
**
Altèra teen-ager
un principe avresti reso chiunque
ti fosse stato soltanto vicino
mirando il tuo nobile aspetto
l’incedere gentile.
E certo avresti potuto
vantare un giorno prossimo
l’adolescente chimera.
***
Oscura forza
ha guidato la tua mano
delicata e tremante
nell’attivare il corpetto sul seno
fasciato di fertilizzante
trasformato in plastico.
Fiso a liberté ch’è si cara
un volere nefando ha straziato
il magnanimo cuore.
****
Ora i tuoi vecchi piangono tranquilli
seduti intorno nell’eterna attesa,
mani giunte nodose con rosari
tormentano il tè di menta.
Narra ricorda patriarca il contadino
-arso fuggiva un giorno la canicola
sotto l’argenteo uliveto millenario-
scalzo scaleno un bambinetto ebreo,
mite vicino attraversava il campo
trotterellando ridente
mezza anguria in dono gli recava
rossa lunata
più grande di lui
Come sono
*
Pescatore ostinato nel porre piombini
su una rete appesa
tra palme banani
sotto il deserto padiglione tropicale
schivo il temporale
maledico il rifugio.
Mentre asciugo il portafoglio fradicio
I am not so bad
la descrizione è apparenza
spesso il turista
manca di parapioggia
la teoria delle Catastrofi
si insedia.
**
Nel vento diluvia.
Percussioni all’infinito
angosciano la spiaggia
nella bufera vicine, lontane,
rimbombano echi, sbattono
scardinate le porte dei bungalow
bruciati dalla mafia.
Ora a stravento tiepido m’inonda
ancora l’inviso monsone;
vira filosofica a malessere
la sosta nel capogiro
sotto un gazebo
di predato villaggio turistico.
L’occhio terroristico
Panorama cosmorama
sale il grande sipario
palpebra d’occhio dipinta
scopre il sole azzurro
reca al centro un punto nero.
Avanza valva del mondo
sublime centra l’obbiettivo
in diretta olorama
s’alza la maligna nube
volano piume e il grande Trucco.
L’occhio solo a fuoco in sé,
disperata reliquia di gioiello
entra in iride en abîme
sicapovolgetra coni e fundus.
Clicca il timer
già cala il sipario
si contraggono luce
e punto.
Restauro agli Scrovegni
*
Una vecchia in pianto
disperata senectus da nulla
nel vicolo buio tra miasmi e strame
plagio da anonimo scoliasta
babilonese egizio hittita
da nobile latino testimone
d’infinita globalizzazione
che a suo tempo trovò necessario
in superflua pellucida trascrivere.
**
Il restauro di Giotto
lacrime riscopre
su volti rigati affranti svaniti
di donne spalancate nel compianto.
Sottolinea il rictus
rughe estrapolate non distese
per nulla evolute
nel costante mediterraneo pianto.
L’usuraio Scrovegni aquilino
fornisce l’acquamarina
sull’immutabile tetanico ironizza.
Utopia
*
Fiat almeno
un’asintotica progressione
un calo minimo nelle furterie.
Utopia puntino a piacere
su binari di speranze parallele
voluttuose che all’infinito
però si bacino longinque.
**
Ma se per tutta la vita
da una banda prefissata
le rette corressero parallele
Perfino lo strame e i miasmi
tutto uguale in eterna subura
nel buio vico stabile ove piange
da millenni la vecchia da nulla.
Garanzia illimitata
T con zero della massima esplosione
in orizzontale istantaneo
un ammasso di leggi
fugge in contraddizione.
Incipit.
Perfetto a meraviglia il raffreddamento
dell’evolvente insigne nuvolaglia
sì che il Responsabile
(senza avvisare)
potrebbe perfino essere
andato per sempre in ferie.
La Perfezione non richiede presenza
né c’è assolutamente da preoccuparsi:
è tutto garantito senza errore.
Molti increduli scettici
lo vorrebbero lì
pur senza dubbi
sul suo ritorno.
Si riconosce che c’è comunque stata
chiarezza fin dall’Inizio:
garanzia illimitata
(non: infinita).
Cali di velocità preoccupano i più lucidi
perdite di intensità
nel ventaglio degli spettacoli.
Tranquilli: è tutto previsto
errori, parabole,
miracoli.
I funzionari
A volte scendono seri funzionari
dall’alto nell’angolo
appesi per il grembiule
obliqui:
Non preoccupatevi,
è tutto a puntino.
Sono in buona fede convincenti
potrebbero aver ragione.
Con machinae strepitose
che non cigolano
sul più bello se ne tornano
alle loro lussuose residenze.
Noi mammole a terra
invasi da stupore impolverati.
Furbescavamo per trattenerli
ancora un po’.
Explicit
Scende l’angelo
è scaduto il contratto
ha limitata discrezione a dilazionare
invece di cincischiare
usiamo bene gli scampoli
spiace abbandonare
ora è evidente
perfettamente tutto previsto
nello zero iniziale
addio logoi
care luci.
Cornucopia
Riflessione su forza invisibile
che spacca la noce di cocco
e riluce il verde cuneo del germoglio
nei film accelerati apre il fiore
crepa nòccioli amplifica la zucca
attiva il seme da secoli letargico
in piramidi granai azotati
riempie d’acqua cactacee e succulente
gonfia la gemma lunata del fagiolo
Ordina alla foglietta di frumento
di ribaltare la brinata zolla
lenta eleva villosa la spirale
della felce primordiale
pone zucchero aromi
negli agrumi nei pomi
come in arance asprigne
nell’anguria rossa tesa.
Fa fiorire l’ibisco l’orchidea
e giacinti pastello invernali
sui doppi davanzali della single
imbianca i ciliegi nelle vigne
abbandonate dagli esuli
a iosa garantisce albicocche
cadenti tra erbe e gramigne
mentre impera su funghi a pallini
il maggiolino coi puntini.