Claudia Burgarella (CB): Siamo con Serra Yilmaz, che si trova Verona in occasione della settima edizione del Film Festival “Schermi d’amore” in qualità di giurata. Che idea si è fatta dei film in concorso?
Serra Yilmaz (SY): Ho visto sei film del concorso, sono interessanti però non ne posso dire di più in questo momento visto che faccio parte nella giuria (ride, ndr). Per quello che riguarda il programma in generale, è molto interessante e poi devo dire che c’è una grandissima scelta. Rimpiango di non poter essere onnipresente perché ci sono tanti film che vorrei vedere.
CB: Conosceva già la manifestazione di Verona?
SY: Ho conosciuto la manifestazione tramite Giancarlo Beltrame, che ho incontrato più di un anno fa in un festival che era anch’esso d’amore, dove io ero a rappresentare Le Fate Ignoranti. L’ho incontrato lì e lui gentilmente mi ha chiesto se volevo fare parte della giuria. Non conoscevo Verona: è la prima volta che ci vengo, e sono molto, molto contenta di esserci.
CB: Facendo la giurata, in un certo senso, si trova dall’altra parte della scrivania: anche lei nell’87 ha partecipato al Film Festival di Istanbul con Albergo Madrepatria, con cui ha vinto il premio come miglior film nonché il premio della critica. è stata una cosa importante per la sua carriera?
SY: Sì, posso dire che Albergo Madrepatria è proprio il film che mi ha lanciata, perché ne avevo fatto, mi sembra, cinque altri prima, però è stato il film che ha contato, nel senso che Albergo Madrepatria rimarrà sempre un film importante nella storia del cinema turco: dunque qualcosa che potrà rimanere, anche vent’anni dopo, anche se non so se ci saremo (ride, ndr). Con Omar Kavur, che è il regista, penso che questo film sarà sempre nelle retrospettive. Sì, è proprio il film che mi ha lanciata, e l’anno scorso ho vinto al Festival di Istanbul un premio di interpretazione come protagonista femminile con Nove, un film di un giovane regista turco che si chiama Umit Unal: era il suo primo lungometraggio, realizzato senza un soldo (ride, ndr).
(C) R&C produzioni. Foto di Romolo Eucalitto.
CB: Tornando alla manifestazione, c’è una sezione dedicata alle donne e alle loro storie inserite nelle varie realtà geografiche e culturali. Queste realtà però sono unite anche dalla comune necessità di sentirsi riscattate, di dare un senso alla propria vita. Ha avuto modo di vedere qualcuno di questi film nella manifestazione?
SY: Non ho potuto vedere nessun film sulle donne, però vengo a Verona da Parigi, dove ero giurata in un “film festival” di donne, dunque lì ho dovuto vedere solo film fatti da registe donne, che trovo interessanti, molto interessanti.
CB: Sia ne Le Fate Ignoranti, sia ne La Finestra di Fronte, lei interpreta personaggi di mentalità molto aperta che hanno il ruolo di dare sicurezza e appoggio a donne molto insicure, o comunque incomplete nella loro vita, come Margherita Buy o Giovanna Mezzogiorno. Questo rispecchia come lei è nella vita reale? Si identifica con questi ruoli che le affida Ozpetek?
SY: Un po’ sì, nel senso che, ad esempio, una figura come quella di Eminè, che finalmente dice ad alta voce cose che Giovanna non riesce mai a confessare a se stessa, e che però ha voglia di sentirsi dire perché questo, in una certa maniera, la apre anche la porta alla libertà. Penso di avere un aspetto così anch’io.
CB: L’hanno definita “attrice icona” di Ozpetek. Questo nasce da un rapporto che avete da parecchi anni? Come si instaura questa collaborazione?
SY: è nata così: noi ci siamo conosciuti a Strasburgo per la rassegna del cinema turco dove io ho scoperto Hamam, che non avevo visto ancora perché spesso quando sono invitata a Strasburgo è perché è uscito un mio film. Dunque ci vado quasi ogni anno, il che mi permette anche di avere un’idea generale di tutti i film che sono stati girati nell’anno e che spesso non riesco a seguire durante il tempo in cui lavoro. Avevo visto Hamam, lui era lì solo quel giorno, e c’è stata un’attrazione forte, non fatale però (ride, ndr)…e abbiamo piacere a lavorare insieme.
(C) R&C produzioni. Foto di Romolo Eucalitto.
CB: Ho letto un articolo in cui si parla di Ozpetek e del suo modo di lavorare con gli attori: lui pretende che leggano “a freddo” il copione invece di recitarlo fin dalle prime volte. Questo è un metodo anche innovativo se vogliamo…
SY: Al cinema sì, però quella lettura che facciamo, da noi si chiama “lettura all’italiana”, ed è proprio un metodo del teatro.
CB: E lei preferisce una cosa così?
SY: Sì, a me piace moltissimo, perché cadono tante ansie che posso avere per quello che riguarda una parte. Quando ci ritroviamo tutti quanti, in una stanza, a leggere, a discutere, ad esprimere la nostra opinione tutti insieme, cambia tutto. Una volta che le parti sono incarnate, che prendono anima, vedo che posso essere tranquilla, che andrà tutto bene. A me dà fiducia ritrovarmi con tutti gli altri.
CB: Forse rompe le rigidità con gli altri attori, crea più un senso di famiglia?
SY: Sì, ad esempio ne Le Fate questa intesa è stata immediata, perché noi ci siamo conosciuti e poi, il primo giorno di lavoro, abbiamo girato nel Gay Pride. E devo dire che c’è stata subito affinità… Ed è stato bello nel senso che abbiamo tutti un po’ di ansia quando cominciamo, no? Ed è bello anche poter condividere così il momento di inizio della lavorazione, perché capita che ci siano degli attori che tu scopri sullo schermo. Ne Le Fate non avevo nessuna scena con Erika Blanc, dopo il film l’ho sentita al telefono, e quando ha saputo che stavo a Roma ha voluto parlare con me. È stato molto bello perché abbiamo chiacchierato per più di venti minuti al telefono, e alla festa dell’anteprima de La finestra di fronte è arrivata una donna che mi ha assalito, ed era lei. Dunque l’ho incontrata così, e trovo sia bello trovarsi tra di noi, perché è raro rivedersi dopo la lavorazione di un film, specie con certi attori con cui non abbiamo scene in comune; si può far parte di uno stesso film e non conoscersi tutti.
CB: Il prossimo nove aprile a Roma si terranno le premiazioni per il David di Donatello: lei è candidata come miglior attrice non protagonista, che si accompagna a dieci candidature per La finestra di fronte, tra cui “miglior regia” e “miglior sceneggiatura”…Un bel risultato?
SY: Bellissimo, mi ha commosso molto e sono molto contenta. Avere il premio è una grande gioia, ma penso che quando si tratta di un premio come il David di Donatello è già molto importante in sé essere nominata, nel senso che sono tante persone della professione che devono considerarti per prendere una decisione su di te, e già questo è molto importante.
CB: Anche Massimo Girotti è candidato come miglior attore protagonista. Un ricordo, un’immagine che l’ha colpita?
SY: Mi ha colpito molto il fatto che Massimo era un uomo di una grande delicatezza e di una grande presenza. Aveva una specie di aura, molto tranquillo, anche senza parlare molto si potevano intuire tante cose da Massimo. Non era per niente una persona amara, nonostante non avesse lavorato per tanto tempo, e non è facile nel mestiere. E poi questo era un film sul ricordo, c’è chi può riviverlo con un pizzico di amarezza, ma lui no, è stato veramente un grande signore. Ho un bel ricordo, devo dire che mi è piaciuto il fatto che abbia realizzato questo film, però mi dispiace anche molto che non abbia potuto goderne il successo. Ma la morte è sempre così, è lasciare le cose a metà.
(C) MIKADO
CB: Le leggo un’ultima cosa: hanno detto de lei che è “un raro caso di attrice maschera, capace di entrare nelle storie in punta di piedi, riuscendo a non cadere nella macchietta della straniera dall’italiano incerto”. Le piace questa frase?
SY: Moltissimo, chi l’ha detta? Lo vado ad abbracciare! (ride, ndr)