Avrei voluto intitolare questo editoriale “Le Fucine prossime venture” e raccontarvi cosa vedrete on line il prossimo mese, o meglio verso la fine del mese in corso.
Avrei voluto fare questo tre settimane fa, approfondendo alla bisogna i cenni più volte sparsi, in modo più o meno articolato, nei numeri scorsi.
Avrei voluto.

Le famose cavallette di belushiana memoria, per le quali – cosa che mi ero ripromesso di non essere più costretto a fare – vi porgo le mie scuse più sincere, sono appunto rappresentate dal lavoro di profiling sul codice e sulle potenzialità di quelle nuove Fucine per la cui messa on line è, appunto, questione di giorni.

Un esempio? Se il vostro browser è predisposto per la gestione dei cookies, sarete in grado di costituire una vostra area personale in cui tenere a disposizione gli articoli che più avrete apprezzato nel corso della navigazione.
L’archiviazione dei pezzi, fra l’altro, sarà tanto limpida e trasparente da consentirvi ricerche finalmente mirate per categoria, per data di pubblicazione, per sezione, per parola chiave, per autore… Inoltre, i brani musicali offerti a Fucine Mute – primi fra tutti dai Liquidframe, ricordate? – saranno disponibili per l’ascolto singolo o attraverso playlist, a sua volta organizzabile con il sistema dei “preferiti”; in altri termini, costruitevi da soli la vostra compilation da ascoltare durante la navigazione.

Questo ed altro ancora vi illustrerò meglio all’annuncio ufficiale del rinnovamento tuttora in lavorazione con le istruzioni del caso, e in quel momento sarò prodigo di ringraziamenti verso coloro i quali si sono adoperati per rimpaginare l’intero archivio della rivista, per interagire con il database, per prendere confidenza con un sistema di amministrazione intuitivo ed efficiente quanto vogliamo (chi si loda…), ma a tutti gli effetti nuovo. A tutti loro – anche ai più scettici nei confronti delle rispettive capacità di assimilare codici e strutture apparentemente più consone ad un programmatore – il mio “grazie” preventivo.

In questo mese e mezzo di lavoro e studio, di restyling e di pianificazione, si conclude finalmente l’iter che, da qui ad un mese circa, consegnerà ad alcuni di noi il famoso tesserino di pubblicista. C’è di che brindare, perché una scadenza coincide il più delle volte con un bilancio, naturale anche se non necessario. Non necessario perché, il tempo di voltarsi indietro, riportiamo lo sguardo in prospettiva.
Rimanendo infatti nell’ambito triestino, il progetto Luxa.tv arranca sul web e approda nell’etere. Trieste.com chiude. Investimenti cospicui che ammettono la resa. Bandiera bianca, procrastinata, più o meno ammessa, ma a conti fatti innalzata. E lo dico con tutto il rispetto e tutto il dispiacere del caso, dettato dal prendere atto della difficoltà alla creazione di un polo multimediale nella città che ci ha visti crescere e, con gli alti e bassi (più alti che bassi) connaturati a qualsiasi attività di qualsivoglia genere, vederci apprezzati. A Roma, a Bologna, in Svezia, sul sito dell’Unesco (per la Giornata mondiale della Poesia), e su altri, possiamo prevedere, quando tempo e risorse consentiranno la traduzione sistematica di una selezione dei pezzi più interessanti per il lettore straniero il quale, da statistiche del webserver, non manca.Un po’ meno apprezzati, forse, in sede, almeno a livello ufficiale. Un cordiale vaffanculo a chi ha coniato il detto “nemo propheta in patria”.
Alla chiusura di Trieste.com ondate di preoccupazione ed un certo allarme sono stati sollevati sulle pagine del quotidiano locale “Il Piccolo”. È morta l’editoria elettronica a Trieste, i progetti naufragano e la spinta propulsiva dei primordi è tristemente sciacquata via dalla crisi imperante.

Toc toc? Siamo qui. Anzi, senza “toc toc”. Siamo già a pieno titolo dentro una stanza che occupiamo da quattro anni e da cui non intendiamo uscire, e nella quale siamo apparentemente soli. Perché non avremo capitali alle spalle, appoggi, motivazioni di tipo politico (tranne quelle che, in massima libertà, traspaiono singolarmente dalle nostre persone quando leggete un qualsiasi articolo che esce minimamente dalla neutralità cronachista – la più parte, a mio giudizio), ma al contempo sappiamo, con le nostre poche risorse – poche o no, le nostre, quelle che non abbiamo mai chiesto a nessuno – resistere (e ancora resistere, resistere, direbbe qualcuno) e risollevarci. Non so se perché avevamo preventivato il periodo di magra; sicuramente perché, per principio, non facciamo le cose a caso. Ma forse non possedere un’etichetta istituzionale conferisce minor dignità ad un lavoro silente, ma non per questo meno prezioso per il territorio e non solo?

Era solo un piccolo spunto. E perdonate se localistico. D’altronde, c’è chi dice che era localistico anche Alberto Sordi.
Per il resto, nulla da dire. Ci sarebbe tutto un elenco di cose, che non ho titolo né necessità di puntualizzare annoiandovi né dilungandomi – tanto le sapete già, e si possono riassumere in una sola, sintetica dichiarazione, che potete leggere da qualche parte od immaginare con i colori dell’arcobaleno:

Not by my name.